I fascisti di CasaPound sotto processo a Bari. Si è tenuta ieri la prima udienza che vede imputati 28 esponenti della organizzazione di estrema destra, per il reato di ricostituzione del partito fascista. L’accusa – sostenuta dal procuratore aggiunto Roberto Rossi – prende le mosse dalla aggressione subita due anni fa, il 21 settembre 2018, da militanti antifascisti al termine di un corteo di protesta contro la presenza in città del ministro Salvini. Tra loro anche la parlamentare europea Eleonora Forenza, parte lesa nel processo, insieme all’Anpi, costituitasi per volontà della presidente Carla Nespolo, il cui nome è risuonato in aula mentre dall’esterno del tribunale provenivano le note e i versi di “Bella Ciao”.
Il coordinamento antifascista (che riunisce Anpi, Arci, Libera, Cgil, Link, Rete della conoscenza e Zona Franka) ha promosso la partecipazione a un presidio all’ingresso del palazzo di giustizia per sostenere l‘accusa in aula e reclamare lo scioglimento di CasaPound e la chiusura di tutte le sedi della formazioni neofascista. In via Saverio Dioguardi erano presenti anche militanti di Rifondazione comunista e del collettivo Caserma Occupata.
«Voglio ringraziare tutti i compagni e tutte le compagne che erano lì sotto la pioggia – ha detto Eleonora Forenza all’uscita dal tribunale –. La tensione nel ritrovarsi nella stessa aula con gli aggressori di quella notte è stata tanta. E anche la consapevolezza di essere dentro una situazione che travalica di molto le vicende personali. È stata una giornata antifascista importante – ha proseguito Forenza – non solo per la mia città, già ferita dall’omicidio di Benetto Petrone per mano di una squadraccia missina nel 1977. La legge Scelba, la Costituzione, il processo di Atene ci consegnano una grande responsabilità: CasaPound va sciolta. Al termine di questa giornata resistente anche alla pioggia – ha concluso l’ex deputata del gruppo Gue a Strasburgo – tengo a condividere due emozioni: sentir pronunciare in aula il nome di Carla Nespolo e sentire un coro di voci attraversare l’aula: ti giri, e vedi i compagni e le compagne dalla finestra, in presidio, a ricordarti che antifascismo è, in primo luogo, restare umani».
Al processo hanno chiesto di essere ammessi parte civile pure il Comune di Bari, la Regione Puglia: un fatto importante sia sul piano politico sia sotto l’aspetto giudiziario, perché irrobustisce l’affermazione che bersaglio dell’attività squadristica dei neofascisti di CasaPound sono le stesse istituzioni democratiche. È questo il senso della accusa formulata dalla Procura di Bari e accolta dal giudice per le indagini preliminari che ha disposto il sequestro della sede di via Eritrea, dopo il ferimento degli antifascisti (sequestro poi confermato dalla Corte di Cassazione). A chiedere di costituirsi parte civile, anche Rifondazione comunista.
L’aggressione del 21 settembre – questa la tesi sostenuta dal Pm Rossi – non fu un episodio isolato, ma l’esito di una lunga serie di provocazioni, intimidazioni, aggressioni compiute nei mesi precedenti. E si trattò di una azione studiata a tavolino, organizzata anche nei dettagli “militari”, come si evince dalle frasi intercettate dagli investigatori nel telefono di Giuseppe Alberga, il responsabile barese di CasaPound: «Giulio manderà qualche leccese, per quanto riguarda l’aspetto logistico mazze caschi e altro procura tu e mettili dal giorno prima in sede o nelle vicinanze. Non farci fare il viaggio a noi armati ancora qualche perquisizione improvvisa e ci inculano».
La prima udienza del processo si è esaurita nell’esame delle questioni preliminari e per difetti di notifica è stata rinviata al prossimo 21 dicembre: per ragioni di spazio, si svolgerà molto probabilmente nell’aula bunker di Bitonto. Allora il giudice monocratico, Carlotta D’Alessandro, potrebbe pronunciarsi incompetente poiché – secondo alcuni – le imputazioni della legge Scelba richiedono il giudice collegiale. Sotto processo sono – ricordiamo – 28 esponenti di CasaPound, a dieci dei quali è contestato, oltre alla ricostituzione del partito fascista, il reato di lesioni ai danni degli antifascisti. Nel processo sono anche imputati cinque militanti del collettivo Caserma Occupata, accusati di violenza e minaccia a pubblici ufficiali, nel tentativo di oltrepassare il cordone di polizia e carabinieri che separava dalla sede di CasaPound gli antifascisti giunti in soccorso dei compagni feriti. La posizione dei cinque giovani antifascisti potrebbe tuttavia essere stralciata dal processo a CasaPound.
Le foto sono di Arturo Cucciolla
Pubblicato martedì 13 Ottobre 2020
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