Quando mi è stato chiesto dall’ANPI, circa un mese fa, di condurre la giornata di chiusura della campagna referendaria per il NO, ho accettato immediatamente, senza quasi pensarci. È stato così ogni volta che ho potuto fare qualcosa per e in questa associazione: il pensiero di come poter fare, la preoccupazione di non essere all’altezza, la paura di poter sbagliare qualcosa mi sono sì arrivati, ma dopo. Prima di tutto avverto lo slancio immediato ad accettare e la consapevolezza che solo per l’ANPI potrei metterci idee, parole e faccia.
E così è stato anche per il venerdì 25 novembre al teatro Brancaccio a Roma. Sono arrivata un paio d’ore in anticipo sull’orario di inizio, ma già davanti all’ingresso del teatro si stavano raccogliendo i primi partecipanti: li riconoscevo dai fazzoletti tricolore al collo, da qualche bandiera, dai volti soprattutto. I partigiani e gli antifascisti, i compagni e le compagne dell’ANPI vivono in tutte le province d’Italia, ormai, ma in alcune importanti occasioni – le feste nazionali, i congressi, alcuni grandi convegni a tema – c’è la possibilità e la fortuna di incontrarsi, di ritrovarsi e riconoscersi: riconoscersi fra noi e riconoscersi negli stessi valori, nella stessa memoria. Per questo ho detto di averli riconosciuti dalle facce: perché, certo, taluni li avevo già visti, dal vivo e poi in rete sui social media, ma anche perché portiamo scritto in faccia quel non so che. A me almeno pare così, e non credo di sbagliarmi tanto se anche il presidente Carlo Smuraglia si è detto colpito ed emozionato dalla presenza di più di mille di persone, prima di tutto – ha sottolineato – per la bellezza e l’importanza di ritrovarci insieme, e poi certo per l’importante chiamata a raccolta alla chiusura “solenne” della campagna per il NO (ché quella “feriale” e ferina, purtroppo, proseguirà intensa e dura fino al giorno del voto).
Non ero mai entrata “lato artisti” in un teatro così grande e importante come il Brancaccio: è quasi un labirinto quello da percorrere tra corridoi, sartoria e camerini prima di poter guadagnare il palco. La platea era ancora vuota, soltanto i tecnici in fondo, e qualche compagno irriducibile che ho imparato a conoscere grazie a Patria Indipendente: Gabriella Cerulli, Andrea Liparoto e Giovanni Baldini (quelli che ho visto per primi, ma non erano i soli!) impegnati da mesi per questo referendum e in particolare in quei giorni per seguire la staffetta streaming no stop del 24-25 novembre da Radio Articolo1 e per preparare questa chiusura.
Ho ripassato un poco la scaletta, i nomi dei relatori e l’ordine dei loro interventi, e mi sono messa ad aspettare l’inizio. Pian piano la gente dell’ANPI ha iniziato ad affluire in sala: il velluto rosso delle poltroncine è sparito, nascosto dagli spettatori che le occupavano; alle balaustre della galleria fiorivano gli striscioni delle ANPI di vari comuni; sono arrivati i relatori. Ho preso posto con loro al tavolo, si sono abbassate le luci e lo spettacolo è cominciato. Lo spettacolo, sì, perché oltre all’esilarante lettura dell’articolo 70 “riformato” regalataci da Lamberto Consani, ci sono state anche le Riformine (pièce teatrale con Fiamma Negri, Giusi Salis e la partecipazione straordinaria di Susanna Cantelmo) ad aggiungere un po’ di ironia a una campagna che non risparmia attacchi da ogni parte.
Intanto osservavo, dalla mia postazione privilegiata in alto sul palco, in giù… Chissà se erano così tanti i partecipanti anche nell’aprile del 2014 in un teatro che allora fu l’Eliseo di Roma, quando l’ANPI lanciò il suo allarme a fronte dell’annunciata riforma costituzionale, chissà se avremmo allora potuto immaginarci una campagna referendaria così aspra e lacerante, non solo sul fronte esterno ma anche su quello interno, con la pretestuosa distinzione tra partigiani veri e falsi, chissà… So però che l’ANPI ha fatto il possibile per restare nel merito delle questioni e per mantenere civili i toni; so che l’esempio più grande, per questo e per tutti noi, è stato Carlo Smuraglia: onesto, lucido, elegante e però incisivo, instancabile. Lo so io e lo sappiamo tutti, per questo – quando l’ho ricordato – è stato poi difficile interrompere un applauso che pareva non volesse finire più.
Il primo intervento che ho annunciato è stato quello del giovane Tancredi Marini, iscritto all’ANPI di Perugia, studente. Provavo a coglierne il tremare delle gambe (non dev’essere facile, mi dicevo, parlare a tante persone in un’occasione così importante), ma erano ferme come la sua voce che, calma e decisa, ci ha ricordato quanto fosse implicata anche la garanzia del diritto allo studio, in questa riforma. È stata poi la volta di una veterana: Sandra Bonsanti, presidente emerita di “Libertà e Giustizia”; sono tre le parole che ha lasciato impresse nella memoria, lanciate agli ascoltatori quasi come fossero un impegno quotidiano: intelligenza, serietà, antifascismo.
È venuto così il momento comico delle “Riformine”, devo dire che noi del palco – che davamo le spalle al grande schermo che ci stava sopra – facevamo un po’ di fatica a cogliere proprio tutte le battute e me ne accorgevo anche da alcune espressioni del presidente Smuraglia, ma chi dalla platea ascoltava e vedeva rideva convinto e della grossa (di Smuraglia la giornata del Brancaccio mi ha dato modo di conoscere qualcosa in più, ossia il piacere di bersi un caffè a metà pomeriggio; qualcuno che “conosce i miei vizi” – mi ha bisbigliato il presidente – gli ha così fatto pervenire un bicchierino di caffè, peccato che avesse scambiato una bustina di zucchero dal formato allungato con la paletta per mescolarlo!).
Sono intervenuti poi il costituzionalista Alessandro Pace, chirurgico nello smontare articolo per articolo (non tutti in quella sede, è ovvio!) la riforma che dovremo votare il 4 dicembre; dopo di lui è toccato a Francesca Chiavacci, presidente dell’ARCI, salutare gli antifascisti del Brancaccio ringraziando l’ANPI per il lavoro in simbiosi svolto in questi mesi ma non solo.
Giunta a lavori iniziati e salita sul palco tra gli applausi, Susanna Camusso ha regalato a tutti un discorso splendido, cucendo strettamente il diritto al lavoro alla difesa della nostra Costituzione che avrebbe solo bisogno di essere attuata, non cambiata.
Infine l’attesissimo discorso di Carlo Smuraglia: non che non sapessimo già le sue posizioni e i suoi argomenti ma sempre, nei momenti più delicati e duri, si ha l’urgenza, la necessità di raccogliersi assieme per ri-vedere e ri-ascoltare un presidente, un leader che è tale perché agisce e parla nel migliore dei modi possibili, perché è esempio alto e però accessibile a tutti, perché riconosciamo in lui la parte migliore di noi. Per questo abbiamo bevuto le sue parole, un toccasana di energia e impegno generosamente elargite da un fuoriclasse di 93 anni.
Applausi su applausi, quasi a sommergere le note del sax di Nicola Alesini che ci ha deliziati con un madley di Fischia il vento, La guerra di Piero e Bella ciao!
Smuraglia se la godeva, come tutti, ma – mi dice a un certo punto – “la gente la vuol cantare” e così, finita la parte strumentale, è stato proprio lui a intonare le prime parole: «Una mattina…» il resto è venuto dal pubblico e ha fatto risuonare il teatro.
«Bella ciao!» ad accompagnare ai treni e agli autobus chi doveva tornare a casa, a darci un argomento in più per preservare la nostra Costituzione.
(Servizio fotografico di Zino Tamburrino)
Pubblicato venerdì 2 Dicembre 2016
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