a) SOVRANITÀ: la riforma ci consegna un Senato non più eletto dal popolo ma da consiglieri regionali e da sindaci (che sono stati, sì, eletti dal popolo, ma per fare altre cose: cosa c’entra un sindaco con le leggi costituzionali o con i trattati europei, per dirne solo due?); e quel Senato è una delle due parti di cui si compone il Parlamento (art. 55 comma 1), che è il luogo della rappresentanza, ma non vota la fiducia al Governo (però elegge il Presidente della Repubblica ed i giudici della Corte Costituzionale, vota le leggi e modifiche costituzionali e tuttavia non vota lo stato di guerra: un pasticcio inspiegabile); con una Camera dei Deputati dove, secondo la legge elettorale vigente al momento del Referendum, «domina una maggioranza artificiale creata distorcendo l’esito del voto» (Lorenza Carlassare, costituzionalista); con le province “abolite” (in realtà solo “depennate“) che però funzionano ugualmente ma senza un organo eletto direttamente dai cittadini.
b) SUPERAMENTO DEL BICAMERALISMO: Oltre che sul non-voto di fiducia al Governo, il cosiddetto “superamento” è basato sulla riduzione della potestà legislativa del Senato, come descritto nell’ 70, sul quale alcune osservazioni critiche sono immediate:
1) quell’articolo è illeggibile, ed è la dimostrazione di come le cose non devono essere fatte. La Costituzione deve essere comprensibile a tutti;
2) per 16 materie la potestà legislativa resta bicamerale, esattamente come ora; inoltre, come ha scritto il Servizio Studi della Camera, «Se si considera la partecipazione al procedimento legislativo, tutti i procedimenti risultano “bicamerali” perché a tutti i procedimenti prendono parte – sia pure, nella maggior parte dei casi, con poteri diversi – entrambe le Camere»: perciò non è vero che “una sola Camera fa le leggi”, come alcuni dicono;
3) all’unico procedimento legislativo attuale si sostituisce una pluralità di procedimenti: alcuni costituzionalisti dicono che sono sette (Azzariti), altri che sono dieci (Zagrebelsky), e che potranno generare molti conflitti di competenza fra Camera e Senato, senza nessun luogo preposto alla loro risoluzione (il testo parla di “intesa”: che fra due non è mai garantita).
Quindi: Il “bicameralismo paritario” non è “superato“, come viene detto, ma è solo un po’ ridotto e molto “pasticciato” (così è definito da molti costituzionalisti).
d) COMPITI DEL SENATO (art. 55 comma 5): al Senato vengono attribuiti ben 14 diversi compiti (compreso quello delle leggi e modifiche costituzionali, o della “valutazione delle politiche pubbliche”), 9 dei quali non hanno alcuna attinenza con le “istituzioni territoriali” delle quali il citato art. 55 comma 5 gli attribuisce la “rappresentanza”: una tale vastità e complessità di compiti non è conciliabile con gli impegni che competono, primariamente, a consiglieri regionali e sindaci; non è questione di buona volontà o di capacità, ma semplicemente di tempo materiale da dovere e potere dedicare a questioni molto complesse. Un Senato così non può funzionare e darebbe luogo a molti conflitti di competenza.
L’ampiezza della Revisione costituzionale (tale è, più che una “modifica”, riguardando ben 47 articoli) comporta uno sforzo di informazione e comprensione improbo, se non impossibile, per un largo numero di cittadini, e dimostra quanto i sostenitori del NO hanno più volte affermato: vale a dire che il cambiamento non è, in sé, né positivo né negativo, poiché la sua qualità (e quindi l’aggettivo che gli si può attribuire) dipende dai contenuti. Si può cambiare in meglio, ed è allora opportuno farlo; ma si può cambiare anche in peggio, ed allora è bene (e perfino doveroso) opporsi ad esso. Non è perciò razionalmente fondato (come spesso fanno molti della parte del Sì) accusare chi sostiene il NO di non volere “il cambiamento in sé e per sé” e di essere perciò “ancorati al vecchio”: ci si oppone invece, si obietta da parte del NO, non al cambiamento senza aggettivi ma ad un cattivo cambiamento, ed in questo caso essere conservatori – l’accusa che viene loro rivolta – ha un senso positivo. Anche i peggiori fatti della storia hanno rappresentato un cambiamento – banalmente: ciò che è diverso dal precedente è sempre un cambiamento – ma non è questo a renderli meno odiosi di quanto meritino; altre volte il cambiamento ha apportato benefici e progresso: ma non semplicemente in quanto diverso o nuovo (questo sarebbe “nuovismo”), bensì perché migliore, rispetto a prima. Le cose, sembra banale eppure per alcuni non lo è, vanno valutate non tanto e non solo per il tasso di novità che contengono, ma per i progressi positivi che comportano; l’alternativa non è fra movimento e stagnazione o termini analoghi, perché il “movimento” può essere in avanti ma anche all’indietro: non basta muoversi per essere sicuri di far bene, bisogna essere coscienti e sicuri della direzione che si prende e della strada a cui il movimento porta. E quando (o se) muoversi significa arretrare, restare fermi non costituisce “stagnazione” ma difesa di quanto si ha, in attesa, e con il proposito, di costruire qualcosa di veramente migliore: la vera diade, in questo caso, è fra avventura e consolidamento.

Noi speriamo che il NO prevalga ed apra la strada all’applicazione reale della Costituzione, che finora è troppo spesso mancata, per poterle anche apportare, ricercando il massimo consenso possibile, quei pochi adeguamenti che la ragione democratica suggerisce. Con questo animo, con tale “sentimento costituzionale” – come ha detto l’ANPI – guardiamo, fiduciosi, all’esito delle votazioni.
Buon voto e, soprattutto, Buona Costituzione a noi tutti.
Franco Bianco – Ricercatore in scienze economiche e sociali
Pubblicato venerdì 2 Dicembre 2016
Stampato il 11/06/2023 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/servizi/pillole-finali-di-riflessione-e-poi-buona-costituzione-a-tutti/