Può sembrare un paradosso come, nel marzo 1949, il governo guidato dalla Democrazia Cristiana di De Gasperi, che aveva vinto le elezioni dell’aprile 1948, scommettendo sul bacino elettorale femminile in nome della difesa della famiglia, abolì la retribuzione delle dipendenti pubbliche per la Giornata internazionale della donna, prima remunerata.

(Imagoeconomica, Saverio De Giglio)

Una vicenda che in occasione di ogni 8 marzo sarebbe utile ricordare, quale monito a non illudersi che diritti ritenuti acquisiti possano essere incancellabili, in particolare quelli delle donne, e come occorra difenderli ogni giorno, diffidando da pseudoriforme populiste.

La Giornata internazionale della donna era una festa pubblica nel segno dell’unità antifascista e della Resistenza

Con una circolare ministeriale, nel 1946 si informava che alle dipendenti pubbliche andavano retribuite le ore della partecipazione alle manifestazioni dell’8 marzo

L’8 marzo 1946, nell’Italia retta in regime luogotenenziale da Umberto di Savoia, il governo di unità antifascista emanava la circolare ministeriale n° 61588/289555/3.3.3 che concedeva alle dipendenti pubbliche il salario retribuito per le ore di assenza dettate dalla partecipazione alle manifestazioni per la Festa della Donna.

Una disposizione restata in vigore sino al 1948, e della quale si ha traccia negli archivi delle prefetture conservati presso ogni Archivio di Stato, quale quello di Brindisi in cui ho condotto la ricerca, così come vi giacciono le richieste delle donne, lavoratrici e non, indirizzate agli organi istituzionali e addirittura le sollecitazioni dei prefetti alle diverse amministrazioni affinché le manifestazioni femminili avessero successo.

“Dalla Regia Prefettura di Brindisi, 4 marzo 1946, ai Signori Sindaci e Commissari prefettizi della provincia di Brindisi Oggetto: giornata internazionale della donna.
Per opportuna conoscenza si trascrive la seguente circolare 23 febbraio decorso n° 61588/ 289555/3.3.3, della presidenza del Consiglio dei Ministri. – Per iniziativa della Confederazione Generale del lavoro e dell’Unione delle Donne Italiane, il giorno 8 marzo p.v. verrà celebrata in tutta Italia la Giornata Internazionale della Donna. Pregasi pertanto che, in tale ricorrenza, il personale femminile dipendente dagli enti pubblici, venga – senza alcuna decurtazione di salario o stipendio – lasciato libero alle ore 12, al fine di consentirgli la partecipazione alle manifestazioni della giornata”.

(imagoeconomica, Benvegnù e Guaitoli)

La disposizione ministeriale comprendeva, quale dispensato dal lavoro, anche il personale femminile impiegato presso gli Enti Militari, come nel telegramma in data 7 marzo 1947 del Comando Militare Marittimo di Brindisi a firma dell’ammiraglio Parmigiano inviato agli uffici Marimist, Maricomm e Mariferm a lui sottoposti:
Giunta comunicazione della Presidenza dei Ministri, disponesi che giorno 8 corr. personale femminile sia lasciato libero alle ore 12.00 per partecipare alle manifestazioni giornata internazionale della donna”.

Il 7 marzo 1948, a Costituzione entrata in vigore, Giulio Andreotti, quale sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri fu l’ultimo a inviare alle prefetture l’autorizzazione a lasciare libere dal lavoro le dipendenti pubbliche affinché partecipassero alle manifestazioni unitarie per l’8 marzo.

Era questo il clima delle elezioni dell’aprile 1948

Poco più di un mese dopo, l’esito elettorale di aprile, con la sconfitta del fronte delle sinistre e la vittoria di quello conservatore e atlantista a guida Democrazia Cristiana, le lancette dell’orologio che segnava il cammino dell’emancipazione femminile furono riportate indietro, in nome dell’anticomunismo, iniziando con il colpire l’8 marzo.

L’8 marzo cancellato e le donne manifestanti “pericolose attentatrici delle libertà costituzionali”

Ad assumersi la reponsabilità di ciò fu Scelba, il ministro dell’Interno di cui rimarrà memoria per l’uso scellerato della forza pubblica contro lavoratori, contadini, disoccupati che negli anni del dopoguerra reclamavano pane e lavoro. Il telegramma inviato ai prefetti è la dimostrazione del cambiamento dei tempi:
Prefettura di Brindisi – Telegramma decifrato proveniente in data 4 marzo 1949, proveniente dal Ministero dell’Interno Gabinetto et diretto Prefetti Repubblica.
N° 6411/7643/Gab. Festa della Donna celebrantesi 8 marzo per cui era stato chiesto l’alto patronato Presidente della Repubblica monopolizzata (da) U.D.I. et altre organizzazioni paracomuniste assume carattere di partito. Pertanto Autorità asterrannosi parteciparvi aut prestare qualsiasi collaborazione. SS.LL. prenderanno inoltre adeguate misure evitare attentati libertà specie uffici, scuole et luoghi di lavoro. Ministro Interno Scelba”.

Sovversive ovunque e sempre, secondo la visione ai tempi della Guerra Fredda. Nella foto, la prima a destra è Carla Capponi MdOVM (Archivio fotografico Anpi nazionale)

Con quel telegramma Scelba sanciva che le donne che avessero scioperato e avessero incitato altre a farlo, per partecipare a cortei e assemblee femminili, erano potenzialmente perseguibili per legge quali attentatrici delle libertà, e sanzionabili dalle autorità di Polizia, come conferma la nota a margine del Prefetto di Brindisi inviata al Questore e al Comando dei locali Carabinieri.

(foto della sezione Anpi 25 aprile, Mi)

Su questo giornale, Marisa Cinciari Rodano ricordava che anche distribuire la mimosa poteva essere considerato sovversivo, e che in quegli anni la polizia sequestrava i mazzetti, le attiviste venivano fermate e portate in questura e financo multate per “questua non autorizzata”, nonostante i fiori simbolo della Giornata fossero offerti gratuitamente.

Il cammino verso l’emancipazione, la piena parità dei diritti, per le donne italiane sarebbe stato irto di spine, ma esse, come durante la Resistenza non si sarebbero tirate indietro.

Antonio Camuso, Archivio Storico Benedetto Petrone – APS