Dopo aver concluso lunghe ricerche, il 5 agosto di quest’anno ho organizzato ad Accettura, il mio paese nel Materano, un incontro pubblico con le autorità istituzionali, il sindaco e i consiglieri comunali, diversi amici e cittadini per illustrare a tutti i risultati dell’impegno. Ho reso partecipe gli accetturesi che il nostro paese aveva dato il proprio contributo di sangue alla lotta di Liberazione con i suoi figli partigiani e soldati deportati nei lager dopo l’8 settembre 1943.

Le ricerche mi avevano permesso di individuare le località estere dove erano stati sepolti tre giovani di Accettura: Donato Belmonte nel cimitero di Berlino, Nicola Loscalzo in quello di Amburgo e Antonio Garaguso a Varsavia. Le famiglie di questi tre eroi avevano ricevuto finora solo la notifica ufficiale che i loro cari erano “dispersi”. Con l’aiuto del parroco, don Pinuccio Filardi, ero riuscito a contattare i parenti di Antonio Garaguso ma non le altre famiglie.

In quell’incontro carico di emozione avevo lanciato l’idea di organizzare un gruppo di volontari di Accettura che in nome dell’Anpi provinciale di Matera si recasse sulle loro tombe, vi tenesse una commemorazione ufficiale e deponesse di un mazzo di fiori e dei nastri tricolori con scritto: “Da tutta la comunità di Accettura”.

L’idea fu accolta con favore e il viaggio è stato organizzato per i primi di novembre. Siamo partiti in quattro, entusiasti e orgogliosi, nel pomeriggio del 3, oltrepassando in serata il confine italo-tedesco.

Sulle Alpi ci ha colto la pioggia che ci ha accompagnati fino a Monaco, dove siamo giunti a mezzanotte per fermarci a cenare nella birreria Hofbräuhaus, proprio dove Hitler aveva tentato il Putsch nel 1923, dieci anni prima di prendere il potere.

Monaco di Baviera, la Hofbräuhaus

Il locale era affollato da tanti giovani festosi che bevevano birra e ballavano con vestiti tradizionali.

All’interno della Hofbräuhaus

L’impatto con l’orrore della storia è stato immediato.

La mattina dopo siamo arrivati a Berlino, accolti dal vicepresidente del Comites della città, Umberto Mastropietro, il quale, dopo averci dato appena il tempo per una fugace colazione, ci ha accompagnati al cimitero d’onore italiano per la prima commemorazione.

Il cimitero è un enorme parco, ben curato, con le sepolture dei civili berlinesi disposte ai margini, quasi a coronare le tombe dei soldati. Al centro c’è il sacrario dei Caduti italiani. Ci siamo avvicinati alle lapidi con tanta emozione e rispetto, cercando quella di Donato grazie alle indicazioni fornite dal nostro ministero della Difesa.

L’ho vista per primo: “Soldato Belmonte Donato”. Pensavo al giovanissimo abitante di un piccolo paese di montagna della Basilicata strappato ai suoi cari, deportato in terre da lui nemmeno immaginate e costretto a morire da solo. Il suo corpo mai restituito. E mentre il cuore palpitava, sembrava giungermi alla gola, ho chiamato gli altri e insieme ci siamo raccolti in preghiera, coadiuvati da un prete polacco che parlava benissimo l’italiano.

Successivamente sono arrivati l’ambasciatore e il console, i militari italiani e il presidente dell’Anpi di Berlino, per le commemorazioni ufficiali. Abbiamo deposto un mazzo di fiori con il nastro tricolore e la dedica. E ci è sembrato di essere riusciti ad abbracciare idealmente un nostro fratello di Accettura, solo in territorio straniero da quasi 80 anni, e ci è sembrato con il nostro viaggio di averlo virtualmente riportato nel paese natale e nel cuore dei nostri giovani che non lo conoscevano. Eravamo, e siamo tutt’ora orgogliosi, di questo umile gesto.

Umberto ci ha generosamente ospitato e noi quattro, da buoni meridionali, abbiamo cercato di ricambiare con doni alimentari, da quelli tipici dell’Emilia-Romagna a un pacco di spaghetti. Il giorno dopo abbiamo visitato Berlino recandoci alla porta di Brandeburgo, in Alexanderplatz, e visitato il Memoriale dell’Olocausto, dove infinite viuzze strettissime, costruite con lastre di pietra nera, raccontano la storia del nazismo e delle sue atrocità con filmati, foto e testimonianze vocali. Una esperienza sconvolgente, tanto da togliere il respiro.

Per il pranzo ho inutilmente cercato il locale che frequentavo quando da giovane, durante le vacanze scolastiche, andavo a trovare da mio padre, emigrante in Germania e Svizzera. Rammentavo gli ottimi wursterl serviti allora.

La mattina del 6 novembre siamo partiti presto in direzione di Amburgo per recarci sulla tomba di Nicola Loscalzo. Era una giornata tipicamente autunnale, uggiosa e nebbiosa.

Il cimitero di Amburgo è ben tenuto, con vialetti puliti e siepi e aiuole ordinate. Anche qui le sepolture dei civili amburghesi sono disposte a corona e al centro è il sacrario dei caduti: in 5 blocchi, sono raccolte 6.580 lapidi di ragazzi assassinati dai criminali nazisti.

Era in corso una cerimonia di dissepoltura di 5 militari originari di Asti, le cui salme sarebbero state trasportate in Italia, a testimoniare l’eterna gratitudine che ogni paese e città nutre per i propri figli eroi.

Abbiamo conosciuto alcune persone e tutti gli italiani che man mano arrivavano, emigrati da ogni parte d’Italia, e anche un nostro conterraneo, don Luigi Pignola di Potenza.

Ci siamo messi alla ricerca della nostra lapide. È toccato di nuovo a me individuarla per primo. Le palpitazioni e l’orgoglio mi hanno assalito di nuovo. Di nuovo con gli amici ci siamo raccolti in preghiera, abbiamo deposto il mazzo di fiori e la scritta della comunità di Accettura.

Don Luigi

Dopo i saluti dell’ambasciatore e il discorso del rappresentante dell’Anpi, don Luigi ha celebrato la messa per tutti i caduti e naturalmente per Nicola. Una commemorazione solenne con deposizione di corone delle autorità, portate dai militari e seguiti da ambasciatore e console, più in là un trombettiere ha intonato il silenzio, intorno le infinite tombe dei caduti.

Il console si è poi trattenuto con noi e Susanne Wald ci ha donato un libro dal titolo “Abbiamo detto ‘No’”. È una scrittrice tedesca che ha una casa a Rotonda in Basilicata. Abbiamo poi vistato il centro di Amburgo e, inutile dirlo, di wurstel neanche l’ombra; infine eccoci di nuovo in viaggio per rientrare a Berlino.

Il giorno dopo, il 7 novembre, siamo partiti prestissimo per Varsavia, dove volevamo rendere omaggio ad Antonio Garaguso. Dovevamo percorrere circa 700 km ed essere nel cimitero alle ore 12. Ero ansioso per un percorso che non conoscevamo e per il termine perentorio che il rappresentante dell’ambasciatore ci aveva posto. Pur arrivati puntuali a Varsavia, è stato difficoltoso arrivare a cimitero di Bielany: il navigatore ci segnava un luogo e quando lo avevamo raggiunto ricalcolava il tragitto. Per fortuna da lontano abbiamo visto la cancellata.

Ci aspettavano il rappresentante militare italiano e Pavlov, il custode del cimitero, un passato da ciclista professionista è stato a lungo in una squadra italiana.

Le lapidi erano ordinate, con piccoli fiori dappertutto, segno che c’erano già state le commemorazioni ufficiali.

Dopo aver visitato il cimitero, il custode ci ha condotti attraverso un corridoio un po’ angusto costellato a destra e sinistra di tombe, di colpo si è fermato e ci ha indicato: ecco il vostro Antonio. Abbiamo deposto la corona e un mazzo di fiori con sopra la dedica della nostra comunità, ci siamo raccolti in preghiera.

Ma a nessuno è sfuggito che avevano sbagliato a scrivere il cognome: Garaluso Antonio era scritto sulla lapide. Abbiamo fatto notare l’errore e ci hanno assicurato che avrebbero rifatto la targhetta. Il custode ci ha poi raccontato che Antonio non è stato sempre sepolto in quel cimitero, fino a circa 20 anni fa era a Zgorzelec/Gorlitz, a 500 km di distanza, in seguito i caduti italiani sono stati tutti raggruppati nel cimitero di Varsavia.

In questo viaggio ci siamo sentiti istituzioni, fratelli, ma, soprattutto, discepoli del sacrificio di quei tre ragazzi che per la libertà del nostro Paese hanno donato la loro vita. I nostri giovani di oggi devono essere nutriti di queste storie e sacrifici. Quello di cui godiamo è stato conquistato con sacrifici e sofferenze di tanti e deve essere difeso con forza da noi tutti.

Il giorno dopo siamo ripartiti per l’Italia, dopo aver percorso 4.200 km nel centro Europa. Posso dire che finalmente, e solo in Polonia, sono riuscito a mangiare dei buonissimi wurstel con patatine fritte, annaffiati da una birra weiss.

Col pensiero abbiamo rivolto un ultimo saluto a Donato, Nicola e Antonio, nomi e storie impalpabili fino a prima del viaggio. E ribadito un impegno solenne stretto davanti alle loro tombe: vi riporteremo a casa, in montagna, dove ci sono boschi pieni di castagni, cerri e agrifogli. Lì non sarete più soli.

Giuseppe Chiarillo, Anpi Matera