Matilde Collavini: la fierezza

Nel pomeriggio del 24 febbraio, quando tutti scendono alla fermata della metro Repubblica, il mio viaggio continua fino alla fermata Flaminio.

Sopravvissuta all’interminabile viaggio in autobus da Pisa a Roma, mi ritrovo in Piazza del Popolo, esattamente di fronte al palco sul quale dovrò salire, con i piedi incollati al pavimento e nemmeno uno straccio di ombrello per ripararmi dalla pioggia che mi inzuppa. Ormai ci rinuncio, lascio che questa pioggia mi scivoli addosso nella speranza che mi liberi dall’ansia.

L’unica cosa che tengo al sicuro è la lettera di Anita Malavasi, la Comandante partigiana “Laila”, scomparsa nel 2011. Fra poche ore dovrò salire sul palco e riuscire a renderle onore con la mia lettura. E come posso farlo?

Mi sento minuscola di fronte a una delle donne cui devo la mia libertà, la stessa possibilità di angosciarmi all’idea di salire sul palco.

Preso coraggio e salita, osservo la piazza da un punto di vista mai sperimentato. Nei tre anni passati di mobilitazioni, sono sempre stata dall’altra parte, in mezzo alla folla, parte di un corpo. Oggi sono sul palco, esposta, avvolta in una maglia pubblicitaria troppo grande e circondata da persone che trovano nella scena il loro ambiente.

Però, mentre la piazza si riempie e prende vita, mi cresce dentro un sentimento da tempo sepolto: la fierezza. Mi sento fiera di essere su questo palco, fiera di mantenere viva la memoria di Anita.

Il mio coraggio lo prendo dalle persone che vedo arrivare, ogni tanto scorgo le bandiere amiche della Rete degli Studenti Medi e dell’Unione degli Universitari e mi sento al posto giusto.

Non ci sono parole per descrivere quel momento, ti scatta qualcosa dentro e all’improvviso percepisci la grandezza di quello che stai facendo, il potere di una piazza gremita di persone, l’importanza della politica e dell’associazionismo.

Viviamo in un periodo storico particolare, nel quale il senso collettivo sta svanendo con il risultato di un mondo giovanile, e non solo, autoreferenziale e isolato. Gli studenti concepiscono la politica come qualcosa di lontano ed estraneo e i valori fondanti della Costituzione non sanno nemmeno quali siano. Sentendosi impotenti davanti a un mare di informazioni disparate, gli studenti non sanno come orientarsi e si lasciano andare alla placida disinformazione. Lo capisco perché, pur facendo parte di un Sindacato Studentesco, spesso sento un paralizzante senso di impotenza di fronte ai processi, perché spesso sono sopraffatta dalla completa immobilità che vedo dall’altra parte, perché spesso mi sento stanca. Non sono l’unica a sentirsi così, la piazza del 24 febbraio l’ha dimostrato, però questo ci pone di fronte a una decisione: si può avere paura e decidere di piegarsi, o si può avere paura e reagire, trasformare questo timore in impegno e dedizione. Io, come le altre decine di migliaia di persone a Roma, ho scelto la seconda opzione e vi assicuro che è la migliore.

Federico Luigi Alfeo: stanco ma felice

Dopo l’attentato di Macerata, l’Italia è stata scossa dal suo torpore: finalmente tutte le televisioni, i giornali e i mezzi di informazione hanno iniziato a occuparsi dell’ascesa dei movimenti di estrema destra. Si rendeva necessaria una risposta, che dimostrasse che il Paese aveva in sé, ancora, una forte tradizione antifascista. Questa risposta si è concretizzata nel corteo di Macerata del 10 febbraio e nella manifestazione nazionale di Roma del 24 febbraio.

Ho partecipato con convinzione alla manifestazione di Roma, anche perché, in quanto antifascista, sentivo che era pure una mia responsabilità trovarmi in piazza con i lavoratori, gli studenti, gli immigrati, le associazioni, la comunità Lgbt e tutte le forze antifasciste del Paese.

Roma era invasa da centinaia di migliaia di antifascisti, 100.000 in tutto, accorsi da tutte le parti d’Italia per fare in modo che i fatti di Macerata non si ripetano. Nella piazza c’erano entusiasmo e partecipazione, e Roma, nonostante la pioggia, appariva bellissima come sempre.

Il corteo è partito da piazza della Repubblica, sfilando per le principali vie e piazze della Capitale, tra musica e canti partigiani. Il corteo si è poi concluso in Piazza del Popolo dove era stato allestito un palco. Le note dei Modena City Rambles hanno siglato questa prima parte della manifestazione: canti della Resistenza, e storie di lotta hanno emozionato me e il pubblico. Forse è anche per questo che ho letto, con molto trasporto, il brano di Eusebio Giambone, fucilato dai nazifascisti e morto per i suoi ideali di giustizia ed eguaglianza: una delle tante testimonianze che dimostrano la tradizione antifascista del nostro paese.

Dalla musica e dall’allegria del corteo siamo quindi passati alla riflessione sulla storia di questo Paese e sui personaggi che più hanno contribuito a costruire l’Italia di oggi. Una ragazza ha letto un brano sulla condizione delle donne partigiane che, nonostante le difficoltà del momento, erano libere, non solamente dal regime nazifascista, ma anche dall’oppressione di genere patriarcale; libere di amare e di sognare.

Le letture si concludevano con un brano di Piero Calamandrei sulla Costituzione, recitato con passione da una studentessa delle scuole superiori.

Molto riflessivi, in seguito, gli interventi della neo senatrice a vita, Liliana Segre, sopravvissuta ai campi di concentramento nazisti e della Presidente nazionale dell’Anpi, Carla Nespolo.

Così come accadde dopo la crisi del ’29, con la crisi economica globale del 2008, assistiamo in tutto il mondo al riemergere di movimenti reazionari e xenofobi. In un clima di disagio e difficoltà generale, diviene molto facile, per una classe politica opportunista, dare la colpa al migrante, all’emarginato, al diverso.

In questo quadro, dobbiamo essere consapevoli che il fascismo non è rappresentato solamente da qualche partito estremista che si richiama al ventennio, bensì è un fenomeno diffuso presso tutti gli strati della società, soprattutto laddove c’è più miseria economica, culturale e sociale. In quest’ottica la manifestazione del 24 febbraio è un punto di partenza, l’inizio di un percorso. Il fascismo si nasconde tra le pieghe della società, tra quelle classi popolari che si vedono recapitare ogni settimana la busta della spesa da CasaPound e purtroppo quelle persone in piazza non scendono per quanto giusti e nobili siano gli ideali antifascisti. Per sconfiggere il fascismo, è necessario estinguere prima il carburante che lo alimenta e quindi dare delle risposte non solamente culturali, ma anche economiche e sociali. Portare i quartieri nelle piazze e le piazze antifasciste nei quartieri.

Per questo il 24 febbraio non deve essere la conclusione di un percorso, ma l’inizio di una profonda riflessione sulle ragioni che hanno portato i fascismi ad alzare nuovamente la testa. Come antifascisti dobbiamo avere a cuore gli ideali della Resistenza, sapendoli però declinare nella realtà storica in cui viviamo. Questo però non significa chiamare il fascismo con altri nomi, o sottomettersi alla logica degli opposti estremismi, che vorrebbe equiparare fascismo e antifascismo, ma avviare un percorso di profonda rivalorizzazione delle tematiche a noi più care.

Per queste ragioni, tutti noi, ora più che mai, dovremmo dichiararci antifascisti, sempre.

Con questa consapevolezza, stanco ma felice, ho preso il treno alla stazione di Roma Termini per ritornare a Pavia, la mia città, dove continuo la mia battaglia politica, arricchita anche da questa esperienza.