Non sempre le storie belle ed emozionanti incontrano una cinepresa. Come è stato per il regista Steven Spielberg che dalla vicenda dei fratelli Niland, aveva tratto ispirazione per il film “Salvate il soldato Ryan”, Oscar per la regia nel 1998.
Dalla bassa bresciana, grazie al minuzioso lavoro di archivio di uno studioso, emerge un’altra vicenda dall’incredibile somiglianza.
Questa volta lo scenario è quello della Grande Guerra e i protagonisti sono i cinque fratelli Visini. Una famiglia che, dopo la scomparsa del papà Giuseppe, si reggeva sui sacrifici della mamma Margherita, che aveva anche un’altra figlia più piccola.
La famiglia Visini era originaria di Piario, in provincia di Bergamo, territorio della Valle Seriana Superiore che all’epoca contava circa 500 abitanti, la metà degli attuali. Erano discesi in cerca di fortuna dai 539 metri di Piario alla fertile pianura di Roccafranca, a 30 km da Brescia. Probabilmente il trasferimento era inserito nel fenomeno della transumanza di mandriani, mungitori e garzoni di origine montanara. Non erano tempi facili, a prescindere dal Primo conflitto mondiale, per chi non disponeva di mezzi e proprietà e aveva come unico mezzo di sussistenza i magri guadagni dell’agricoltura e dell’allevamento “sotto padrone”. La situazione peggiora con la partenza alle armi dei figli Pietro, Giovanni, Luigi e Angelo.
Pietro, classe 1887, è richiamato cinque anni dopo la conclusione del servizio militare e arruolato nel I reggimento alpini, battaglione Val Tanaro. Perde la vita il 20 giugno 1917, colpito da una scheggia al capo, nel corso dei combattimenti per la conquista del monte Ortigara. sull’altopiano di Asiago, che dopo una battaglia molto violenta e l’impiego di 400.000 soldati rimane in mano austriaca.
Girolamo Prandini, questo il nome dello studioso, ha ritrovato anche delle lettere che il soldato scriveva alla moglie. In una, datata febbraio 1917, con un italiano stentato ma comprensibile chiede alla moglie Rachele Inverardi notizie dei figli Giuseppe, Angelo e Pierina (mi viene sempre inmente anceloro poverini macosavuoi fare mi credevo divenire presto inlicensa), dei fratelli dei quali non conosce la sorte e si lamenta per non avere ricevuto da tempo sue lettere (mipare cheio nontio deto niente di male maio vorei sapere ilperce nonmi scrivi).
Questa lettera fa parte di una voluminosa documentazione, proveniente dagli archivi di Stato e comunali, di oltre 400 pagine di appunti scritti sul contributo di Roccafranca alla Patria. “Ho iniziato a lavorarci cinque anni fa, in coincidenza con il centenario di conclusione del conflitto. Il covid ha rallentato le ricerche, per la difficoltà di accedere agli archivi”.
Il sogno di Prandini è trasformare la sua ricerca in una pubblicazione con un titolo suggestivo “Dalla terra alla guerra”, uguale a quello dato a una mostra che aveva organizzato in passato. “Nelle schede e documenti ho riscontrato che la stragrande maggioranza dei nostri soldati erano contadini, con le sole eccezioni di un sarto e un panettiere. Nelle lettere ai familiari chiedono con insistenza notizie del raccolto e degli animali. In paese erano rimaste solo le donne, essendo al fronte tutti gli uomini abili alle armi”.
L’otto settembre 1918 perde la vita anche Giovanni Visini, classe 1891, per una meningite “dovuta a causa di servizio” prestato nei Carabinieri Reali di Milano, come attesta l’ufficiale di matricola Raimondi. Era un ragazzo coraggioso, che in paese lavorava come mandriano, che si era già distinto nell’8° reggimento Bersaglieri durante la guerra di Libia 1911-12, un impegno di 22 mesi premiato con il conferimento di una medaglia. Tre giorni dopo il sindaco di Roccafranca, Giovanni Bellini, su sollecitazione della mamma Margherita, scrive al comando dell’Arma per la restituzione degli effetti personali e in particolare di due orologi, un anello d’argento e della paga maturata. La legione territoriale dei Carabinieri Reali risponde al sindaco il 22 settembre, precisando che il loro militare risultava in possesso di un solo orologio con catena al momento del ricovero nell’ospedale militare di Milano.
Il terzo figlio, Luigi, classe 1892, era stato fatto prigioniero degli austriaci il 21 giugno 1917 ed era recluso a Mahren. Il 9° reggimento Bersaglieri, nel quale era arruolato, è impegnato nelle azioni militari per la conquista del monte Ortigara, al pari degli alpini del fratello Pietro, morto un giorno prima della sua cattura. Rimane insoluto il dubbio se si siano visti, o abbiano avuto almeno consapevolezza della poca distanza tra loro.
Giacomo, classe 1896, dopo una lunga convalescenza all’ospedale militare di Milano, era stato riformato come cieco di guerra.
All’appello manca solo Angelo, classe 1900, richiamato alle armi e distaccato al 7° Fanteria, 13ª compagnia, distaccamento di Guidizzolo in provincia di Mantova, con mamma Margherita sempre più sola e disperata. A questo punto, come solitamente avviene nei percorsi narrativi universali (ma in questo caso non si tratta di fiction), irrompe la figura dell’eroe nelle vesti del commissario agricolo comunale Giuseppe Alfieri.
Il commissario agricolo comunale ai tempi ricopriva un ruolo importante, in particolare nelle comunità rurali come Roccafranca, per verificare lo stato di coltura dei terreni e le colture obbligate, monitorare le condizioni della manodopera agricola locale, agevolare il rifornimento di sementi fertilizzanti e macchine. I commissari agricoli comunali e intercomunali dipendevano gerarchicamente dal commissario provinciale, che in alcune funzioni (lo svolgimento di fiere e mercati degli animali bovini) interagiva con figure di vertice come il Prefetto.
È al commissario agricolo provinciale che si rivolge l’omologo comunale in data 23 settembre 1918 per rappresentare la situazione drammatica di mamma Margherita e dei suoi figlioli e chiedere di intervenire sulle autorità competenti per il rientro a casa di Angelo. “Ottenendo che almeno uno dei figli sia reso sano e abile a lavorare alla povera vedova, la S.V.Illma avrà compiuto un’opera santa avrà privato la patria di un valido aiuto di un bravo soldato ma avrà fatto ottenere una grande giusta e doverosa ricompensa alla madre che tanti figli ha dato alla Patria e sarà come una ricompensa un premio della patria stessa alla madre addolorata”. Di grande attualità il sottolineare che, non potendo le leggi disciplinare “tanti e tanti casi dolorosi, resta quindi in facoltà dei dirigenti e di coloro che sono chiamati a governare il rimediare alle lacune immancabili alla legge”. La missiva era rafforzata dall’adesione formale con delibera della giunta comunale, unita a “…calda preghiera perché accogliendo sia esaudito l’ultimo desiderio della povera madre”. In una contingenza storica così grama l’impegno delle autorità locali, in favore dei propri concittadini, è un dato da sottolineare, tanto più quando ottiene gli effetti sperati.
Il soldato Angelo, il nostro Ryan, torna a casa e riprende il lavoro nei campi, offrendo sostegno morale ed economico alla povera mamma. La Grande Guerra, con il suo pesante carico di morti e distruzione, si chiuderà l’11 novembre 1918 con la resa della Germania e l’armistizio di Compiègne. È sorprendente come il destino della famiglia Visini combaci con quello dei quattro fratelli Niland, fonte di ispirazione del regista Spielberg, con l’unica differenza che i fatti accaddero nel corso del Secondo conflitto mondiale. Persero la vita il sergente Robert “Bob”, il 6 giugno 1944, e il giorno dopo il tenente Preston, nel corso dello sbarco in Normandia. Il sergente Edward fu imprigionato in un campo giapponese in Birmania e liberato nel maggio del 1945. Infine il sergente Frederick “Fritz”, il soldato Ryan della trasposizione cinematografica, impegnato nella campagna di Normandia, si salvò e fece ritorno dai genitori a Tonawanda, un comune dello stato di New York.
La storia dei fratelli Visini, dell’altrettanto eroica mamma Margherita, meriterebbe una valorizzazione pari ai loro sacrifici, che li faccia conoscere al grande pubblico. Il loro esempio, in un periodo caratterizzato dalla scarsa memoria storica e da un preoccupante disimpegno etico, si intona perfettamente con l’esortazione che in una delle scene finali del Salvate il soldato Ryan il capitano Miller (Tom Hanks) sussurra all’orecchio del soldato Ryan (Matt Damon): “Meritatelo”!
Silvio Masullo
Pubblicato sabato 9 Dicembre 2023
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