“Tra i francesi che s’incazzano…”: per ragioni completamente diverse da quelle elencate nell’immortale Bartali di Paolo Conte, i francesi, ancora una volta, si incazzano. E riempiono le piazze. La riforma delle pensioni, attualmente in discussione al Parlamento, è infatti gravemente indigesta per la maggioranza della popolazione. Secondo i sondaggi eseguiti da dall’istituto Viavoice, dopo tre settimane di manifestazioni, una settimana di dibattito all’Assemblée Nationale, l’equivalente della nostra Camera, e ore di spiegazioni ministeriali su tutti i media, il 56% dei francesi rimane fortemente contrario alla riforma portata avanti dal governo.

L’11 febbraio, la quarta giornata di mobilitazione, con una manifestazione organizzata al sabato perché potesse scendere in piazza chi, per motivi diversi, non aveva potuto scioperare e che ha visto la partecipazione di intere famiglie, oltre a studenti e lavoratori, i cortei hanno raccolto in Francia 963mila manifestanti, secondo il ministero dell’Interno. E secondo la stessa fonte erano 757mila il 7 febbraio, 1milione e 120 mila e un 1 milione e 270mila rispettivamente il 19 e il 31 gennaio. Secondo la Cgt, il sindacato francese fratello della Cgil, i manifestanti dell’ultima mobilitazione, giovedì 16 febbraio, sono stati oltre 2 milioni e mezzo, di cui 500 mila a Parigi (93mila per la Prefettura). In ogni caso si tratta delle manifestazioni con il più alto tasso di partecipazione dagli Anni 90 a oggi.

Intanto, dopo una settimana di dibattito acceso l’Assemblea ha approvato un solo articolo della riforma: restano ancora 16 mila emendamenti e 19 articoli da discutere. In particolare l’articolo 7, il più contestato, che porterebbe l’età pensionabile a 64 anni contro i 62 attuali. I deputati – e il governo – avevano tempo fino al 17 febbraio. Il governo ha infatti utilizzato l’articolo 47.1 della Costituzione francese che consente in sostanza di fissare una data limite per l’adozione di una legge e di superare quindi l’ostruzione parlamentare: «se l’Assemblée nationale non si è pronunciata in prima lettura entro venti giorni dal deposito di un progetto, il Governo si rivolge al Senato che deve pronunciarsi entro quindici giorni».

Dopo aver utilizzato per ben dieci volte in soli due mesi un altro articolo della Costituzione, il 49.3, secondo il quale «il Primo ministro può, dietro deliberazione del Consiglio dei ministri, impegnare la responsabilità del Governo davanti all’Assemblea Nationale sul voto di un progetto di legge di finanza o di finanziamento dell’assistenza sanitaria. In tal caso, questo progetto è considerato adottato, a meno che una mozione di censura, presentata entro le ventiquattr’ore che seguono, venga votata nelle condizioni previste al punto precedente. Il Primo ministro può, inoltre, ricorrere a questa procedura per un altro progetto o una proposta di legge per sezione».

In sostanza da oltre due mesi il Governo si sta sostituendo al Parlamento, bloccandone in un modo o nell’altro, l’attività su tutti i provvedimenti impopolari.

Così la protesta continua: il prossimo appuntamento è fissato per il 7 marzo, e sarà sciopero a oltranza.

Paola Vallatta, Anpi Parigi