Il 27 marzo è la giornata mondiale del teatro istituita nel 1962 dall’International Theatre Institute e dall’Unesco per celebrare l’importanza di quest’arte nella collettività. Una data simbolo che quest’anno avrebbe dovuto segnare la ripresa delle attività teatrali nelle zone gialle, purtroppo impossibile da attuare a causa dei contagi covid in aumento.
Oggi saranno molte le iniziative simboliche promosse dai lavoratori dello spettacolo, come quella di oscurare l’immagine dei profili social, sostituendola con un banner nero con la parola “buio”, come quello in cui brancola il comparto.
I teatri e i cinema, sono gli unici luoghi di cultura che dal primo lockdown dello scorso marzo non hanno più riaperto, tranne per un breve periodo in autunno nelle zone consentite. Una grave perdita per la cultura che si nutre anche della vivacità e della diversità di orizzonti e inciderà sui 59 miliardi prodotti dal settore dello spettacolo, pari al 4% del Pil italiano (dati Inps).
Ci sono delle realtà che, nonostante tutto, offrono teatro a domicilio, proprio come il cibo, attraverso menu d’arte per adulti e bambini, con la possibilità di poterli gustare affacciati a una finestra, su una terrazza condominiale, in un cortile e ovunque si possano rispettare le direttive dettate dall’emergenza sanitaria.
«Il Menu Avvolgente per nutrire l’anima e prevenire l’astinenza del cuore è servito» annuncia l’attrice Michela Cesaretti Salvi, al centro di uno spazio circolare delimitato da alcune panchine su cui siedono una decina di spettatori, giovani e adulti, all’interno di un’area pubblica del quartiere Monteverde di Roma. Qualcuno ha portato delle sedie da casa per ottimizzare gli spazi per il distanziamento imposto dalle norme anti covid; altri hanno bonificato l’area dai rifiuti.
Mentre la voce e le movenze dell’attrice narrano storie del panorama letterario italiano, della tradizione orale europea e di donne del secondo dopoguerra, il pubblico si emoziona, sorride dietro le mascherine, scoppia in lunghi applausi, chiede il bis. “Anche se eliminiamo il costume, il proscenio, le quinte, la sala, finché rimangono l’attore e i suoi movimenti, il teatro resta teatro” sosteneva l’attore e regista russo Vsevolod Mejerchol’d.
Questo lungo tempo sospeso, determinato dalle chiusure dei sipari, ha condotto a molte riflessioni sul corpo, elemento essenziale nel teatro: portatore di un virus, pericolo per altri corpi, incarnazione di un’emergenza psichica collettiva. Corpi come quelli del pubblico, la controparte senza la quale il teatro perde il suo significato di luogo di condivisione, di catarsi della sofferenza, complessità, spiazzamento, meraviglia e qualunque altra cosa sorprendente in grado di indurre alla cura e alla riflessione. L’arte si trasforma quindi in terapeuta della società, così come il terapeuta usa l’empatia per creare alleanza nel supporto dei suoi pazienti, l’arte, attraverso i corpi degli attori, può essere il mezzo attraverso il quale rispecchiarci tutti, osservarci, ascoltarci, comprenderci. Ancor di più in una situazione di malessere o disagio psico-emotivo come quella attuale determinata dal Covid.
«In generale c’è una tendenza a sottovalutare sia questo tipo di bisogno che gli effetti prodotti da un attore dal vivo sul corpo e sull’anima degli spettatori. La presenza è fondamentale nel teatro, ma in questo periodo si tende a dimostrare che tutto può essere delegato alla dimensione virtuale, anche per dare la sensazione alle persone di una minore impotenza rispetto alla situazione di fermo totale in cui siamo costretti. Il teatro si occupa anche di cose delicate che sono altrettanto necessarie soprattutto in un momento di criticità psichica. Riuscire a prendere contatto con una narrazione diversa del sogno, della poesia, della letteratura attraverso una persona in presenza è un toccasana per il pubblico e per chi sta sul palcoscenico» chiosa Cesaretti Salvi che ha aderito alle Usca, unità speciali di continuità artistica, parafrasi delle Usca – noti presidi sanitari fondamentali per l’emergenza Coronavirus – e rete fondata dall’attore Ippolito Chiarello a cui partecipano decine di attori che portano il teatro a domicilio su tutto il territorio nazionale.
Secondo Chiarello, sarebbe auspicabile che le Usca (quelle sanitarie) si componessero anche di un artista, oltre al personale medico-sanitario già previsto, sottolineando quanto l’arte sia un bene di prima necessità. Non si tratta di un’illazione visionaria: lo dimostra anche un rapporto del 2019 dell’Organizzazione mondiale della Sanità che analizza migliaia di dati scientifici, concludendo che teatro, pittura, danza, letteratura o cinema sono strumenti utili nella prevenzione delle malattie e migliorano la qualità della vita degli ammalati di patologie gravi come tumori, diabete, disturbi neurologici. L’utilizzo della musica nella gestione dell’Hiv, per esempio, migliora l’aderenza alle terapie e diminuisce, di conseguenza, il carico virale dei pazienti. Stando al rapporto, manca tuttavia una strategia europea sull’inclusione dell’arte nell’ambito medico.
«Il problema però è che in Italia, in particolare, c’è una considerazione del teatro piuttosto elitaria da parte della gente che pensa che per andare a teatro bisogna essere intellettuali o avere un certo tipo di reddito. Da undici anni sto facendo un lavoro, oltre a quello ufficiale di tournée, parallelo di prossimità e in profondità nei luoghi che non sono teatrali, come la strada, e cerco di creare nuovo pubblico, di far affezionare il pubblico al teatro, all’arte in modo che possano comprendere che è un’azione estremamente ordinaria che eleva lo straordinario. È un lavoro che dovrebbero fare istituzioni e artisti» dice Chiarello che ha girato l’Europa, fino a quando l’emergenza Covid lo ha permesso, con il Barbonaggio Teatrale, esperienza di spettacolo venduto a pezzi per le strade.
Altra risposta politica e poetica all’esigenza di andare verso il pubblico e per reclutarne di nuovo, è Consegne. Una performance da coprifuoco della compagnia bolognese Kepler-452, dove l’attore è un rider che si sposta in bicicletta per effettuare una consegna a sorpresa. Porta con sé il caratteristico zaino termico e un casco sul quale è posizionata una webcam attraverso cui il destinatario seguirà tutto il suo tragitto con un collegamento sulla piattaforma Zoom. Durante il percorso, gli spettatori-destinatari sono invitati a un dialogo con il corriere sul valore delle cose, in un momento storico in cui siamo costretti a riflettere su cosa sia essenziale.
Una performance che diventa altresì un omaggio alla figura del rider, simbolo di un sistema economico-sociale capitalista che prevede pochi diritti lavorativi e che punta solo alle funzioni collettive di acquisto e vendita della merce, acuitesi con la pandemia da Covid: il tempo libero e la socialità sono il pericolo da evitare, il non necessario da reprimere.
«Nel capitalismo c’è una certa refrattarietà nei confronti del teatro che si basa sulla lentezza e sulla riflessione, cioè prendersi del tempo improduttivo per riflettere in un mondo in cui il tempo è denaro» afferma Nicola Borghesi, attore e fondatore della Kepler-452, secondo cui il teatro ha bisogno di ridiscutersi anche in senso politico, diventando un luogo di resistenza.
«In questo contesto che è quello formalizzato da Margaret Thatcher del there is no alternative cioè dell’unico mondo con i rapporti di forza che conosciamo, resistere significa continuare ad immaginare altri mondi possibili per costruire insieme una realtà diversa. Il teatro potrebbe avere un ruolo interessante se si prendesse lo spazio per essere un luogo di “accanita contropressione” al tutto orribile che ci circonda».
Mariangela Di Marco
Pubblicato sabato 27 Marzo 2021
Stampato il 13/10/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/servizi/se-il-colpo-di-scena-e-una-piece-a-domicilio/