Una ricerca straordinaria sulla condizione degli oltre seicentomila militari italiani internati nei lager tedeschi dopo l’8 settembre 1943 che, leggiamo nell’introduzione, «rifiutarono di continuare a combattere con la Germania nazista e di aderire alla Repubblica sociale […] È una pagina rilevante della partecipazione italiana alla seconda guerra mondiale e della Resistenza». Una messa a punto decisiva, questo volume di Avagliano e Palmieri che hanno utilizzato diari, lettere, relazioni militari (italiane e tedeschi), che fa finalmente giustizia di una storia considerata fino a vent’anni fa minore e marginale. Invece, come scrisse Nuto Revelli, si tratta di «una delle più nobili e sofferte storie della Resistenza».
M. Avagliano, M. Palmieri, I militari italiani nei lager nazisti. Una resistenza senz’armi (1943-1945), Il Mulino, Bologna 2020
Paolo Berizzi conosce il neofascismo italiano come pochi, lo conosce talmente bene che vive ormai sotto scorta dopo la pubblicazione di Nazitalia (2019), a seguito di minacce e intimidazioni dei fascisti veronesi. Con L’educazione di un fascista Berizzi coglie un fenomeno inquietante: uno dei mezzi per far proselitismo tra i giovani del neofascismo contemporaneo sono le palestre, assieme al culto del corpo e della forza fisica: veri e propri campi di indottrinamento incentrati sulla gerarchia, sempre in nome di una visione hobbesiana, bellica e razziale della vita umana, oggi spesso camuffata sotto lo slogan “prima gli italiani”. Alla fine basta grattare un po’ e si trova sempre l’essenza del fascismo: violenza, voglia di menar le mani e abajo la inteligencia e viva la muerte. «Nel silenzio generale, lontano dai riflettori dei media, delle cronache, dell’agenda politica, tornano le colonie estive e i campi fascisti. Si organizzano adunate giovanili, escursioni e canti nostalgici. Ai ragazzi viene trasmesso il culto della forza fisica sul ring e i tatami delle arti marziali».
P. Berizzi, L’educazione di un fascista, Feltrinelli, Milano 2020
Einaudi ripubblica in una accuratissima edizione filologica l’ultima opera di Carlo Levi (1902-1975), uscita postuma nel 1979. Scrittore, antifascista, pittore, saggista, Carlo Levi non è autore unius libri (uomo di un solo libro), nonostante l’immortale Cristo si è fermato a Eboli, ma ha scritto anche una delle migliore cronache dell’Italia del dopoguerra, L’orologio, ed è l’autore di un saggio filosofico forse troppo sottovalutato, “Paura della libertà” (sebbene recentemente Giorgio Agamben ne abbia curato una riedizione per Neri Pozza). Nel 1973 Levi, in un periodo di cecità dovuta al distacco della retina, scrisse appunto il Quaderno a cancelli, uno zibaldone di memorie dell’infanzia, riflessioni, sogni, diario contemporaneo e, infine, poesie. In una pagina dell’8 agosto 1973 l’autore intona il suo personale plazer. Il plazer era un genere in voga nella poesia provenzale in cui si elencavano le cose fondamentali della propria vita (qualcosa di simile accade in una scena memorabile di Manhattan di Woody Allen). E dunque “le cose senza di cui non”: la madre, la casa di via Bezzecca a Torino, l’amore sensuale come rivelazione del mondo, la scrittura e la pittura, gli amici Piero Gobetti e Rocco Scotellaro, la Lucania e, infine, la compagna di una vita Linuccia Saba, figlia di Umberto.
C. Levi, Quaderno a cancelli, a cura di R. G. Geroni, Einaudi, Torino 2020
Valerio Tosi, classe 1928, è un fisico nucleare e fu giovanissimo partigiano nella zona del Basso Sarca (TN), dove partecipò alla battaglia finale per la liberazione di Riva del Garda. Nel 2016 raccolse in un sottile libriccino non solo i suoi ricordi di combattente per la libertà, ma anche una sorta di compendio della Resistenza italiana e di quella norvegese, istituendo tra la storia e le vicende dei due Paesi (in uno vi nacque, nell’altro vive) interessanti confronti. E così la giovinezza a Riva, la scoperta dell’antifascismo al liceo Franchetti, la Resistenza col fratello, i compagni di scuola e alcuni professori si affiancano all’amarezza del dopoguerra in un Paese presto dimentico del contributo comunista alla Liberazione e ad esso ostile e alla decisione di andarsene altrove, in Norvegia.
Di Valerio Tosi Patria ha raccolto anche la viva voce, in una intervista che si può leggere e ascoltare nella sezione “Profili partigiani” o cliccando qui.
V. Tosi, Sotto l’ombra di un bel fiore, Ibiskos editrice 2016
Pubblicato giovedì 26 Marzo 2020
Stampato il 05/02/2023 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/terza-pagina/bottoni/bottoni-n-11/
Periodico dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia
Mimmo Franzinelli, Nicola Graziano, Un’odissea partigiana – dalla Resistenza al manicomio, Feltrinelli 2015, pp. 224, euro 18.
Nel dopoguerra numerosi partigiani incarcerati o internati negli ospedali psichiatrici giudiziari per lunghi anni dopo processi civili per azioni di guerra. L’amnistia e un sistema giudiziario restato fascista. La ricostruzione delle storie di sette reclusi nel manicomio di Aversa
In occasione dell’anniversario della fucilazione dei fratelli Cervi, un emozionante articolo del 1954 su di un incontro fra i genitori delle Medaglie d’Oro martiri del nazifascismo e le Medaglie d’Oro sopravvissute
La cruciale sfida di Stalingrado, una svolta decisiva per le sorti della seconda guerra mondiale. Una battaglia di duecento giorni, combattuta e vinta da un intero popolo, entrata nella leggenda
Tra il dicembre 1942 e il gennaio 1945 nelle zone occupate e annesse al Regno d’Italia la repressione si farà sempre più feroce: “Sembra che le strade di Lubiana siano ormai intransitabili per le nostre truppe: ogni portone e ogni persona nascondono un’insidia”. Nel ricordo dei partigiani martiri, Anpi e Zbb-Nob rinsaldano l’amicizia tra i due popoli
Cento anni fa l’eccidio a La Spezia: 19 i martiri dello spietato “sistema torinese di dieci per uno” esportato, ancor più efferato, nella città ligure. Mussolini e “il doppio binario” della normalizzazione con la teorizzazione “dell’utilità dell’uso della forza” nella repressione politica e nei luoghi di lavoro
Le dichiarazioni del titolare del dicastero della Cultura del governo Meloni sull’Alighieri “fondatore del pensiero di destra in Italia”, comprese le goffe correzioni di rotta, sono spia della equivoca natura politica di FdI, sospesa tra la fedeltà alla matrice postfascista e la conversione al conservatorismo. Con tanto di precedenti nel ventennio, rispondono a un disegno ambizioso da non sottovalutare
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