25 aprile 1945. Ingresso dei partigiani a Milano

Venticinque d’aprile. Sarò con tanti altri a tenere discorsi, ad ascoltare discorsi, a sfilare in corteo, a deporre fiori, a commuovermi davanti a una lapide, a una tomba, a scambiare ricordi, a fare riemergere episodi, a trarre dal grigiore del tempo trascorso fisionomie care, immagini di volti rimasti giovani per sempre. Quante volte ci ho pensato, guardando le rughe inarrestabili che si sono diramate sul mio viso e su quello dei compagni: a loro, a quelli che ci sono stati sottratti nel fiore della giovinezza, questo affronto è stato risparmiato, i loro volti sono rimasti, nella nostra mente e nel nostro cuore, integri e sereni, luminosi e aperti; e non importa, nulla cambia, se il piombo e la malvagità li sfregiarono, sono passati indenni attraverso la ferocia e il tempo.

Ha ragione Elena Bono, la dolce severa tenace voce della nostra Resistenza:

«Era a voi riservato,/ non al mondo, il destino migliore» … «ogni uomo umano/ vi dovrà invidiare./ Troppo bello ubbidire ad una legge/ che non fu mai scritta,/ morire secondo il proprio cuore./ Voi siete corsi ai monti/ e nessuno vi ha potuto fermare:/ la libertà dimora sulle alte montagne,/ difficile segreta maliosa creatura./ Eravate i più belli:/voi siete rimasti con lei».

Partigiani

Salirò sulla montagna, ai vecchi diruti «casoni» che ci furono d’asilo, ai casolari rustici e affumicati ove trovammo conforto; cercherò una traccia sulla antica mulattiera ove si inerpicarono ansiose le scarpe rotte, un segno sul muretto di pietra a secco che conobbe il fremito della stanchezza e l’ansia della paura. Vagherò nei boschi, attraverso cespugli e alberi che tante volte ci accolsero ospitali; sui crinali nitidi dai quali si aprivano sconfinati gli orizzonti della speranza. Mi chinerò sulla terra ove so che il compagno caduto trovò riposo e berrò alla sorgente ove in tanti ci affannammo ad alleviare l’arsura durante la lunga marcia. Sentirò il vento sussurrare tra le fronde, sibilare sulle praterie e mi porterà memorie e voci e canti, i canti della montagna partigiana, i versi dell’entusiasmo, della malinconia, della fierezza, dell’ingenuità, della speranza.

Percorrerò le strade sulle quali, rotto il fronte nemico, anche gli italiani, con le loro bandiere tricolori, avanzarono tra l’entusiasmo della gente a portare libertà e pace.

Tutto questo farò, il venticinque d’aprile, e il mio cuore palpiterà forte, colmo di commozione e di passione e non si arrenderà di fronte alle indifferenze e alle ironiche curiosità dei tanti che non sanno e ai quali non importa capire. E sarò pago.

Ma se fossi non già un poeta, che a tanto non aspiro, bensì un cantautore, per esprimermi con la voga dei giorni nostri, vorrei scrivere e cantare una canzone che suonasse così:

«Voglio cantare una canzone – che abbia il sapore della libertà. – Voglio cantarla in cima ai monti – da dove il vento scende alle città – voglio cantarla in riva al mare – da dove il vento entra sulle piazze – e cantarla ai ragazzi e alle ragazze – perché la libertà sappiano amare – perché sappiano amar la libertà».

Sarebbe un canto triste, dapprima. Parlerebbe di scontri, di fame, di paura; di uomini fucilati, impiccati, uncinati, al rogo, torturati; di paesi incendiati, razziati, distrutti; di impietosi talloni di ferro sull’asfalto, sui ciottoli e sulle zolle; di crepitii aspri nelle vallate o davanti ai muri delle esecuzioni; di squallidi lager dal rigore ossessivo, di brutalità inumane, di umanità straziata, di dignità spezzata, di corpi travolti, di volute di fumo dall’alto dei camini dei forni crematori.

Ma anche di passi guardinghi e veloci sul tappeto dorato delle foglie nella boscaglia, di lunghe attese e bisbigli attorno a un fuoco amico, di represse nostalgie per gli affetti lontani, di gesti coraggiosi e di quei canti ingenui e stonati che sostenevano l’animo.

Ma, poi, parlerebbe anche di quei giorni luminosi che alfine arrivarono, delle bandiere al vento, della rotta del nemico, degli abbracci e della gioia, ferita dall’ultimo prezzo che fu necessario pagare: la scomparsa del compagno caduto quando già la vittoria s’aveva in pugno, scomparso così, come l’ultimo raggio del sole sul far della sera.

E parlerebbe, quel mio canto, di volti sicuri, tesi verso l’avvenire, dai profili netti, dagli sguardi decisi; e si sovrapporrebbero, quei volti di giovani di cinquant’anni fa, a quelli dei giovani d’oggi cui vorrei indirizzare la mia canzone per far loro capire quanto tortuosa e aspra fu la via che si dovette percorrere per giungere a quel venticinque d’aprile che non è soltanto nostro, ma anche loro.

E perché sappiano amare e difendere sempre, per sé e per gli altri, quella libertà che a così caro prezzo fu loro data in dono.

Sì, tra una frase e l’altra, il ritornello dovrebbe tornare insistente:

«voglio cantare una canzone

che abbia il sapore della libertà

… perché la libertà sappiano amare

perché sappiano amar la libertà».

(da Patria Indipendente n. 6/7 del 25 aprile 1995)


Roberto Bonfiglioli nato il 20 aprile del 1926 a Recco (GE), subito dopo l’8 settembre si unisce ad un gruppo di giovani antifascisti raccoltisi a Recco attorno ad Aldo Bianco con il nome di battaglia “Ruby”. Continua ad agire nella zona fino al maggio 1944, mantenendo i collegamenti tra i diversi ambienti antifascisti. Entra poi a far parte della formazione “Giustizia e Libertà” sotto il comando di Antonio Zolesio (Umberto Parodi), dislocata tra il fiume Trebbia, Aveto e la Val Fontanabuona, con epicentro nel paese di Barbagelata. A fine maggio, mentre da Moconesi stava portando un messaggio a quello che sarebbe divenuto il Comando Militare Ligure, viene arrestato dalla Gnr e condotto alla questura di Genova , dove è sottoposto a pesanti interrogatori. Nel tragitto verso la Casa dello Studente riesce a fuggire e a tornare alla sua formazione.

Ripresosi dalle violenze subite, partecipa alla liberazione di prigionieri politici ed ebrei rinchiusi nel campo di Calvari. Nuovamente arrestato in novembre da reparti della Divisione Monterosa, anche questa volta riesce a fuggire, raggiungendo la 5ª Armata americana sul fronte delle Apuane. Arruolatosi nel nuovo esercito italiano, fa parte del Gruppo di Combattimento “Cremona”, impegnato con l’8ª Armata britannica sul fronte dell’Adriatico. Partecipa ai combattimenti del Po di Primaro, alla Battaglia del Senio e alla liberazione di Chioggia e Venezia. È stato presidente dell’Anpi provinciale di Genova, segretario dell’Anpi Nazionale e condirettore di Patria Indipendente fino alla sua morte avvenuta nel 2000.