arton20016Ogni giorno nelle acque dei nostri mari donne, uomini e bambini si mettono in viaggio per l’Europa con la speranza di una vita migliore, ma non tutti riescono a sopravvivere; alcuni muoiono annegati.

Secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) nel 2015 sono stati oltre 3.700 i migranti che hanno perso la vita attraversando il Mediterraneo. Un numero così alto da far orrore, ma che, purtroppo, non cessa di aumentare. Sono esseri umani costretti a cercare un rifugio al di fuori della propria patria a causa della guerra o di improvvisi e dannosi cambiamenti ambientali.

È a loro che l’artista cinese Ai Weiwei ha dedicato il suo ultimo progetto artistico, iniziato sull’isola di Lesbo e mostrato a Berlino il 13 febbraio scorso. L’artista, noto per il suo impegno a favore dei diritti umani, ha realizzato un’opera temporanea di grandi dimensioni, semplice e di grande impatto emotivo. Si tratta di un’installazione in ricordo della memoria delle vittime del mare, allestita durante la settimana del Festival internazionale del cinema berlinese, la Berlinale.

ai-weiwei-art-installationL’artista ha avvolto le colonne dalla facciata di una delle sale concerti più prestigiose della capitale tedesca, la Konzerhaus, nella centrale piazza del Gendarmenmarkt, con oltre quattordicimila giubbotti salvagente arancioni. Sull’edificio ha poi appeso anche un gommone nero con l’hashtag #SafePassage: un manifesto rivolto alla comunità per sollecitare all’apertura di corridoi umanitari per evitare ulteriori stragi.

202445630-260de9be-3c13-47f4-b657-d694d89f7694In pieno stile Ai Weiwei l’opera fa riflettere e commuovere: ogni salvagente appeso alle colonne porta con sé il ricordo di una traversata via mare drammatica subita da un migrante, un profugo o un richiedente asilo. «Molte persone – ricorda l’artista – hanno perso la vita in mare: abbiamo bisogno di un memoriale. Per questo ho creato uno studio a Lesbo».

È nell’isola greca, punto di arrivo per migliaia di migranti, che l’artista ha cominciato a sviluppare il proprio lavoro, raccogliendo i giubbotti salvagente lasciati dai profughi una volta sbarcati sulla terra. I salvagente per Ai Weiwei non sono soltanto il simbolo dei profughi ma anche il simbolo dello sciacallaggio perpetrato dai trafficanti di vite umane perché, venduti a prezzi altissimi, sono fabbricati con materiali scadenti. Salvagente, dunque, che non salvano nessuno ma servono solamente ad arricchire persone spregevoli che lucrano sulle disgrazie della povera gente. Sempre secondo l’OIM, nel solo mese di gennaio 2016 sono sbarcati in Grecia oltre sessantamila migranti, superando di molto i 1.500 arrivati nello stesso mese nel 2015. La maggior parte di loro sono siriani e arrivano a Lesbo dalla Turchia.

In più di una occasione l’artista cinese ha utilizzato la propria arte per scuotere l’opinione pubblica a favore della causa dei migranti. Come quando, a inizio 2016, si è fatto fotografare dall’artista indiano Rohit Chawla simulando l’immagine di Aylan Kurdi, il bambino siriano morto in mare mentre tentava di raggiungere la Grecia il 2 settembre 2015, la cui foto è diventata l’emblema dello strazio dei migranti. E non solo. A gennaio, per protestare contro la nuova legge danese che prevede la confisca dei beni dei migranti, fortemente criticata anche dal Consiglio d’Europa, Ai Weiwei ha fatto chiudere una sua personale a Copenaghen, ritirando inoltre una sua opera al museo ARoS ad Aarhus.

Ai Weiwei during a performance at a refugee camp on the Greek-Macedonian borderNel mese di marzo, Ai Weiwei ha poi portato un pianoforte al confine fra la Macedonia e la Grecia, nella tendopoli di Idomeni, dove i migranti provano a oltrepassare la frontiera per arrivare in Europa del Nord e, sotto una pioggia battente, ha coperto con un telo lo strumento, permettendo a Nour Al Khizam, una rifugiata siriana scappata da Deirez Zor, di suonare alcuni brani. L’evento, filmato dall’artista, è diventato una performance che fa parte di un più ampio progetto documentaristico dedicato appunto ai migranti.

Quella di Ai Weiwei è un’arte di lotta e di impegno politico, etico e sociale. «L’arte – sostiene l’artista – sconfiggerà la guerra». Un’arte, la sua, dell’impegno militante sempre più doverosa perché, negli ultimi tempi, molti Paesi europei hanno inasprito le politiche sui migranti. In Germana, per esempio, la Cancelliera Angela Merkel vorrebbe rendere più dure le norme per concedere il diritto d’asilo ai migranti e rendere più facile le espulsioni; in Svezia, il ministro dell’interno Anders Ygeman ha dichiarato la possibilità di espulsione per tutti i richiedenti asilo a cui non è stato riconosciuto lo status di rifugiato. Inoltre, Austria, Germania, Danimarca, Slovacchia, Svezia e Norvegia hanno chiesto di sospendere il trattato di Schengen.

I migranti, sembra banale ricordarlo, non migrano per scelta, ma sono costretti unicamente dalla necessità di fuggire dalla povertà e dalla guerra per non morire. Ogni donna e ogni uomo che vede attentare alla propria vita non solo deve avere il diritto di fuggire per mettersi in salvo, ma deve avere il diritto di non essere lasciato solo nella propria tragedia. Proprio come afferma il primo articolo della Dichiarazione universale dei diritti umani, firmata a Parigi il 10 dicembre 1948: «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza».

«È tragico», ammonisce Papa Francesco, che chi fugge dalla povertà non sia «riconosciuto come rifugiato nelle convenzioni internazionali». È opportuno sollecitare chi ci governa ad affrontare con impegno il tema della solidarietà, dell’ospitalità e dell’accoglienza verso chi, forzatamente, ha avuto la necessità di abbandonare la propria casa. E, in questo senso, Ai Weiwei è un pioniere. Attualmente sono oltre 10 milioni i richiedenti asilo e rifugiati che hanno dovuto abbandonare il proprio Paese per mettersi in salvo da persecuzioni, guerre e violazioni dei diritti umani. Come l’arte così anche la politica, l’Europa e le istituzioni internazionali non possono essere indifferenti, ma dovrebbero trovare soluzioni alternative, proponendo una sintesi dignitosa fra i conflitti del mondo e la comunanza delle genti.

Francesca Gentili, critica d’arte