Fin da piccola vive a contatto con i grandi artisti del tempo, ne assapora i colori e nella bottega del padre Orazio, mostra da subito un’abilità nel dipingere fuori dal comune: è Artemisia Gentileschi (1593–1653), pittrice di prim’ordine, fine intellettuale e donna combattente. Già nell’infanzia ha la possibilità di ammirare molti capolavori, dai Caravaggio ai Guido Reni, e con intelletto vivo e temperamento risoluto si cimenta nel ritrarre la figura umana, tratto per il quale ancora oggi è ammirata. Artemisia è un’eccezione per la sua epoca: a quei tempi le donne non hanno la possibilità di dipingere, se non come pratica domestica, e non sono ammesse nelle accademie; non possono neppure camminare per strada da sole. Artemisia invece lotta per la sua affermazione come pittrice. È l’unica donna in Italia – dirà di lei lo studioso Roberto Longhi nel 1916 – «che abbia mai saputo che cosa sia pittura, e colore, e impasto, e simili essenzialità».
Vittima di uno stupro appena diciassettenne, non si chiude nel suo dolore, ma denuncia pubblicamente l’accaduto e, attraverso l’arte, si riscatta. E riscatta tutte le donne vittime della prepotenza maschile. Nonostante il processo difficile che la coinvolge, Artemisia continua a rivendicare giustizia. Sottoposta a umilianti visite mediche e dolorose torture per accertare la verità dei fatti, Artemisia non è mai creduta. Al contrario è guardata con sospetto proprio perché fa «esercizio di pittura». Artemisia però non indietreggia, e grida la sua rabbia per aver subito violenza. Possiamo considerare Artemisia la prima femminista della storia, la prima che ha avuto il coraggio di denunciare un uomo, riuscendo ad imporre, almeno moralmente, la sua verità.
«Io – scriverà l’artista – la figlia di un farabutto, la disonorata da un delinquente, io non voglio che mi sia concesso dipingere, io lo farò e basta, solo perché sono brava». E con tutto il sentimento possibile realizza Giuditte vendicatrici, Cleopatre, Maddalene, e ancora sante, dame e suonatrici dai toni caravaggeschi. Artemisia dipinge l’universo femminile con passione in uno stile moderno, quasi contemporaneo, rivoluzionando, con la sua prospettiva, le regole della società in cui vive. La forza espressiva dei suoi soggetti racconta una storia di libertà e autodeterminazione; la storia di una donna che, sicura delle proprie capacità, sfida il suo tempo e diventa una grande artista. «Io vi sfido – scrive Artemisia in una lettera – mi farò vendetta con la pittura, dipingerò quadri potenti come nemmeno ho visto fare a Caravaggio quando frequentava mio padre. La conosco la sua Giuditta che taglia la testa a Oloferne: l’ho rifatto uguale il movimento delle braccia, ma la mia eroina non ha quell’espressione schifata nel momento di far zampillare la vena giugulare, né tira indietro il busto per paura di sporcarsi l’abito. Io affonderò la mia spada con voluttà. Dove siete, pittorucoli? Io posso uccidere e sgozzare il più grande dei vostri campioni con le vostre stesse armi che considerate maschili».
Giuditta che taglia la testa a Oloferne è uno dei lavori più potenti che Artemisia realizzerà: l’artista fissa sulla tela l’istante del trapasso dalla vita alla morte di Oloferne per mano di Giuditta, in una scena tanto vibrante quanto cruenta. In molti hanno letto la drammaticità della trasposizione in pittura dell’episodio biblico un chiaro collegamento con le vicende personali di Artemisia: la furia della donna sull’uomo come espressione di vendetta di una donna violata e oltraggiata. Quest’opera, fino al 7 maggio 2017, insieme a numerose altre, è in mostra nella Capitale, nella rassegna allestita nelle sale del Museo di Roma a Palazzo Braschi: Artemisia Gentileschi e il suo tempo. Si tratta di un viaggio nella pittura della prima metà del XVII secolo, alla scoperta di una delle figure femminili più importanti della storia dell’arte. Accanto alle tele di Artemisia, infatti, compaiono quelle dei suoi colleghi, frequentati a Roma, Firenze, Napoli, Venezia e anche a Londra: Guido Cagnacci, Simon Vouet, Giovanni Baglione, Jusepe de Ribera solo per citarne alcuni. Fra i dipinti più noti di Artemisia, oltre a Giuditta che taglia la testa a Oloferne del Museo di Capodimonte, troviamo Ester e Assuero del Metropolitan Museum di New York, l’Autoritratto come suonatrice di liuto del Wadsworth Atheneum di Hartford Connecticut, e Danae del Saint Louis Art Museum. Il percorso di visita ripercorre l’intera vita dell’artista, rivelando al grande pubblico aspetti autentici e meno conosciuti di Artemisia: trenta le opere autografe, che offrono una indagine accurata sulla sua carriera dagli esordi romani ai soggiorni a Firenze (dal 1613 al 1620) dove diventa amica di Galileo Galilei, di nuovo a Roma (1620-1626), Venezia (dalla fine del 1626 al 1630) e, infine, a Napoli, dove vive fino alla morte.
Grazie ad un talento indiscusso e un temperamento fiero, Artemisia è un esempio positivo per ogni generazione, una donna che, nonostante le difficoltà che la vita le ha riservato, è riuscita ad affermare se stessa ed essere libera.
Francesca Gentili, critica d’arte
Pubblicato venerdì 17 Febbraio 2017
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