Enrico Fermi (da http://www.atomicheritage.org/sites/default/files/Enrico%20Fermi%20chalkboard_0.jpg)
Enrico Fermi (da http://www.atomicheritage.org/sites/default/files/Enrico%20Fermi%20chalkboard_0.jpg)

Quando, nel 1933, il Ministero per l’Educazione Nazionale impose ai docenti delle università italiane di giurare la propria fedeltà al fascismo, pena la perdita del posto di lavoro, solo dodici professori ebbero il coraggio di rifiutare, sopportandone le gravissime conseguenze. Gli altri 1.500 circa invece ubbidirono.

Certo, non tutti coloro che giurarono erano fascisti: non a caso, tra coloro che giurarono ci sono illustri personaggi che hanno poi dato un contributo importante alla Resistenza ed alla Costituzione, come Concetto Marchesi, o che negli anni successivi furono esuli all’estero come Enrico Fermi e quasi tutti i suoi “Ragazzi di Via Panisperna”. Lo stesso Togliatti suggerì ai docenti iscritti o simpatizzanti del Partito Comunista clandestino di ottemperare all’imposizione, in modo da conservare la cattedra e poter diffondere gli ideali del socialismo tra i loro allievi. Anche il Vaticano diede lo stesso suggerimento, con analoghe motivazioni, ai professori cattolici che chiedevano cosa fare. Comunque, la maggioranza dei docenti, meno politicizzata, ubbidì senza convinzione, ritenendo il diktat la solita stravaganza senza significato del Ministero.

Pagine tratte dalla rivista La difesa della razza (da http://cronologia.leonardo.it/mondo23n.jpg)
Pagine tratte dalla rivista La difesa della razza (da http://cronologia.leonardo.it/mondo23n.jpg)

È tuttavia innegabile che diversi scienziati italiani aderirono effettivamente al fascismo: ben noto è il caso di Guglielmo Marconi, che dichiarò in moltissime occasioni la sua fede fascista e ne fu dal fascismo ampiamente ricompensato. Noto è anche il caso dei dieci promotori del “Manifesto della razza”, documento che diede una infame giustificazione pseudoscientifica alle successive leggi razziali fasciste. Si è molto discusso se il famoso endocrinologo Nicola Pende fosse tra questi dieci (il “Manifesto” uscì anonimo sul Giornale d’Italia, con la sola indicazione di essere stato sottoscritto da “illustri scienziati”): certo Pende fu un sostenitore di teorie razziste, ma notevolmente diverse da quelle che furono alla base delle leggi razziali e il tribunale, che nel 1948 lo processò per complicità nell’emanazione di quelle leggi criminali, lo ritenne innocente. Sicuramente però tra i promotori del “Manifesto” vi erano docenti universitari, direttori di ospedali e famosi medici, come ve ne erano tra il 320 “intellettuali” che successivamente aderirono a quel demenziale documento.

L’endocrinologo Nicola Pende
L’endocrinologo Nicola Pende

Tra gli altri scienziati fascisti, ricordiamo i chimici G. Bruni e F. Belloni, il geofisico G. A. Blanc (tutti eletti al parlamento nelle elezioni truccate del 1929), i farmacologi G. Donegani e C. Serono ed il demografo Corrado Gini, primo presidente dell’ISTAT. Tra loro, vi erano anche alcuni illustri scienziati ebrei, come il direttore dell’Istituto di Chimica industriale del Politecnico di Milano G. M. Levi, che ancora nel giugno del 1938, un mese prima che le leggi razziali lo costringessero a lasciare la cattedra, esaltava l’Italia fascista in un intervento ad un convegno scientifico.

Non sono molti altri gli scienziati italiani famosi che abbiano dato esplicitamente la propria adesione al fascismo, a parte le solite dichiarazioni di circostanza in occasioni ufficiali nelle quali gli accademici ritenevano (e purtroppo ritengono ancora) obbligatorio esprimere la propria riconoscenza al governo in carica. Sicuramente però, almeno nei primi anni, il fascismo godette di una notevole popolarità in ambiente accademico.

Ciò fu dovuto al fatto che, dopo l’Unità d’Italia, la comunità scientifica italiana era scarsamente influente, perché frammentata in un gran numero di piccole università, eredità dell’epoca preunitaria, ognuna sottofinanziata e scarsa di personale, mentre le altre nazioni europee, con una più lunga tradizione di Stato nazionale, avevano da tempo organizzato il proprio sistema accademico in strutture di grandi dimensioni e quindi con maggiore capacità di ricerca. A questa situazione di frammentazione, il fascismo oppose, nella seconda metà degli anni 20, una forte azione centralizzatrice, con la creazione del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), dell’Istituto Superiore di Sanità e dell’ISTAT, strutture destinate non solo a fare ricerca ma anche a finanziare e coordinare i piccoli istituti universitari e ad indirizzarne gli studi. Naturalmente, ognuna di queste strutture aveva il suo obiettivo fissato dal governo nell’ottica della visione del mondo fascista, al quale doveva strettamente attenersi. Contemporaneamente, nei discorsi del duce, di Giovanni Gentile e dei ministri dell’Educazione Nazionale successivi e di altri gerarchi anche di alto livello, veniva esaltata la figura dello scienziato, come persona utile alla nazione ed al suo progresso. Sembrava quindi che il richiamo del fascismo alla “modernità”, presente fin dalle sue prime “elaborazioni teoriche”, dovesse effettivamente tradursi in un forte potenziamento della ricerca scientifica e tecnologica.

In realtà (come spesso accade per i richiami alla “modernità”, chiunque li faccia) erano tutte chiacchiere: l’impostazione gentiliana, che vedeva la cultura come puramente umanistica e la scienza solo come uno strumento utile alla tecnologia, penalizzando gli studi scientifici di base considerati troppo astratti, non poteva funzionare. Gli studenti iscritti nelle facoltà scientifiche calarono del 26% tra gli anni accademici 1921-22 e 1939-40. Le ricerche sviluppate dal CNR per ottemperare agli ordini del governo di contribuire all’autarchia e allo sviluppo del potenziale militare del Paese rimasero senza applicazione da parte di una imprenditoria in buona parte già allora interessata solo al profitto immediato. Inoltre i fondi del CNR furono distribuiti in modo clientelare e ricerche, anche di eccezionale importanza, non furono finanziate: ne è un esempio il caso del gruppo di Fermi, al quale furono tagliati i finanziamenti dopo la morte del loro principale sostenitore, il fisico e politico Orso Maria Corbino. L’allontanamento dai loro incarichi degli scienziati ebrei, che tanto avevano dato allo sviluppo della scienza in Italia, e la loro sostituzione con docenti spesso di scarso valore scientifico ma di sicura fede politica (almeno in apparenza) completò la distruzione del poco di buono che era stato realizzato negli anni precedenti.

Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, il breve amore tra gli scienziati italiani e il fascismo era già finito e, alla caduta del fascismo, la quasi totalità dei docenti universitari (anche quelli che avevano rubato la cattedra ai colleghi ebrei) fece a gara nel dichiarare di non avervi mai aderito. 

Eugenio Curiel in un famoso disegno di Guttuso
Eugenio Curiel in un famoso disegno di Guttuso

Tuttavia, per non lasciare il lettore con l’impressione che tutti gli scienziati italiani fossero – per convinzione o per opportunismo – fascisti, vorrei ricordare almeno tra gli studiosi che diedero il loro contributo alla Resistenza: il chimico Michele Giuia (principale collaboratore di Vittorio Foa nell’organizzazione dei gruppi di “Giustizia e Libertà” a Torino), il naturalista Erasmo Marrè (partigiano combattente con il nome di “Minetto”, comandante della Brigata “Arzani”), il chimico Enrico Mattei (organizzatore e dirigente delle Formazioni Partigiane Cattoliche, poi Presidente dell’ENI e uno dei principali artefici del “Miracolo economico italiano” degli anni 50-60), il fisico Giulio Cortini, famoso per i suoi studi sui raggi cosmici, e il matematico Mario Fiorentini (i quali, a dire il vero, quando erano Gappisti a Roma erano ancora studenti), l’archeologo Ranuccio Bianchi Bandinelli, Renato Dulbecco (poi Premio Nobel per la medicina) e molti altri. Infine, vanno citati in modo speciale Gianfranco Mattei, ordinario di chimica al Politecnico di Milano, artificiere dei GAP Romani, suicida nel carcere di Via Tasso per non cedere alle torture naziste, ed il fisico Eugenio Curiel, Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Memoria, ucciso a Milano dai militi delle brigate nere il 24 febbraio 1945: di lui, ho sentito dire da Amaldi: “Se non è diventato famoso come Einstein, è solo perché i fascisti lo hanno ammazzato prima che finisse i suoi lavori”

Vito Francesco Polcaro, scienziato dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia spaziale (Istituto Nazionale di Astrofisica), e membro del Centro per l’astronomia e l’eredità culturale dell’Università di Ferrara

 

Per saperne di più:

Luigi Cerruti, “I chimici e il regime fascista”, Minerva, Cultura scientifica per il cittadino, http://www.minerva.unito.it/Storia/ChimicaClassica/ChimiciItaliani/Chimici4.htm

Franco Cuomo, “I dieci. Chi erano gli scienziati italiani che firmarono il ‘Manifesto della Razza’”, Baldini&Castoldi-Dalai, Milano, 2005

Barbara Gallavotti, “La scienza secondo il fascismo”, http://www.galileonet.it/1999/03/la-scienza-secondo-il-fascismo/

Roberto Maiocchi, “Il fascismo e la scienza”, http://www.treccani.it/enciclopedia/il-fascismo-e-la-scienza_(Il_Contributo_italiano_alla_storia_del_Pensiero:_Scienze)/

Roberto Maiocchi. “GLI SCIENZIATI DEL DUCE. Il ruolo dei ricercatori e del CNR nella politica autarchica del fascismo”, Roma, Carocci, 2003