Da http://www.informarexresistere.fr/wp-content/uploads/2014/06/l43-siria-armi-chimiche-121224133510_medium.jpg

Come è noto, vengono dette “armi chimiche” tutte le sostanze tossiche usate per uccidere, ferire o comunque mettere fuori combattimento il nemico.

Queste sostanze sono moltissime, ma i tipi più comuni sono gli irritanti, sostanze leggermente tossici e non letali (lacrimogeni, urticanti, starnutatori), i vescicanti, letali o no (come l’yprite e la lewisite), i soffocanti sempre letali (come il fosgene e la cloropicrina), i veleni sistemici, sempre letali (come i gas nervini)

Le armi chimiche sono classificate dalle Nazioni Unite come armi di distruzione di massa, e la loro produzione e stoccaggio sono stati messi al bando dalla Convenzione sulle armi chimiche del 1993, riconfermata fino ad oggi, con diverse piccole revisioni.

Al contrario di quanto è accaduto nelle trattative per mettere al bando le armi nucleari, quelle per la Convenzione sulle armi chimiche videro rapidamente la convergenza di USA e Russia e di tutte le altre maggiori potenze militari, perché queste armi sono quasi sempre state considerate inumane ed il loro uso condannabile.

Infatti, non solo la Convenzione dell’Aia sulle Leggi e i Comportamenti di Guerra Terrestre del 1899 proibiva agli stati firmatari l’uso di gas asfissianti o lacrimogeni, ma addirittura già il senato romano aveva stabilito, sino dall’epoca repubblicana, il divieto dell’uso militare dei veleni. Evidentemente, da epoca molto antica qualcuno aveva pensato di usare sostanze velenose come arma, ma questa azione fu per secoli considerata totalmente immorale.

Effettivamente, anche se la storia registra qualche caso di uso bellico di sostanze tossiche, fu solo con l’inizio del XX secolo che gli Stati Maggiori dei Paesi industrialmente più sviluppati cominciarono a considerare superato questo antico tabù morale, dato che lo sviluppo della chimica aveva messo a loro disposizione una gran quantità di sostanze estremamente letali che, almeno in linea di principio, potevano permettere di annientare il nemico con minime perdite dei propri soldati. La Prima Guerra vide così un vasto impiego di armi chimiche.

Da http://www.centoannidiguerre.org/wordpress/wp-content/uploads/2015/04/0.jpg

Anche se fu probabilmente l’esercito francese il primo ad usare granate di artiglieria che, esplodendo, rilasciavano gas lacrimogeni o starnutenti, fu sicuramente quello tedesco il primo ad usare gas letali.

Il principale artefice di questa drammatica innovazione fu un genio della chimica, Fritz Haber (1868–1934), insignito del Premio Nobel del 1918 per aver sviluppato prima della guerra un metodo per sintetizzare, ad alta pressione e temperatura, l’ammoniaca direttamente dall’idrogeno e dall’azoto atmosferico. Questa invenzione ha effettivamente permesso di produrre fertilizzanti a basso costo, salvando dalla morte per fame intere popolazioni. Però Haber, un ebreo convertito al luteranesimo forse più per facilitare la propria carriera accademica che per convinzione, era anche un nazionalista fanatico e sostenitore della stravagante teoria per la quale gli scienziati in tempo di pace devono lavorare per l’umanità, ma in tempo di guerra debbono lavorare solo per la propria patria. Così, allo scoppio della Grande Guerra, Haber mise l’istituto che dirigeva a disposizione del governo tedesco e convinse lo Stato Maggiore a sperimentare e poi utilizzare gas tossici mortali sui campi di battaglia. Haber era infatti convinto che una vittoria rapida del Kaiserreich poteva essere ottenuta solo dall’uso di armi chimiche letali, che avrebbero permesso alle truppe tedesche, debitamente protette, un’avanzata inarrestabile al di là delle trincee nemiche. A Ypres, in Belgio, il 22 aprile 1915, Haber supervisionò di persona il primo attacco contro le trincee francesi e inglesi con un gas vescicante a base di cloro e zolfo che da quel giorno fu chiamato yprite, anche se la sostanza era già nota da mezzo secolo essendo stata ottenuta per caso dal chimico inglese Gutrhie (che certo non la aveva considerata come un’arma). Dal punto di vista militare, l’attacco fu un successo, dato che colse le truppe nemiche impreparate, ma la moglie e assistente di Haber, Clara Immerwahr, una delle prime donne tedesche laureate in chimica, si suicidò per il rimorso otto giorni dopo questo episodio. Tuttavia, Haber continuò nei suoi esperimenti sulle armi chimiche, convinto che queste avrebbero costretto il nemico a capitolare rapidamente, salvando così molte vite. Non fu così, anzi quasi tutte le nazioni belligeranti svilupparono ed usarono nuovi gas letali, aggiungendo un altro orrore all’inutile massacro della guerra. A guerra finita, Haber ritornò ai suoi studi civili, inizialmente stimato ed onorato dai suoi concittadini, salvo poi essere cacciato dal suo incarico perché ebreo all’avvento del nazismo nel 1933 e morire a Basilea, nel 1934, dimenticato da tutti salvo che dai pochi amici che gli erano rimasti. Il nazismo però non ebbe problema ad usare un’altra invenzione di Haber, il Zyclon-B, che il chimico aveva brevettato come insetticida, nelle camere a gas dei suoi campi di sterminio.

Da http://www.centoannidiguerre.org/wordpress/wp-content/uploads/2015/04/0.jpg

In realtà, nel primo conflitto mondiale, le armi chimiche non sortirono l’effetto voluto, perché si rivelarono meno efficaci delle armi tradizionali sul piano militare. Così, dopo la guerra furono di nuovo messe bando, con il Protocollo di Ginevra del 1925, perché considerate inutilmente crudeli.

Il divieto fu violato solamente nel 1935-36 dalle truppe italiane durante l’aggressione fascista all’Etiopia, che in quella occasione si macchiarono di un crimine orrendo, inventando quella combinazione che avrebbe costituito l’incubo di tutto il XX secolo: il bombardamento aereo con armi di distruzione di massa. Come testimoniano le parole dell’Imperatore d’Etiopia Hailé Selassié nel suo intervento di fronte all’assemblea generale della Lega delle Nazioni per denunciare l’aggressione dello stato fascista contro il suo popolo (luglio 1936),

“Sugli aeroplani vennero installati degli irroratori, che potessero spargere su vasti territori una fine e mortale pioggia. Stormi di nove, quindici, diciotto aeroplani si susseguivano in modo che la nebbia che usciva da essi formasse un lenzuolo continuo. Fu così che, dalla fine del gennaio 1936, soldati, donne, bambini, armenti, fiumi, laghi e campi furono irrorati di questa mortale pioggia. Al fine di sterminare sistematicamente tutte le creature viventi, per avere la completa sicurezza di avvelenare le acque ed i pascoli, il Comando italiano fece passare i suoi aerei più e più volte. Questo fu il principale metodo di guerra. Ma la vera raffinatezza nella barbarie consisté nel portare la devastazione ed il terrore nelle parti più densamente popolate del territorio, nei punti più lontani dalle località di combattimento. Il fine era quello di scatenare il terrore e la morte su una gran parte del territorio abissino. Questa terribile tattica ebbe successo. Uomini ed animali soccombettero. La pioggia mortale che veniva dagli aerei faceva morire tutti quelli che toccava con grida di dolore. Anche coloro che bevvero le acque avvelenate o mangiarono i cibi infetti morirono con orribili sofferenze. Le vittime dei gas italiani caddero a decine di migliaia.”

In realtà, questo feroce crimine di guerra fu ancora più grave perché l’arma chimica fu usata solo per portare a termine l’invasione nel più breve tempo possibile, non per una effettiva necessità militare.

6 maggio 1936

Anche se l’uso dell’aviazione ne aveva semplificato l’uso, queste armi restavano comunque scarsamente affidabili perché troppo dipendenti dalle condizioni atmosferiche. Inoltre, esse erano divenute poco utili contro un nemico che si fosse preparato per difendersene, come erano ormai tutti gli eserciti delle nazioni più industrializzate allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Perciò, e probabilmente anche per il timore di ritorsioni, anche se tutti i contendenti possedevano armi chimiche nei propri arsenali, in pratica in questo conflitto non le usò nessuno, neppure i tedeschi che le avevano impiegate per primi nella precedente guerra mondiale o i fascisti che le avevano impiegate pochi anni prima.

Tuttavia, a guerra finita e fino alla Convenzione del 1993, tutti gli Stati che avevano vinto la guerra continuarono a produrle ed a svilupparne di nuove, con la stessa logica dell’equilibrio del terrore che negli stessi anni stava facendo moltiplicare gli armamenti nucleari. Le principali potenze militari non usarono però mai queste armi negli eventi bellici nei quali furono coinvolte nella seconda metà del XX Secolo, a meno di non voler considerare un attacco chimico l’uso dei defolianti da parte delle forze armate statunitensi in Vietnam. Bisogna però dire che, in linea di principio, queste azioni non erano destinate contro gli esseri umani, ma contro la vegetazione che li proteggeva, anche se poi comportarono danni gravissimi anche alla popolazione civile.

D’altra parte, essendo ormai ben noto come produrre molti tipi di armi chimiche e dato che i relativi processi di produzione non comportano particolari complicazioni tecnologiche, queste armi cominciarono a diffondersi, specialmente in Medio Oriente, presso potenze militari minori che le consideravano una garanzia contro potenziali attacchi atomici da parte di un nemico in possesso di armamenti nucleari.

Così, durante la guerra tra Iraq ed Iran iniziata nel 1980, le armi chimiche furono di nuovo usate: in particolare, all’inizio del conflitto, l’Iraq utilizzò yprite e tabun tramite bombe lanciate da aeroplani. L’Iraq ed il governo degli Stati Uniti dichiararono che anche l’Iran stava usando armi chimiche, ma fonti indipendenti non furono in grado di verificare queste affermazioni. Circa 100.000 soldati iraniani furono vittima degli attacchi chimici iracheni ed i morti furono circa 20.000. A questi, vanno aggiunte le vittime nella popolazione civile nelle città di frontiera vicine alle zone bombardate, che nessuno ha mai stimato con precisione. Sempre l’aviazione irachena compì poi il 16 marzo 1988 un attacco chimico contro la città curda di Halabja: i morti furono circa 5.000.

Queste ulteriori stragi, ancora una volta senza risultati militari rilevanti, portò nuovamente alle trattative per il bando delle armi chimiche, che si risolse definitivamente con la convenzione del 1993, citata in precedenza.

Come si è detto, la Convenzione fu sottoscritta rapidamente dalle grandi potenze, che effettivamente iniziarono subito a smantellare i propri arsenali chimici e, anche se la procedura per distruggere le armi chimiche è molto più complessa e costosa di quella necessaria per realizzarle, risulta che ormai non ne posseggono quasi più. Diverse nazioni minori, però, non sottoscrissero la convenzione, sempre con la motivazione di considerarle come un deterrente contro un potenziale nemico dotato di armamento nucleare.

Un po’ per volta, le pressioni internazionali spinsero la maggioranza di queste nazioni ad aderire al bando: anche l’Iraq di Saddam Hussein aderì ed infatti, gli ispettori delle Nazioni Unite non trovarono traccia di queste armi, la cui presenza fu presa a pretesto per la Seconda Guerra del Golfo.

Una delle ultime nazioni a non avere sottoscritto la Convenzione del 1993 era la Siria, che, d’altra parte, non aveva mai usato il suo rilevante arsenale chimico. Tuttavia, la mattina del 21 agosto 2013 durante la guerra civile siriana alcune aree controllate dai ribelli nei sobborghi orientali e meridionali di Damasco, furono colpite da missili superficie-superficie contenenti sarin. Ribelli e governo siriano si accusarono a vicenda di aver perpetrato l’attacco. Il numero complessivo di vittime non è definito, ma le stime variano da 281 a 1.729 morti. Le indagini svolte dalle Nazioni Unite dal 25 al 31 agosto 2013 rivelarono chiare tracce di gas sarin nel terreno e sui cadaveri nelle zone colpite ed accertarono che la tipologia di gas era quella dell’arma chimica prodotta in URSS e fornita negli anni ’80 alle forze armate siriane. Tuttavia gli ispettori non furono in grado di indicare chi fosse il responsabile, dato che anche i ribelli, in gran parte disertori dell’esercito, avevano la possibilità di accedere ai depositi di armi chimiche. La comunità internazionale si divise: Stati Uniti, Paesi membri della NATO, Unione Europea e Lega Araba accusarono il governo di Bashar al-Assad, mentre la Russia e l’Iran accreditarono l’ipotesi di un attacco perpetrato dai ribelli. La forte opposizione russa ed anche dell’opinione pubblica occidentale, oltre all’incertezza sulle conseguenze, impedì una risoluzione ONU per un intervento militare internazionale in Siria. La crisi si risolse su iniziativa russa con l’adesione della Siria alla Convenzione sulle armi chimiche e con la distruzione sotto egida ONU dell’arsenale chimico siriano.

Da http://static.euronews.com/articles/362466/684x384_362466.jpg

Tuttavia, il 4 aprile di questo anno, la notizia di un nuovo attacco chimico in Siria, molto probabilmente con il gas nervino sarin, ha scosso l’opinione pubblica di tutto il mondo. Il bersaglio è stata la città di Khan Sheikhun, nella regione di Idlib, una zona sotto il controllo in parte dei ribelli antigovernativi, in parte di milizie islamiche estremiste vicine ad al Quaeda. L’attacco, che ha provocato un centinaio di vittime, tutti civili tra i quali donne e bambini, è stato compiuto nel corso di un bombardamento aereo da parte dei governativi. Di nuovo, il governo siriano ed i ribelli si accusano a vicenda. Naturalmente, se gli ordigni chimici fossero stati effettivamente sganciati dagli aerei non ci potrebbero essere dubbi sulla responsabilità dei governativi, dato che i ribelli non hanno aviazione. Ciò è stato ritenuto da Trump più che sufficiente per ordinare l’attacco alla base aerea siriana di Al Shayrat, senza aspettare una risoluzione dell’ONU e generando una grave crisi diplomatica con la Russia. Non si può però escludere che qualcuno abbia lanciato un missile superficie-superficie contenente sarin durante il bombardamento, per far ricadere la colpa sul governo siriano.

Bisognerà aspettare la commissione di indagine dell’ONU per sperare di capire qualcosa di questo nuovo crimine compiuto con le armi chimiche. Certo è che, come per l’attacco chimico del 2013, ancora una volta l’attacco di Khan Sheikun non ha cambiato di una virgola la situazione militare ed ha pesantemente peggiorato la situazione politica del governo siriano.

L’unica conclusione che si può trarre per ora è che le armi chimiche sono armi poco efficaci militarmente, anche se possono generare orribili stragi. Questo lo aveva già dimostrato la Prima Guerra Mondiale ed infatti da quel momento in poi sono state usate più per motivi politici che per ragioni militari. Per questo motivo, anche se sono state ripetutamente vietate, continuano a insanguinare il mondo.

Vito Francesco Polcaro, scienziato dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia spaziale (Istituto Nazionale di Astrofisica), e membro del Centro per l’astronomia e l’eredità culturale dell’Università di Ferrara 

Per saperne di più

Dunikowska M, & Turko L (2011). Fritz Haber: the damned scientist. Angewandte Chemie (International ed. in English), 50 (43), 10050-62 PMID: 21956893

Hailé Selassié, Intervento di fronte all’assemblea generale della Lega delle Nazioni (Luglio 1936), http://www.polyarchy.org/basta/documenti/selassie.1936.html