Il Segretario generale Onu Antonio Guterres aveva aperto i lavori della 72esima Assemblea Generale delle Nazioni Unite dichiarando: «Siamo un mondo in pezzi, abbiamo bisogno di un mondo in pace».
Trump lo ha immediatamente contraddetto, dichiarando: «Se la Corea del Nord continuerà a provocarci, non avremo altra scelta che distruggerla». A questa inequivocabile dichiarazione, Trump ha poi fatto seguire minacce altrettanto esplicite a Iran, Venezuela, Cuba, Siria, definiti, insieme alla Corea del Nord, «Stati canaglia» e «una minaccia per il mondo».
Naturalmente, la risposta verbale della Corea del Nord non si è fatta attendere: per Kim Jong-un Donald Trump è un «bandito» e «pagherà caro» le offese. Donald Trump «non è adatto a governare», è soprattutto un «vecchio rimbambito», «abbaia come un cane rabbioso» ed è «un gangster a cui piace giocare con il fuoco», che «ha reso il mondo inquieto con le sue minacce contro tutti i Paesi». «Lo domerò con il fuoco» ha concluso Kim Jong-un, mentre il ministro degli Esteri di Pyongyang dichiarava: «Stiamo pensando a fare esplodere una bomba all’idrogeno nel Pacifico».
Il punto è ora se, o meglio fino a quando, resterà sul piano verbale lo scontro tra questi due personaggi, che non sembrano dotati di grande capacità politica e che comunque non sono certo propensi alla mediazione.
Le provocazioni si susseguono da ambo le parti e ai test missilistici e nucleari nordcoreani gli USA rispondono con un imponente dispiegamento di forze nell’area ed ora anche con il sorvolo delle coste nordcoreane da parte di caccia-bombardieri. È inevitabile che, se non ci sarà un’improbabile inversione di rotta di una delle due parti, questa situazione genererà un incidente che darà la scusa per iniziare uno scontro militare.
Sotto il profilo dei rapporti di forza, è evidente che la Corea del Nord non è in grado di reggere lo scontro con gli Stati Uniti per più di qualche giorno. È anche chiaro che non si riproporrà lo scenario della Guerra di Corea del 1950-1953: Cina e Russia, anche se entrambe contrarie a qualsiasi soluzione armata della crisi, non hanno alcun interesse ad appoggiare militarmente la Corea del Nord in una guerra contro gli USA, hanno votato a favore delle nuove, pesanti sanzioni a Pyongyang al consiglio di sicurezza dell’Onu ed hanno immediatamente iniziato ad applicarle. Perché allora Kim Jong-un continua a fomentare uno scontro che non può portarlo altro che a una sconfitta?
Forse il governo della Corea del Nord conta sulla possibilità di utilizzare in qualche modo il proprio scarso arsenale nucleare. In effetti, subito dopo il discorso di Trump all’Assemblea delle Nazioni Unite, è stata reiterata la minaccia di «lanciare un missile sul territorio americano» ma, ammesso e tutt’altro che concesso che ciò sia possibile, questa azione non cambierebbe certamente l’esito dello scontro: per un missile che arrivasse sul territorio statunitense, ce ne sarebbero 1000 che arriverebbero su quello della Corea del Nord.
Una bomba nucleare, o forse termonucleare, su una flotta americana al largo delle coste della Corea sarebbe più realizzabile e potrebbe certamente produrre un effetto devastante, ma i vertici militari di Pyongyang non possono ignorare che, meno di 20 minuti dopo, l’intero territorio della loro patria sarebbe ridotto ad un ammasso di rovine radioattive per l’inevitabile e inarrestabile reazione missilistica USA. Lo stesso accadrebbe nel caso di un bombardamento nucleare sul Giappone o sulla Corea del Sud. Possono forse sperare che non ci sarebbe una reazione nucleare statunitense per timore di coinvolgere nel conflitto le potenze nucleari maggiori, ed in particolare la Cina? Sarebbe davvero poco saggio, dato che la Cina potrebbe, forse, reagire militarmente se il primo colpo nucleare partisse dagli USA, ma questi non hanno alcun interesse ad usare per primi armi non convenzionali, data la loro schiacciante supremazia numerica e tecnologica.
Forse Kim Jong-un spera di poter prolungare il confronto puramente verbale con gli Stati Uniti per un periodo abbastanza lungo da permettergli di costruire un arsenale nucleare e missilistico abbastanza potente da costituire una credibile minaccia anche per una potenza nucleare maggiore e di affrontare un’eventuale trattativa da una posizione più forte. Tuttavia Trump non sembra proprio disponibile a lasciargli il tempo per farlo, anche perché una vittoria militare potrebbe compensare il suo attuale calo di popolarità. D’altra parte neppure la Cina e la Russia vedono di buon occhio la crescente potenza nucleare da parte di un vicino vistosamente poco affidabile.
L’unica cosa certa per ora è che, come ha detto il Segretario Generale dell’ONU, siamo un mondo in pezzi ma abbiamo un disperato bisogno di un mondo in pace.
Vito Francesco Polcaro, scienziato dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia spaziale (Istituto Nazionale di Astrofisica), e membro del Centro per l’astronomia e l’eredità culturale dell’Università di Ferrara
Pubblicato martedì 3 Ottobre 2017
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