Non è la guerra, che pure fa da sfondo a tutto il racconto, né la vita degli esseri umani, pochi e densissimi, che qui narrano senza veli e timidezze la loro esistenza: la vera protagonista di Quando gli alberi parlano, primo romanzo di Donatella Alfonso da poco uscito per i tipi di Castelvecchi editore, è lei, la ‘Spianata’. Teatro naturale delle gioie e dei dolori della gente di un piccolo paesino dell’estremo ponente ligure, al confine con la Francia, la ‘Spianata’ è fin dalle prime righe del romanzo il cuore, il centro nevralgico, sentimentale e reale di tutta la narrazione.

Realtà geografica e creazione artistica si fondono fin dalla copertina del romanzo: se il nome del luogo scelto dall’autrice è un generico ‘Borgo’, che vale per molti luoghi nella sua accezione di ‘piccola cittadina’ sia dal latino tardo che dal germanico, è invece più che reale e fortemente simbolico il luogo fotografato: è il paesaggio di San Bernardo di Conio nell’Imperiese, nel settembre del 1944 teatro, nella zona di Monte Grande, di una violenta battaglia tra le Brigate partigiane imperiesi e le pericolose forze regolari tedesche, sopraffatte dalla strategia di una ventina di coraggiosi partigiani. Un luogo simbolico perché luogo di sangue, ma anche di scelte, vita, ideali.

Donatella Alfonso – scrittrice e giornalista, ricercatrice e saggista storica, da sempre impegnata in politica e nell’Anpi, una densa biografia e un’ingente bibliografia dedicate all’impegno sociale, alla cultura, alla cura e all’amore per l’ambiente, alle battaglie per la parità di genere e tant’altro – dà così nuova voce alla natura e le rende il ruolo che da sempre ha nella vita degli umani: protezione, sussistenza, cura e, soprattutto, ascolto e conforto.

I comandanti partigiani Franco Bianchi e Massimo Gismondi che guidarono la Battaglia di Monte Grande, 2-4 settembre ‘1944 (Archivio fotografico Anpi nazionale)

“Di notte, quando gli alberi parlano, salgo spesso su, alla Spianata. Parlano anche se non c’è vento, a chi sa ascoltarli. C’è sempre una foglia che cade, un uccello che si posa su un ramo, a cambiare verso al silenzio. Anche l’erba ha una voce, anche le pietre, se ci fai caso. Sembra un palcoscenico, la Spianata. Una striscia di pietre e d’erba, il muretto sotto, la fila degli alberi in fondo, i pini, il leccio, i noccioli. Se guardi bene oltre gli alberi, in certe notti di luna, vedi un’altra striscia: chiara, stretta, illuminata. È il mare, anche se chi non c’è nato, qui, non crede che si veda. Lontano, lontanissimo. Ma sembra sempre sapere cosa fai, ti guarda anche da lontano, anche quando gli volti le spalle”. Antonia, la protagonista ‘umana’ del racconto, accoglie fin da subito il lettore con i suoi pensieri che, in libertà, escono dalla mente e arrivano nella mente del lettore senza filtri, in una sorta di ‘flusso di coscienza’.

Anche gli alberi divennero “rifugi” partigiani (Archivio fotografico Anpi nazionale)

È qui che accadono i fatti più salienti della vicenda di Antonia, la vera protagonista del tutto, ed è sempre qui che lei si rifugia, in ogni età della vita, anche solo per fumare l’ultima, solitaria, sigaretta della giornata. È qui che tutto ha inizio e tutto ha la sua fine o, almeno, che si dipana il filo ingarbugliato di una storia tanto eccezionale quanto ‘normale’ perché incastrata in un tempo, la guerra, che azzera certezze, convinzioni, convenzioni e l’idea stessa di un possibile futuro.

Siamo nella seconda parte del secondo conflitto mondiale, che per l’Italia inizia con il fatidico 8 settembre 1943 ma che, in realtà, ha le sue radici già nel 25 luglio che lo anticipa e che, con le cadenze che ben conosciamo, genera la creazione di un nuovo volto del fascismo nella Repubblica di Salò.

In un’Italia lacerata nell’animo e bombardata, chi prima e chi dopo, sappiamo bene che a reagire per primi sono proprio i civili che, spesso organizzati anche con l’aiuto dei soldati tornati dal fronte, iniziano la complessa stagione della Resistenza al nazifascismo: è questo il contesto in cui si muovono i personaggi di Quando gli alberi parlano, abitanti di un piccolo borgo e tutti strettamente legati tra loro, clienti abituali della piccola bottega di Antonia e della sua famiglia.

(foto d’epoca di Paolo Monti)

La solida e mansueta mamma Gina e il papà Giuseppe, sempre preso dai suoi pensieri: “Questa figlia bella, con quegli occhi che non lo so, che un po’ mi fa paura. Eppure è brava eh, sarebbe proprio una brava maestra, lei voleva rimanere giù in città, un posto alla scuola delle suore lo aveva già ma la Gina per poco ci muore, «valla a prendere, valla a prendere» mi diceva, «che se poi bombardano, e mia figlia ci resta sotto, io come faccio, ci muoio?»”.

La vicenda si snoda tra la tarda primavera 1944, la prima data è il 16 maggio, e il 26 aprile 1981: il tempo narrativo fa da cornice al tempo dei fatti narrati e si divide in quattro parti – Parte prima. Il tempo dei Dubbi. Antonia, Parte seconda. Alma, Parte terza. Martin, parte quarta. Le fasi della luna e, infine l’Epilogo – quasi a scandire con ritmo di danza l’evolversi della vicenda, sia interiore che reale, di Antonia e delle persone a lei care.

Certo, è soprattutto una storia d’amore. L’amore possibile e plausibile della giovane e coraggiosa Antonia per Nini, il partigiano senza paura, amico e sodale di suo fratello Enzo con il quale si rifugia e combatte nel folto, ben oltre la Spianata. Antonia si ritrova a pensarlo così, tornando a casa dopo averlo incontrato: “Nini mi piace, è bello così abbronzato adesso che sta sempre all’aperto, ma l’amore è questo? Nei romanzi si parla della testa che ti gira, del desiderio che non ti fa capire più niente, ma a me quando sto con Nini la testa non gira, non riesco neanche a chiudere gli occhi quando mi bacia, ci provo ma poi, poi li riapro, e mi sa che lui se ne accorge…”.

Lapide in memoria di Rudolf Jacobs, militare tedesco che disertò dall’esercito occupante e morì combattendo con i partigiani (da memo.anpi.it, foto Daniele Borrini)

Ma poi c’è l’amore impossibile e impensabile, quello da ricacciare giù nel profondo. Quello che se ne frega delle diversità linguistiche, o geografiche, o culturali. L’amore che torna sempre a galla, inaspettatamente e orgogliosamente forte: “Mi ha detto delle cose, in tedesco, non so cosa, a parte Liebe, Liebe, che so che vuol dire amore, ma il resto non lo so, e io non volevo parlare, solo ascoltare, respirare la sua stessa aria, e per fortuna che si è alzato il vento e allora c’erano le raffiche a far rumore, a far parlare gli alberi. Quello che è successo l’ho vissuto, adesso ci penso. Ci penserò”. L’amore che ti cambia la vita.

Eccolo, il centro nevralgico del tutto, l’attimo in cui tutto cambia e che cambia per sempre il futuro di chi lo vive. I quarant’anni che seguono quell’autunno del ’44, le sue tragedie umane e storiche e le sue aperture fino agli inizi degli anni Ottanta, vengono dall’autrice tracciati con pennellate sicure e veloci: il boom economico che arriva fin al paesino un po’ nascosto, mentre la Spianata torna a essere quella di sempre, luogo di feste e di pic-nic, di innamorati appartati al sol della luna ascoltando Renato Carosone alla radio. E sembra quasi che nulla sia davvero accaduto.

Con la fine degli anni Sessanta, che tutto sembrano portar via come in un sogno beat, persino le foto in ceramica dei partigiani caduti sulle lapidi delle tombe e delle fucilazioni sembrano cosa lontana, passata, impossibile a credersi vera e seguiamo l’evoluzione del piccolo paese di mezza montagna a località quasi turistica sempre restando accanto ad Antonia, sarebbe meglio dire ‘dentro’ alla mente di Antonia. È lei la barra dritta da seguire, non solo alternandosi come voce narrante a quella stessa dell’autrice, Donatella Alfonso, ma come figura quasi iconica, simbolo, con la sua scelta di rinunciare al sogno di diventare maestra per restare a gestire il negozio di famiglia, di un mondo che cambia, di un’Italia intera che poggia tutte le sue gioie e i successi, ma anche le difficoltà e le incomprensioni, sulle spalle delle donne.

(Archivio fotografico Anpi nazionale)

Se la prima parte del romanzo è dedicata, è del tutto impregnata, delle tensioni e delle tragedie della guerra di Resistenza, e sono i suoi eroi – partigiani e staffette, parroci di paese coraggiosi fino alla morte, madri che nascondono, accudiscono, nutrono in silenzio rischiando la vita, stolti soldati nazisti, e delatori fascisti, che si macchiano di crimini inenarrabili – a emergere in assoluto, la seconda parte della narrazione fotografa l’evoluzione, attraverso le scelte e i silenzi, i segreti e le trepidazioni di Antonia, della condizione femminile, le sue emancipazioni e le sue solitudini.

Donatella Alfonso (Imagoeconomica, Sara Minelli)

Circolarmente, la storia si chiude come inizia, ovvero ‘Quando gli alberi parlano’: “C’era vento sulla Spianata, e Antonia aveva fatto fatica ad accendere la sigaretta, la fiamma del bic che continuava a spegnersi. Una mano nella tasca del giaccone, perché la primavera sui monti si dimentica di essere tale quando è sera, andò a sedersi sulla panchina più distante”.

Serve anche a noi, se lo vogliamo leggere con la giusta attenzione, una bella panchina immersa nel verde. La dobbiamo trovare, se vogliamo davvero ascoltare gli alberi quando ci parlano.

Elisabetta Dellavalle

(da memo.anpi.it, il memoriale della Resistenza italiana, foto di Giovanni Giorgi)