Sono l’unico popolo che ha combattuto sul campo e sconfitto Isis, sebbene poi sia stato bersagliato dall’irriconoscenza dell’Occidente. Come ultimo atto di sfregio, l’intesa trilaterale firmata il 28 giugno da Finlandia, Svezia e Turchia per acconsentire al loro ingresso nella Nato ai danni dei curdi.

Ma chi sono i curdi? E quanto ne sappiamo della loro terra? Shadows of Kurdistan (Ombre del Kurdistan) del fotografo curdo Murat Yazar, edito dall’Istituto kurdo e dell’Associazione internazionale di studi sul Mediterraneo e l’Oriente, ci aiuta a conoscere la più grande nazione senza Stato suddivisa tra Turchia, Siria, Iran e Iraq alla fine della Prima guerra mondiale dopo la sconfitta dell’Impero Ottomano, unita idealmente attraverso la potenza delle sue immagini.

The school

Una delle prime fotografie del volume, “The School”, mostra a Doğubeyazit, città di frontiera al confine orientale della Turchia, un bambino all’uscita di una scuola, varco oltre il quale si ritorna alla propria appartenenza linguistica. “Se parlavamo curdo in classe o nelle pause tra una lezione l’altra venivamo segnalati al direttore della scuola e percossi – racconta Yazar, nato in un villaggio della provincia di Urfa, in Turchia –. Durante il mio primo giorno di scuola elementare l’insegnante disse che parlare in curdo era proibito e lo disse in turco. Io non capii una parola di ciò che stava dicendo, fu un mio compagno di classe a tradurmelo. In Turchia noi curdi viviamo come fantasmi, come ombre”.

Dal 1924 al 1991 in Turchia la lingua curda è stata bandita dalla legge nei luoghi pubblici, considerata oltraggio alla Costituzione e alla lingua madre, nonché espressione linguistica di una etnia che mina l’unità nazionale. Puntando così all’omogeneità culturale e linguistica, termini come “curdi” e “Kurdistan” – ovvero il Paese dei Curdi, laddove il suffisso di origine persiana -stan vuol dire “Paese di” – sono stati a lungo considerati tabù, sostituiti da circonlocuzioni quali “turchi delle montagne” ed “Est”.

Dal 2012 la lingua curda può essere insegnata nelle scuole turche come materia facoltativa, benché amministrazioni guidate dall’Akp, il Partito della giustizia e dello sviluppo fondato dal presidente Recep Tayyip Erdoğan, continuino a cancellare spettacoli teatrali ed eventi musicali in curdo e a incarcerare musicisti accusati di propaganda terroristica, come Nûdem Durak, arrestata nel 2015 e condannata a 19 anni di carcere e Helin Bölek, Mustafa Koçak e Ibrahim Gökçek, membri della band Grup Yorum, morti in carcere nel 2020 da perseguitati, dopo un lungo sciopero della fame per protestare contro il governo. Nel corso dei suoi trent’anni al vertice della politica turca, il Sultano continua inoltre ad avversare i social media, a perseguitare intellettuali, giudici, accademici, insegnanti, giornalisti, funzionari pubblici, avvocati accusati, secondo il governo, di minare la sicurezza dello Stato, facendo della repressione la sua principale risorsa.

Il racconto per immagini di Murat Yazar – già collaboratore delle riviste National Geographic e New York Times – ci espone frammenti poco conosciuti della società curda, soprattutto nella rara normalità, e nelle molte problematicità, della sua vita quotidiana. E ci raccontano del vasto altopiano dove si erge il monte Ararat che con i suoi oltre 5mila metri domina i confini tra Turchia, Iran ed Armenia, di villaggi tra le montagne arse dal sole, di strade urbane polverose dove giocano i bambini, di capanni e matrimoni nello straordinario spettacolo che regala il lago Dukan – nel Kurdistan iracheno, attualmente unico territorio con una autonomia riconosciuta entro uno stato sovrano –, di volti rugosi di donne e uomini, paesaggi anch’essi. C’è molta poesia nelle fotografie di Yazar, che dice: “La mia macchina fotografica è stata tela e pennello, la mia cultura i colori e i panorami le mie composizioni”.

Newroz e proteste del 2012 nella città di Diyarbakir

 

In un percorso di oltre mille chilometri, gli scatti di Shadows of Kurdistan ci parlano del Newroz, il capodanno curdo che cade nell’equinozio di primavera e che da decenni ha assunto il carattere di festa nazionale e di giornata di rivendicazione dei propri diritti politici, linguistici e culturali. E lo fanno dalla città di Diyarbakir, capitale del Kurdistan turco, testimoniando la bellezza di un centro storico dichiarato dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità e che oggi non esiste più perché raso al suolo dalle milizie turche nel 2016 in una guerra a bassa intensità che ha causato centinaia di sfollati. Oggi la città ha il luccichio delle metropoli estremo orientali, ed è qui che, metaforicamente e concretamente, lo Stato turco sta “costruendo la pace”, secondo quella che per molti studiosi e attivisti è la turchizzazione forzata della città.

Paesaggio umano e ambientale fuori catalogo, uno scatto che Yazar ha offerto all’autrice

Lo sguardo di Murat Yazar si sofferma anche sul popolo yazida, appartenente all’etnia curda con cui condivide la lingua, che vive principalmente nella regione del Şengal, in Iraq. Un popolo che viene perseguitato da secoli a causa della propria religione, lo yazidismo, frutto di un sincretismo religioso che rielabora elementi di zoroastrismo, sufismo, cristianesimo, ebraismo e islam. Oltre a essere accusati di apostasia, gli yazidi sono definiti “oratori del diavolo” per via del mito fondativo del loro culto che presenta diverse analogie con gli angeli caduti della religione cristiana, Lucifero, e di quella musulmana, Iblis. Nel 2014 circa 12mila yazidi sono stati assassinati, torturati e rapiti dalle milizie di Daesh, un genocidio riconosciuto da Nazioni Unite, Parlamento europeo, Consiglio d’Europa e molte altre istituzioni internazionali.

“Il suo lavoro non è affatto addolcito dalla tentazione del sentimentalismo”, scrive nella prefazione del testo il giornalista e scrittore Paul Salopek, premio Pulitzer nel 1998 e nel 2001. “Le strade incise nei volti del suo soggetto, come quelle del monte Karacadağ, ci conducono sempre alla stessa lucida meta: un atto di testimonianza che costa caro”.

Mariangela Di Marco