“Perché la tradizionale mascolinità epica ed eroica dei capi di destra ed estrema destra a un certo punto viene rappresentata da una donna?” è uno dei quesiti a cui risponde il puntualissimo libro La destra e le donne. Da Mussolini a Giorgia Meloni (Compagnia editoriale Aliberti, 2025) della giornalista e scrittrice Sara Lucaroni che analizza, in modo tragico e ironico, la cultura maschilista partendo dalla vita privata di Benito Mussolini. “Da dove arrivano certe sparate degli attuali ministri, quale cultura vive dietro certe affermazioni, convinzioni e tradizioni?” è un’altra domanda che attraversa il testo.
L’argomento è “serio, fatale, esistenziale”. Perché, come diceva l’attivista statunitense Carol Hanisch nel 1970, “il personale è politico”. Il patriarcato è la convinzione, spesso inconsapevole, che le emozioni, le opinioni e persino il lavoro delle donne valgano meno, che il rifiuto femminile sia un’umiliazione, che la libertà femminile sia una minaccia al potere e al controllo maschile. Il regime fascista legiferò in questa direzione, sancendo per legge l’inferiorità delle donne, concepite come madri e custodi della casa e relegandole a ruoli subordinati rispetto agli uomini.

Accudente per sua “essenza” in casa, ma anche al bordello nella più classica dicotomia Eva-Maria. Doveva quindi “obbedire, badare alla casa, mettere al mondo dei figli e portare le corna”, definendole addirittura “di indiscutibile minore intelligenza”. Una concezione presente ancora attualmente e gli esempi potrebbero essere numerosissimi. “Giorgia Meloni non è la classica donna che ha avuto bisogno di un uomo per emergere – ha detto il Presidente del Senato, Ignazio La Russa, nel corso di una trasmissione di Rai 3 nel gennaio 2024 –. Il mio unico merito è stato quello di non aver mai pensato di lei: è brava ma è solo una ragazza”.
Era il 20 gennaio 1927, quando con decreto legge Mussolini intervenne sui salari destinati alle lavoratrici, riducendoli della metà rispetto alle corrispondenti retribuzioni degli uomini. Prima ancora, con il Regio Decreto del 9 dicembre 1926, vennero escluse dalle cattedre di lettere e filosofia nei licei. A loro furono poi tolte anche alcune materie negli istituti tecnici e nelle scuole medie, e si vieterà di nominarle dirigenti o presidi di istituto. Furono inoltre raddoppiate le tasse scolastiche per le studentesse, scoraggiando così le famiglie a farle studiare. Il Codice Rocco del 1930 incluse, tra le altre cose, la contraccezione e l’aborto tra i crimini contro l’integrità della stirpe.

Nel 1933 un provvedimento stabilì che nel pubblico impiego gli uomini dovevano ricoprire posizioni superiori alle impiegate donne, e nel 1939 il Regio Decreto 989 sancì quali impieghi statali potevano essere assegnati alle donne. “Ma il regime si guarda bene dall’escludere le donne dall’impiego nelle fabbriche: rappresentano una forza lavoro a basso costo che torna utile durante la guerra”, sottolinea l’autrice. Sarà Tina Anselmi, partigiana e prima donna a diventare ministro in Italia (prima del Lavoro e, successivamente, della Salute) a stabilire parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro con la legge 903 del 1977.
Una concezione, quella fascista, che però ebbe delle grandi contraddizioni e doppi standard: “i gerarchi non amano l’emancipazione, ma con le figlie che vogliono essere moderne e le velleità del ceto medio sono tolleranti – scrive Lucaroni citando la docente di Storia europea alla Columbia University di New York, Victoria de Grazia –. Sono playboy, ma le donne di casa devono essere caste e ligie ai doveri. Considerano le donne incapaci di fare costrutti mentali raffinati ma vogliono per loro le scuole migliori”. Come Mussolini con sua figlia Edda, soprannominata Sandokan, incoraggiata a fare il maschiaccio. Frequentò scuole prestigiose, fu tra le prime a indossare i pantaloni, guidava l’auto. Ebbe vari amori, giocava d’azzardo e perdeva forte.

Uno degli ambiti lavorativi che si occupa di spazio, ma che paradossalmente offre poco spazio alle donne è l’architettura, quella nobile arte che unisce discipline umanistiche e scienze. “La donna è estranea all’architettura, che è sintesi di tutte le arti; essa è analitica, non sintetica. Ha forse mai fatto l’architettura in tutti questi secoli? Le si dica di costruirmi una capanna non dico un tempio! Non lo può” riporta il volume, evidenziando quanto il Ventennio condizioni ancora il nostro presente. Oggi l’architettura in Italia e in Occidente si va progressivamente femminilizzando nei numeri e nelle tendenze, benché considerata tuttora una roccaforte maschile: le donne finiscono gli studi più degli uomini, ottenendo ottimi voti, ma questo non basta.

Quando nel 2004 Zaha Hadid, prima donna nella storia vinse il Pritzker Architecture Prize, venne definita dai principali organi di stampa statunitensi “una dolce bambina o un vulcano”. Poche menzioni dei suoi lavori – uno dei quali, postumi al premio, è il Maxxi di Roma – e durante la premiazione le furono rivolte domande personali. Un trattamento che a nessuno dei precedenti venticinque premi Pritzker venne riservato.

L’utilizzo del protagonismo femminile, premiato molto più a destra che a sinistra, in Italia inizia negli anni Novanta, con la nascita di Forza Italia: un partito in cui il merito e le capacità delle politiche veniva spesso confuso dal suo fondatore Silvio Berlusconi con il loro aspetto. Berlusconi ha ipersessualizzato una politica già di per sé maschilista, una strategia che ha dei “punti di contatto con Mussolini: stessa concezione sessuata della politica, stesso approccio predatorio alla femminilità, stesso impiego di fiduciari pubblici o privati a gestire la sicurezza e la contabilità dell’harem” scrive l’autrice citando il giornalista e accademico Sergio Luzzato. Mentre “la quota femminile nel governo Meloni è la più bassa dal 2011. Solo 6 ministre su una squadra di 24 membri” titolava il Sole 24 Ore nel 2022.

“Il punto è che con una donna premier, in molti a destra (e certuni a sinistra) propagandano che si sia dissolto il patriarcato, superata la questione femminile”, scrive Lucaroni. In realtà così non è perché “essere donna è indifferente, è solo un vestito”. Perché secondo la regola del glass cliff (scogliera di vetro), mettere una donna in un posto di responsabilità complesso da gestire o in un momento critico, nel caso vada male si può accusare l’incaricata di essere “incompetente come una donna”. Perché “è molto efficace una donna che addita e spiega il pericolo per tutte: lo straniero” in quel fenomeno conosciuto come femonazionalismo: nazionalismo e xenofobia mescolato a pseudo-femminismo secondo il quale le donne e i loro diritti sono da difendere da chi arriva da un’altra cultura.

È prassi infatti del nostro governo legare ancora il problema dei femminicidi e della violenza di genere a quello dell’immigrazione illegale. “Il leader diventa protettore della comunità. E quando questo leader è donna, l’idea è doppiamente vincente”. Mentre a proposito di aborto, l’esempio principe di come la Lega abbia sfruttato pure le proprie donne per portare avanti politiche contro il genere femminile si è visto in Umbria, con l’ex presidente Donatella Tesei che eliminò la possibilità di sottoporsi all’aborto farmacologico in day hospital nelle strutture sanitarie della Regione. Con gravi ripercussioni sulla privacy della donna, costretta a restare in ospedale per tre giorni, dovendo quindi dare spiegazioni in famiglia o a lavoro.

Molti quesiti e molte risposte in un libro tutto da leggere, perché fa memoria attiva, ricordando per cosa lottarono le donne della Resistenza e del movimento femminista, passando per il mito mussoliniano del grande amatore, del modello eroico ed erotico simbolo del “vigore maschio” costruito dalla propaganda e soprattutto da una donna, l’intellettuale Margherita Sarfatti, che fu anche una delle sue amanti, analizzando l’amore tragico di Claretta Petacci, il matrimonio con Ida Dalser e la crudeltà feroce del regime, Donna Rachele, le futuriste. Per arrivare ai giorni nostri con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, Angela Merkel, prima e unica cancelliera tedesca e per sedici anni consecutivi, Roberta Metsola, presidente del Parlamento Europeo, Marine Le Pen, leader del francese Rassemblement National. E spiegarci perché secondo i dati del Global Gender Gap Report 2024, l’Italia è all’87° posto per divario di genere, dopo Uganda, Emirati Arabi e Burundi.
Mariangela Di Marco, giornalista
Pubblicato mercoledì 6 Agosto 2025
Stampato il 06/08/2025 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/terza-pagina/librarsi/donne-forti-al-comando-o-subalterne-indagine-sulla-cultura-maschilista-di-destra/