Per arrivare alla pace, bisogna capire le ragioni scatenanti della guerra. Si tratta di un assunto universale, ma che assume un significato ancora più profondo di fronte a un conflitto che non aveva previsto quasi nessuno ma ha già prodotto oltre 230mila morti in pochi mesi. Non si capisce la guerra in Ucraina e non si possono immaginare soluzioni pacifiche se non si inquadra il conflitto tra la Russia di Putin e l’Ucraina in un contesto di profonde trasformazioni e se non si capiscono le dinamiche sociali ed economiche che hanno fatto ridiventare la guerra un prolungamento tragico di una politica che balbetta. La crisi della ragione ha prodotto il mostro nucleare, che era stato messo nel dimenticatoio e che invece oggi ritorna sulla scena da protagonista.

Susanna Camusso (Imagoeconomica, Giulia Palmigiani)

È questo lo spessore culturale e politico del libro-intervista a Susanna Camusso, senatrice del Pd ed ex segretaria generale della Cgil, a cura dei giornalisti Altero Frigerio e Roberta Lisi, con una prefazione di Giulio Marcon, esponente di punta del movimento pacifista e in appendice una lettera del cardinale Matteo Zuppi a chi manifesta per la pace.  Titolo e sottotitolo spiegano bene il progetto: “Facciamo pace. Una guerra, tante guerre per un mondo più giusto” (edizioni Strisciarossa, 2023, pagine 135, 15 euro). Il lavoro di Frigerio e Lisi è originale perché allarga il discorso sulla guerra in Ucraina alle tante altre guerre che sono attualmente in corso nel mondo. Ma non si tratta solo di guerre guerreggiate, di scontri militari tra nazionalismi o scontri economici per il controllo delle risorse. La guerra è tornata protagonista della storia e assume sembianze diverse come il camaleonte. Per questo è necessario ricostruire un quadro dei conflitti militari cercando di collegarli ai conflitti economici, culturali e sociali. Il libro-intervista a Susanna Camusso rappresenta dunque un’eccezione nella pubblicistica sulla guerra di Putin e appare al tempo stesso anche una critica implicita all’approccio geopolitico che pare aver conquistato l’egemonia culturale nella analisi sulla guerra. Il ragionamento di Camusso che risponde alle domande di Frigerio e Lisi ha uno spessore e una prospettiva culturale che va oltre il risiko a cui ci hanno abituato giornali e riviste specialistiche.

Missili nucleari

La critica a un approccio militare alla questione ucraina lo si coglie già dalle prime risposte sul senso di una guerra che viene assunta come un dato di fatto e affrontata solo con gli strumenti stessi della guerra: l’invio delle armi, per esempio. L’Europa, che dovrebbe essere il primo protagonista dei tentativi diplomatici, si accoda all’impostazione militare della Nato. Per Susanna Camusso l’Europa non ha in questo momento una idea di pace. “Prova un sentimento d’amore per essere stata in pace, nutre la convinzione che nulla possa rompere questo equilibrio, ma non ha un’idea di come si costruisce la pace e, soprattutto, non ha un’idea della cosa più delicata in questa fase, ovvero la convivenza pacifica nell’Europa geografica”. L’Europa di sente accerchiata e rischia di rimanere incastrata nel meccanismo antico della guerra fredda.

La caduta del muro

Dopo la caduta del Muro l’ideologia liberista ha invitato il mondo ad applaudire la morte del comunismo, mentre a sinistra quel passaggio è stato gestito senza una riflessione seria su un possibile nuovo modello di società. Senza una riflessione approfondita sulle cause degli squilibri attuali che non sono più solo tra l’Est e l’Ovest e tra il Sud e il Nord del mondo. Gravi diseguaglianze, ingiustizie sociali e distruzioni ambientali tagliano il mondo orizzontalmente, mentre i vecchi antagonismi sono sostituiti da nuove tensioni.

(Imagoeconomica, Paolo Lo Debole)

Su questo piano le risposte di Susanna Camusso sono radicali come quando parla del trionfo non solo dei nazionalismi, ma anche degli egoismi. “Sottolineo per altro – dice Camusso – l’egoismo non solo dei bianchi, ma anche dei vecchi. So di dire una cosa molto radicale, ma sono sempre più convinta, soprattutto vendendo l’Italia, che siamo incapaci di capire che c’è un mondo dopo di noi. Pensiamo che la nostra generazione sia l’unica che abbia delle cose da dire, e che l’Africa, come l’America Latina e la stessa Asia, siano continenti troppo giovani e questo ci impedisce di entrare in effettiva relazione con loro”. I giovani di quei continenti scappano per la fame e le guerre. E noi li respingiamo.

In questo quadro di squilibri e tensioni, la democrazia occidentale sta dimostrando tutta la sua debolezza, lasciando primeggiare una nuova filosofia per cui i deboli sono sempre più deboli, i ricchi sempre più ricchi, e i poveri devono solo stare buoni. Il riarmo non è altro che la “scorciatoia della ricchezza e della distribuzione iniqua”. Ci si affida solo alle armi dimenticando tutti gli altri strumenti della politica (a cominciare dalla diplomazia). Ma le armi non possono portare altro con sé se non l’idea offensiva. Un esercito non è immediatamente (o solamente) offensivo. Un’arma sì. Ma nel libro “Facciamo pace”, si accompagna anche il lettore a riflettere oltre le scorciatoie dei luoghi comuni. Si dice per esempio che è giusto criticare le debolezze della democrazia, ma nello stesso si invita a non cedere alla “pervicace opinione secondo cui la responsabilità di tutti gli squilibri sta nelle forme democratiche che vanno perciò rimesse in discussione”. La spinta alla guerra cammina a braccetto con la gran voglia di totalitarismo che pare governi oggi il mondo.

(Imagoeconomica, Mattia Calaprice)

Andare dunque oltre i pregiudizi, le mode e i luoghi comuni di un pensiero unico pigro. Invece di attaccare la democrazia, sarebbe bene riprendere una riflessione sulle forme capitalistiche che oggi determinano la convivenza civile a tutti i livelli. Per capire la guerra e tentare le strade difficili della pace, è necessario dunque squadernare le tante guerre in corso. Il libro si articola dunque, dopo l’analisi della guerra in sé, da tabù a realtà, nell’analisi delle guerre trasversali e nascoste. Si parla quindi della guerra dell’energia e del clima, della guerra dell’acqua, della guerra del cibo. Ma anche della guerra delle povertà e delle diseguaglianze e della guerra di genere. Solo cercando di capire davvero di che pasta è fatto il mondo, quali sono le sue tensioni e le grandi ingiustizie che si manifestano si potrà sperare di cominciare a costruire la pace. E nel libro di Camusso è anche molto chiara la definizione politica di “pacifista” che non è un essere pavido, fuori dal mondo, che immagina soluzioni velleitarie.

Il cardinale, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, Matteo Zuppi (Imagoeconomica, Saverio De Giglio)

I pacifisti sono al contrario i più realisti, perché sostengono la necessità di trovare soluzioni, di trovare medicine per la malattia, in alternativa alle bombe e alle armi da fuoco. Lo dice con molta chiarezza – nell’appendice al libro – il cardinal Zuppi, l’unica strada è quella di riscoprirsi “Fratelli tutti”. Rilanciando le parole di papa Francesco, Zuppi scrive nella lettera ai manifestanti per la pace: “Chiediamo al Presidente della Federazione Russa di fermare, anche per amore del suo popolo, questa spirale di violenza e di morte e chiediamo al Presidente dell’Ucraina perché sia aperto ad una serie di proposta di pace”. Bisogna dunque chiedere la pace e con essa la giustizia. L’umanità e il pianeta devono liberarsi dalla guerra. “Nulla è perduto con la pace, dice il cardinale, l’uomo di pace è sempre benedetto e diventa benedizione per gli altri”.