Le edizioni Clichy hanno pubblicato un libretto che ha tutte le carte in regola per diventare un manuale di educazione civica da divulgare in tutte le scuole d’Italia, di ogni ordine e grado; si tratta del Piccolo Manuale Antifascista. Argomenti e pratiche di resistenza democratica (pp.109, € 12), scritto dal gruppo direttivo della casa editrice fiorentina (in collaborazione con Arnaldo Melloni, responsabile dell’igiene pubblica, dell’ambiente e della vivibilità del capoluogo toscano) sul finire della primavera di quest’anno, per rispondere al subdolo tentativo di annientamento democratico portato avanti dalla narrazione della nuova destra, che anche in Italia purtroppo ha conquistato il potere.
Come un vero e proprio vademecum, il testo affronta diciassette parole-chiave o slogan pericolosamente manipolati dall’interpretazione neofascista: la maternità, la famiglia, la scuola, il genere, l’immigrazione, la difesa delle frontiere, il lavoro e la rendita, la sicurezza, l’egemonia culturale della sinistra, la Nazione, l’Europa “matrigna”, “prima gli italiani”, i radical-chic, le tasse, l’informazione e la responsabilità.
Per ogni voce, viene indicato ciò che la destra dice e qual è il pensiero che sottende quanto viene detto; a questi primi due, seguono poi altrettanti paragrafi in cui si spiega “Che cosa si può rispondere” e “Che cosa si può fare” per smontare ogni falso meccanismo ermeneutico e riallineare il pensiero entro l’alveo di un’etica minima antifascista.
Un’impresa insomma romantica, che si spera non sia pure velleitaria, in un Paese dove la destra a parole disapprova gli antichi totalitarismi e propugna la libertà, ma poi non tollera il dissenso, emargina il diverso, giustifica, con la faciloneria delle frasi fatte, il fascismo storico e ancora condanna, con altre frasi fatte, la Resistenza come opera di un gruppo di criminali comunisti.
Tra i temi più urgenti toccati dal Manuale vi sono certamente quello della maternità, la questione del genere, e il nodo di questioni che riguardano i rapporti internazionali, la difesa delle frontiere e il problema dell’immigrazione; sfide del mondo contemporaneo di fronte alle quali è necessario prima di tutto difendere e divulgare le idee di rispetto e di libertà, nonché di sensibilità e delicatezza verso l’esistenza altrui. Approccio che entra invece in contrasto con le pratiche gerarchizzanti, antidemocratiche (se non addirittura violente), perpetuate da una destra che interpreta la realtà pensando che in essa non ci sia spazio per la libertà.
Una libertà che viene subordinata e financo cassata, quando ad esempio si parla di maternità, a “un’etica articolata sull’assenza o la presenza della genitorialità” tradizionale, e sulla presunta sacralità istituzionale dell’essere madri; quando al contrario l’essere madri dovrebbe essere una sacralità per il singolo individuo in qualunque modo la si voglia ottenere, fuori o dentro il matrimonio, fuori o dentro i meccanismi consueti della famiglia, essendo l’amore verso il proprio bambino l’unico metro di giudizio morale che conta.
Naturalmente da ciò discende che anche il concetto di famiglia che vogliono perpetuare le destre è inaccettabile; esso pure va sradicato dalla nozione di sacralità a tutti i costi, poiché, com’è risaputo, esistono famiglie consacrate dal matrimonio che sono nidi di malessere, dimora di violenze indicibili, o ancora matrici di orrende relazioni tra uomo e donna, tra adulti e bambini.
Questi ultimi, infatti, prima di essere figli (parola su cui troppo spesso grava l’ipoteca della proprietà, slegata, però, dal necessario senso di responsabilità), sono bambini, e come tali hanno diritto alla fantasia e alla “ricchezza psichica e critica” che la loro giovane età prevede e reclama.
“La famiglia non è un fondamento morale della società, ma soltanto la prima e più semplice forma di organizzazione. Se non funziona perché non c’è più amore, deve essere riconosciuto il diritto di scioglierla, pur nella tutela dei figli”. Sacrosanto. E se sacralità deve esserci perché “sacro” è una bellissima parola essa, ancora una volta, non dovrà ricercarsi nell’istituzione famigliare ratificata da un conformista, diffidente e ipocrita consenso pubblico, ma nell’amore e nel rispetto che ogni singolo membro offre agli altri membri di quella stessa famiglia, al di là di ruoli e generi; senza dimenticare tra l’altro che anche in quella più tradizionale non deve mai venir meno l’uguaglianza tra la donna e l’uomo, così come nella società non deve essere considerata di serie B quella donna che ha deciso di non diventare madre.
Ancora una volta una questione di scelte, ancora una volta una questione di coraggio: quello di non consentire che una serie di definizioni stereotipate, difettose, insufficienti, imbriglino gli individui in un ruolo che non è e mai sarà il loro. E per ora, forse, dovremo accontentarci di enunciare questo principio, di iniziare a far luogo all’idea “che chi non appartiene a una precisa dimensione predefinita rischia di trovarsi a dover affrontare grandi sofferenze nella propria vita: riconoscere questa realtà e darle un nome può essere di grande aiuto, perché contribuisce a creare una casa e un senso di appartenenza”. Le destre, al contrario, discriminano, odiano, perseguitano; insomma conservano, senza tolleranza, le convenzionali categorie della tradizione, condannando così molti individui all’emarginazione perché portatori di caratteristiche inadeguate ai troppo stretti contenitori sociali prefissati.
Un Paese civile, una società degna di questo nome dovrebbe al contrario modellare le proprie categorie in base alle esigenze dei propri membri (ovviamente fatti salvi il rispetto e la libertà reciproci) e non dovrebbe obbligare nessuno a un’esistenza coreografata: aspirazione che rischia oggi di regredire a utopia.
Mentre ben più orrendamente concreta è la narrazione neofascista attorno al nodo dell’immigrazione. Tralasciando gli irresponsabili rilanci di teorie complottistiche, che ogni tanto riaffiorano alle labbra dei fratellastri d’Italia o dei leghisti (e che rappresenta la punta di un putrido iceberg), è un dato di fatto che chi sta oggi al potere non tollera la diversità e indica genericamente nell’immigrato (specialmente se di colore) la fonte di ogni male del Paese, dimenticando, tra l’altro, che il fenomeno della clandestinità non è una scelta ma necessità imposta dal rifiuto d’accogliere, d’integrare, di convivere, e che, ancora, senza la forza lavoro degli stranieri parte della nostra economia andrebbe a rotoli (una forza lavoro, tra l’altro, spesso dimenticata dagli stessi sindacati, e soggetta a disumani meccanismi di flessibilità e di precariato, o ad assurdi sistemi di controllo e di alienazione funzionali al profitto).
La questione economica è infatti piegata agli interessi di chi è bianco e ricco: costui non definisce il proprio agire come sfruttamento della forza lavoro degli immigrati, ma come aiuto a persone che altrimenti sarebbero finite a fare i parassiti o i delinquenti, puntando, come si suol dire, alla pancia di tutti quegli elettori meno strutturati che elevano a idea politica le pulsioni e gli istinti più beceri. Gli estensori del Manuale invitano quindi a riconsiderare l’intera questione dell’immigrazione a partire dalle sue radici linguistiche, sostituendo la parola immigrazione con la locuzione spostamento di persone, e rieducando ogni individuo a interpretare l’idea di frontiera non come una barriera necessaria e naturale che divide ed esclude, ma come una semplice e spesso deleteria “convenzione, un artificio disegnato e definito politicamente che non ha niente a che fare con gli individui e il loro senso di protezione”.
La sicurezza, infatti, non può discendere dalla nauseante “tolleranza zero” predicata dai neofascisti; sono proprio costoro, manipolando il continuum dell’informazione e isolando tra i fatti di cronaca quelli che meglio si prestano alla loro narrazione, a diffondere un senso di precarietà e paura, a sollecitare la necessità del puggo di ferro da parte delle istituzioni, “perché chi ha paura chiede sicurezza, e garantirla serve a garantire il potere”.
Il lascito più importante di questo Piccolo Manuale è perciò quello di invitare gli esseri umani ad astenersi da tutte quelle mistificazioni, e dalle conseguenti azioni, che potrebbero produrre (e oggettivamente producono) sofferenza, e ad allestire un mondo in grado di proteggere, accogliere e far sentire chiunque meno solo; questo libro apre gli occhi sugli artigli del potere e sulla necessità di smarcarsi da un controllo totalizzante e dalla coercizione al conformismo sociale; è infine un libro che, senza ironia, ma con la lucidità di una intelligenza illuminata, mostra l’ipocrisia di una destra che, mentre condanna comportamenti ritenuti socialmente inaccettabili dal punto di vista dell’orientamento sessuale, tollera invece (se non postula) la grande evasione fiscale, il classismo elitario, la violenza e la repressione, la rabbia e l’intolleranza, e poi ancora la sofferenza umana provocata dalla discriminazione razziale o religiosa o economica.
Un libro, insomma, che solleva un argine contro le derive autoritarie, che ricolloca in primo piano la fatica di fare politica (di argomentare con intelligenza le proprie idee anziché far leva su slogan propagandistici buttati in faccia alla gente come assiomi indimostrabili), un libro che punta alla creazione di una nuova umanità, responsabile, attenta, informata, fautrice di una giustizia di tutti e non di una parte, di una libertà di tutti e non di una parte, e di un’uguaglianza di tutti e non, ancora una volta, di una parte soltanto.
Giacomo Verri, scrittore e insegnante
Pubblicato sabato 16 Dicembre 2023
Stampato il 05/12/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/terza-pagina/librarsi/fascismo-un-vademecum-per-resistere-alla-barbarie/