In una baita di montagna da tempo disabitata viene ritrovato un diario. Chi l’ha scritto e, soprattutto, chi lo ritrova? Il diario di Maria è il romanzo di Cinzia Dutto che ha come sottotitolo “Storie di donne sulle montagne della Resistenza”: infatti basta sfogliare le prime pagine per capire che il testimone del racconto passa attraverso i decenni e ricongiunge le linee temporali, le vite e le storie.

Sacrario partigiano, Borgo San Dalmazzo (CN)

Chi sia il o la protagonista del libro è difficile a dirsi: all’inizio viene presentata Margherita, poco più che ventenne, con un percorso di vita in continua evoluzione e un pesante fardello emotivo, all’interno del quale ci sono i ricordi dei nonni materni scomparsi: Bastian, che in gioventù era stato partigiano, e Costanza. Margherita, poi, si porta dietro una “scatola dell’infelicità”: un’appendice fatta di sensazioni sgradevoli, amicizie false, ostacoli che si frappongono tra la sua vita quotidiana e la serenità.

Nella sua ricerca del sé e dell’indipendenza, Margherita si imbatte nella casa dei suoi sogni: una baita piena zeppa di racconti silenziosi dei precedenti proprietari, il maestro Pietro e sua moglie Maria, stralci di vita vissuta e cimeli, tra cui il diario della donna, ritrovato in giardino dal cane di Margherita.

Ed ecco l’altra protagonista: Maria Lovera detta Ninin, la cui storia racconta di duro lavoro, sofferenza ed emancipazione; dall’infanzia travagliata, interrotta prematuramente per supportare la famiglia lavorando, alla ferrea volontà di studiare e diventare ostetrica. L’incontro che le cambia la vita è quello con Pietro, che la donna descrive come un ragazzo bello e imponente “che come me aveva sfidato le umili origini e aveva studiato da maestro”.

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La lettura del manoscritto (forse il vero protagonista del romanzo?) apre alla ragazza nuovi orizzonti, tracciando una linea di demarcazione tra passato e presente, giusto e sbagliato, e diventando il mezzo attraverso cui si compie una sorta di breve romanzo di formazione.

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Margherita, tenendo fede al suo nome e a quel fiore che cresce tenacemente sull’asfalto e resiste alle intemperie, intraprende il suo lavoro di ricerca alla scoperta di fatti, luoghi e testimoni, che dal freddo inverno dei resistenti in montagna arriva al presente della narrazione. E così, in realtà, il lettore si rende conto che il diario di Maria non dura solo le pagine in cui la donna racconta la sua vita, ma attraversa i decenni e si conclude con Margherita, che non solo lo legge con avidità, ma cerca (e trova) la riconciliazione degli eventi.

Il racconto orale è il vero filo conduttore che lega vicende, famiglie, anime ed emozioni. Tutta la storia si dipana fornendo delle piccole istantanee di vite vissute, di quadri familiari e momenti di convivialità, salotti affollati e pentole che borbottano in cucina, così come di scenari desolati, in cui la neve attutisce i rumori, ma non i dolori. E accostando questi scatti vengono fuori i percorsi di vita di Margherita e Maria: donne accomunate dalla perseveranza e dallo stesso bisogno di indipendenza. Il diario di Maria dà la possibilità di navigare nel ricordo, ora lago placido, ora torrente tumultuoso, via via che si fa più vivido, reale e presente.

L’autrice specifica che “nulla è mai realmente accaduto ma la storia è il frutto di tante vicende ascoltate da bambina, di memorie raccolte da sopravvissuti alla guerra conosciuti di persona”. E allora, forse non si saranno chiamati Pietro e Maria, ma il lettore capisce che due persone unite da un legame speciale sono esistite: separate con sofferenza, ricongiunte dalla pietas e dalla forza del ricordo. Il dolore, l’amore, la paura, gli ideali: esperienze che avvicinano e separano famiglie, con vissuti e microstorie, a volte taciuti e persi nelle pieghe dei giorni. Una storia di legami familiari, lotta partigiana e libertà: ma anche un viaggio interiore per riappacificarsi con il passato.