Tre potenze mondiali, Russia, Turchia, Iran, e uno scenario, il Medio Oriente, dove si continua a giocare una partita determinante per gli equilibri geopolitici del pianeta. Seppure al momento oscurata nell’attenzione del dibattito pubblico, la Siria in particolare resta un luogo cardine nello scacchiere internazionale.

Un libro che ci aiuta a comprendere le dinamiche di quanto sta accadendo in quell’area da sempre considerata critica nella storia contemporanea è Astana e i 7 mari (Orizzonti Geopolitici, 2021) di Antonella De Biasi, tra le massime esperte della questione curda, giornalista e collaboratrice anche di Patria Indipendente.

Il 15 marzo 2011, undici anni fa, la “primavera araba” siriana finiva presto in un bagno di sangue e in lunga guerra

Il volume, in 88 pagine agili e di piacevole fruizione, espone attraverso evocative metafore marinare un viaggio che dal Mediterraneo vira verso Levante, quello Shām – come nella geografia musulmana si indica il punto in cui orientarsi verso la Mecca – che influenza il nostro Occidente, individuando “tracce e percorsi dello snodo epocale in cui siamo immersi” mediante “le nuove alleanze che regolano equilibri geopolitici successivi agli Accordi di Astana”, capitale del Kazakistan (che da marzo 2019 si chiama Nur-Sultan) e scenario, nel 2016, del trattato siglato tra Russia, Turchia e Iran con l’obiettivo di porre fine al conflitto siriano, in parallelo alla piattaforma di Ginevra guidata dall’Onu.

Putin, Erdoğan, e il presidente iraniano Rouhani

Come ben illustra il saggio, gli Accordi di Astana sono stati stipulati nonostante Putin ed Erdoğan avessero posizioni opposte sul fronte siriano: “lo zar” ha mantenuto in vita e rimesso sul trono Bashar al-Assad, accusato invece dal “sultano” di essere un criminale spietato. Ad affrontarsi vi sono quindi, da un lato, l’esercito del governo damasceno, coadiuvato da Mosca e appoggiato dall’Iran e dalle milizie libanesi filoiraniane di Hezbollah e, dall’altro, i ribelli sostenuti dalla Turchia.

Il Trattato mirava a un processo di riconciliazione su base locale, garantito dall’arrivo di polizie militari – russe o turche – a fungere da forze di interposizione. Ma così non è stato. “Il sedicesimo round dei colloqui siriani, svoltosi nel luglio 2021 – scrive De Biasi – questa volta sul mar Nero nella città balneare russa di Sochi anziché ad Astana, non mantiene ancora le promesse nonostante le dichiarazioni consensuali dei tre sponsor. Questo processo non fa altro che perpetuare il conflitto in Siria invece di porvi fine”.

Continua l’emergenza umanitaria in Siria

E oggi il conflitto in Siria – a undici anni da quel famigerato 15 marzo che vide una delle più grandi proteste esplose a Damasco contro il regime – ha numeri catastrofici: 400mila vittime, stando all’ultimo Humanitarian Needs Overview dell’Onu, con quasi 7 milioni di sfollati interni al Paese, e 14,6 milioni di persone che necessitano di aiuti umanitari e di altre forme di assistenza. Dal 2019 ben 2,4 milioni di bambini non frequentano più la scuola e, secondo il Programma alimentare delle Nazioni Unite , il 60% della popolazione (12,4 milioni) è in stato di insicurezza alimentare con il prezzo dei beni di base salito alle stelle. “Anche se non ci sono stati progressi, il formato Astana per il momento continuerà come elemento necessario per legittimare la presenza militare dei suoi tre sponsor” chiosa l’autrice.

Vladimir Putin e
Recep Tayyip Erdogan

Il trattato si è trasformato nel tempo sempre più in negoziati bilaterali tra Putin ed  Erdoğan che, si diceva, superando i dissapori e a colpi di realpolitik mirano ai propri interessi, “cercando di non pestarsi i piedi” soprattutto nell’area nordest della Siria, controllata dalle milizie curde e notoriamente ricca di petrolio.

Londra 2003. Alla manifestazione mondiale contro la guerra in Iraq anche le bandiere curde e l’effige di Öcalan. Sotto: Yekîtiya Jinên Azad Star, l’Unità delle Donne Libere, affiliata al Pkk, è composta da personale femminile

Due questioni annose, in primis per la Turchia (dove l’etnia curda è più numerosa), che reputa queste milizie come una minaccia alla propria sicurezza nazionale, nonché un’organizzazione terroristica, proprio come il Pkk, il partito dei lavoratori curdo (il cui storico leader Abdullah Öcalan sconta l’ergastolo nelle prigioni turche). Le stesse milizie sono sostenute dagli Stati Uniti in chiave anti-Isis, che, dopo l’annunciato ritiro da parte dell’amministrazione Trump, sono rimasti per “difendere” i pozzi di petrolio.

È doveroso ricordare che le autorità curde del nordest si sono rifiutate di partecipare o di facilitare le elezioni del presidente Al-Assad, rieletto con il 95% dei voti nel 2021. Risultati che l’opposizione e l’Occidente definiscono una farsa e che gli consentiranno di governare fino al 2028. Il medesimo rifiuto si è verificato nel nordovest, nella regione di Idlib, obiettivo di sanguinose offensive da parte del governo nel 2019 e nel 2020.

La partita si gioca anche sulla riapertura dei valichi, che potrebbero riattivare piccole economie e migliorare la vita della popolazione grazie a una relativa normalizzazione dei traffici commerciali. A quello di al-Yarubiya, chiuso nel 2020, “la Turchia si oppone sulla base del fatto che gli aiuti che passano da qui serviranno all’amministrazione autonoma a guida curda” spiega De Biasi. Anche la Russia ha posto il veto.

“Dopo che i pozzi di petrolio sono finiti sotto il controllo delle Sdf, le forze a maggioranza curda in prima linea nella guerra contro l’Isis – si legge ancora nell’accurata analisi del saggio – le posizioni di Mosca e Damasco nei confronti dei curdi sono cambiate radicalmente. Il partenariato curdo-statunitense e il dominio curdo sul petrolio e il grano siriani rappresentano i principali ostacoli ai negoziati con Damasco. Perciò la riapertura del valico di al-Yarubiya e il cambio di controllo sul petrolio siriano potrebbero essere una pietra miliare per il triangolo Russia-Turchia-Stati Uniti in Siria”.

Il porto di Trieste (Imagoeconomica)

Il modello Astana è stato applicato anche in Libia e si sta delineando in Afghanistan, dove è altresì presente la Repubblica Popolare Cinese, potenza economica che ha posto come fulcro della Belt and Road (la “Nuova Via della Seta”) il porto di Trieste, storicamente poco considerato dall’Italia come traino del sistema Paese e dalla sottovalutata funzione economica invece ben compreso dalla Cina.

E il viaggio continua nel grande “mare di Astana”, come De Biasi definisce il Mediterraneo, attraverso le Zone economiche esclusive (Zee) oggetto di tensioni tra Grecia e Turchia, tra Turchia e Libia, proseguendo “per la Baia di Suda, costeggiando lo sbocco mediterraneo del Canale di Suez, attraccando nel caos subentrato all’esplosione nel porto di Beirut; passando per lo stretto dei Dardanelli e di Sebastopoli, capiterà di fare rifornimento nel Golfo Persico per sentire gli echi del caos proveniente da Levante che si anima per cercare di raggiungere uno sbocco marino per la sua sussistenza”, narrando “storie ed episodi apparentemente lontani, nascosti negli interstizi della grande storia” che “aiutano a decodificare il presente e a interpretarne sintomi e ragioni”, mostrando quanto i tre sponsor di Astana siano “sestanti dell’Eurasia” e sollecitando una riflessione che in questi tempi è ancora più necessaria.

Mariangela Di Marco