“Io sono arrivato nella mia vecchiaia ad avere una coscienza che considero rivoluzionaria”

Gianni Bosio intervista Emilio Lussu (Roma, 8 maggio 1969)

 

Emilio Lussu e Gianni Bosio, chi erano costoro? Non sembri irriverente la domanda classicamente formulata, se è vero che uno solo di una classe di studenti, aspiranti archeologi e filosofi dell’Università di Sassari, risponde che il capitano Lussu “è il fondatore del Partito Sardo d’Azione, ha fatto la guerra e scritto “Un anno sull’altipiano”, è uno dei padri dell’Autonomia sarda”.

E l’agile e al contempo ricchissima pubblicazione del numero della rivista edita dall’Istituto de Martino, curata da Antonio Fanelli e Valerio Strinati, è costruita attorno all’intervista di Gianni Bosio a Emilio Lussu, realizzata col magnetofono nel ’69. Bosio – poliedrica figura di partigiano, politico, storico, ricercatore di musica popolare, editore – è in quegli anni particolarmente interessato allo studio dei canti tradizionali della Sardegna e del mondo arcaico dei pastori nelle regioni del Centro Italia.

Ed è proprio l’euforico atavismo di Lussu che risuona potentissimo ascoltando questa registrazione ormai antica, di un vecchio uomo che ricorda non solo l’infanzia, all’inizio del ’900, ma ciò che l’ha preceduta, all’indietro fino a 3.000 anni prima, al nuraghe che ha dato origine al nucleo del suo villaggio natale, dopo le prime di tante invasioni subíte dal popolo sardo, dei cartaginesi e dei romani. E via a descrivere, con tutta la voce che ha, la dignità di uomini liberi dei coltivatori e pastori della sua terra: “L’uomo della montagna rispetto all’uomo della pianura è un uomo libero, perché nella montagna la grande proprietà non esiste, esiste in pianura… e quindi, prima i servi della gleba e poi il proletario”. E a quel mondo rivendica la sua appartenenza, “Io son nato in montagna”, all’aver girato scalzo finché non è andato alle elementari, “i bambini, mai l’uomo scalzo”. L’unico proletario nel villaggio, senza scarpe, è il banditore con la cornetta che porta le notizie alla comunità. Bosio è subito interessato all’argomento, perché ne ha trovati ancora in Puglia. Non solo, chi scrive oggi queste righe lo può testimoniare, stagliato sulla curva del viale, un muretto diroccato alle spalle, il profilo delle colline sullo sfondo, soffia di lato nel piccolo corno (un suono come il kazoo di Bennato), a Collepardo, Appennino laziale meridionale, primi anni ’70.

Questo e molto, molto altro per i pascoli. Nel volume, poi, c’è la trincea. Quella del Carso, dove il giovane capitano certi ordini non li eseguiva. Il Generale diceva: “Lei esce!”. “Non si può uscire”. “Lei esce perché è un ordine!”. “Allora lei esca per primo e io la seguo e il battaglione tutto dietro di me”. Così Lussu, ufficiale di complemento (due MAVM e due MBVM), fonda il suo prestigio nella Brigata Sassari cui appartiene, costituita interamente da sardi: “Non è tanto il coraggio, è la responsabilità”. In prima persona. Riconosciuta quando il suo battaglione, nella rotta di Caporetto, è incaricato della retroguardia. “Tu hai fatto il militare?”, chiede a Bosio. “No, no, no”. Tattica vuole che la retroguardia si ferma e impegna l’avanzata del nemico per consentire alle armate di ritirarsi. Emilio Lussu rappresenta ai suoi soldati due alternative: abbandonare le armi al primo attacco e finire morti, feriti o prigionieri, affamati e pidocchiosi in un campo di concentramento. Oppure continuare a combattere, ripiegando di volta in volta in maniera ordinata: “Nelle cariche di cavalleria… i soldati a terra… le mitragliatrici che sparano. Non ne arriva uno di cavallo!”. E fa decidere loro. Dal referendum – all’unanimità di compagnie, plotoni e squadre – esce la volontà di resistere, come a Cefalonia. “Arrivai al Tagliamento senza perdere un soldato… 8 ore di ritardo… le paludi, passai… perché Codroipo era già in mano agli Austriaci”.

Autorevolezza e fiducia del popolo sardo, quando i reduci della Brigata Sassari (MOVM) tornano a casa, saranno nel primo dopoguerra alla base della nascita e affermazione del mito di Lussu. Nella nascita del movimento dei combattenti – “Noi abbiam fatto il primo sciopero dei pastori di cui si avesse notizia nel mondo, in nessuna parte d’Europa o d’Asia, mai!” – come poi nella fondazione del PSd’A. Gli disse Gramsci: “Il potere in Sardegna spetta a voi”. Breve stagione: la rivoluzione nazionale, in Italia, non si fece. Arrivò il fascismo.

Insiste Bosio nel chiedere del rapporto con le idee marxiste: “Io c’ho impiegato trent’anni per capire bene, .ci sono arrivato non sugli scritti come voi, gli scritti facilitano il pensare marxista però non lo rendono consistente… Io sono arrivato nella mia vecchiaia ad avere una coscienza che considero rivoluzionaria, e quanto più invecchio più questa coscienza si sviluppa ancora”.

All’intervista Bosio-Lussu, ritrovata negli archivi dell’Istituto de Martino e assolutamente inedita (registrazione originale nel cd allegato e trascrizione in apertura del volume), la pubblicazione affianca una serie di analisi e commenti del contenuto, il carteggio di Lussu con le Edizioni Avanti!, con alcune recensioni e proposte editoriali. E poi il suo “Discorso sul brigantaggio in Sardegna”, tenuto il 16 dicembre 1953 al Senato. “L’ho scritto in tre giorni! Le origini della mia cultura sono lì… Quando in macchina, in treno, vedevo una mandria di vacche… un attimo, era un attimo, come un fulmine: razziarli… portarli via, ma la coscienza, ecco, ho due coscienze io, una barbarica e una modernissima… e non c’è contrasto, perché quella barbarica la controllo, senza sforzo”.

Daniele De Paolis, giornalista