Castellina: “Tu sei la mia unica amica donna”.
Bompiani: “E anche tu più o meno, ormai”.
C. e B. talvolta bisticciano, e dissentono, puntualizzano, rivendicano modi e approcci diversi, e non sono molte le cose su cui riconoscono di andare d’accordo. Ma la vera amicizia e la stima sono aquile che volano altissime sopra le divergenze. E poi è il confronto che alimenta le idee, e unisce, nella ricerca infinitamente perfettibile di quanto più nobile ci possa essere per cui combattere: la collettività, costruire il “noi”. E nel loro caso, anche proseguire la lotta di genere, in una contemporaneità in cui l’unica rivoluzione riuscita è il modo nuovo di concepire la donna e la denuncia del patriarcato, ma in cui non mancano conseguenze da gestire e contraddizioni da risolvere. E dove il femminismo sembra “malfermo e minacciato”.
Il dialogo tra Luciana Castellina e Ginevra Bompiani in “Il femminismo della mia vicina” (p.112, Manni Editori) è un piccolo grande viaggio nel cuore, nella mente e anche nel privato di due donne magnifiche e due grandi intellettuali. Pezzi di vita che danno una quarta dimensione al tema del Me too, il concetto di identità, la maternità surrogata, il femminicidio inteso come il prezzo che le donne pagano per la lotta al patriarcato, il significato di essere di “sinistra” oggi.

Immaginatele una seduta di fronte all’altra, su due poltrone, in un affettuoso duello. O pensatele sul pianerottolo, in cui si sono incrociate un tardo pomeriggio, dove hanno avviato una franca conversazione diventata quasi subito un bilancio sull’amicizia e sulle idee. Si può anche immaginarle in un’intervista doppia, come quelle in tv. Ma le due protagoniste non inseguono il passato, tanto meno hanno nostalgie: completano e arricchiscono l’una le riflessioni dell’altra, pensano l’oggi, lanciano proposte, puntano al futuro.

La Castellina ha un’agenda fitta, prende mille treni, sposa cause, si batte, corre dove qualcuno ha bisogno di lei. La Bompiani da sempre legge, studia, scrive, scava il mondo con spirito sagace, scruta prospettive. La prima, classe ’29, ha lavorato nella sezione femminile del Pci e fatto parte della presidenza dell’UDI. Tra i fondatori del “Manifesto”, è stata deputata del Parlamento italiano ed europeo.

La seconda, classe ’39, è stata docente di Letteratura inglese e Letterature Comparate all’Università di Siena. Autrice di numerosi saggi, ha fondato la casa editrice Nottetempo dirigendola per tredici anni. Fu lei a convincere Luciana a scrivere “La scoperta del mondo”, che finì in cinquina allo Strega. E poi anche “Siberiana”, un libro nato dai messaggini che lei le mandava dal treno, in viaggio, diretta verso al Fiera del libro a Mosca. Si incontra sempre chi è destinato a cambiarci, anche se non ne sappiamo il motivo: loro si sono conosciute a Viareggio, città in cui erano impegnate una col premio letterario e l’altra con la presidenza del Festival del cinema europeo. Da allora, vita vissuta, storia intellettuale e lontananze a parte, non si sono lasciate più.

“Per un bel pezzo io mio sono vergognata di essere donna”, esordisce Luciana Castellina. “Io no” replica Ginevra Bombiani. Le ragioni hanno radici nei ricordi d’infanzia e nelle esperienze personali, il matrimonio, la maternità, compagni e amicizie, il senso e il modo del loro personale essere e fare politica.

Una “comunista”, l’altra “individualista” ma entrambe sostenitrici del “femminismo della differenza”, a cui approdano da due affluenti diversi. La prima, facendo spesso “lavori da maschio” e in un PCI “perbenista”, di cultura cattolica, sperimentando fin da bambina l’essere una specie di “un maschio fragile”, un essere “non normale” laddove i normali sono gli uomini. Condizione da cui le nasce la consapevolezza che la donna sia stata “colonizzata”, uno snaturamento da attribuire a chi le ha cucito addosso l’identità maschile spacciandola per “neutra”. Un vero furto che la costringe, come diceva Simone de Beauvoir, a dover scoprire chi è, mettendoci tutta una vita: “Ci sono molti punti in comune tra il colonialismo e il patriarcato”, spiega.
La seconda invece, il cui femminismo è cominciato coi radicali, fonda e frequenta il gruppo Rivolta Femminile: tre mesi di esperienza (prima di essere espulsa) nel primo movimento che puntava alla differenza e non all’uguaglianza, che escludeva i maschi dai suoi incontri, il primo a scrivere un vero manifesto. La Bompiani la questione del maschilismo non l’ha vissuta come una questione collettiva ma personale, privata. E le donne devono inventarsi del tutto, non scoprirsi, secondo un’idea di identità, sia maschile che femminile, che non deve semplicemente trovarsi e capirsi.
Per entrambe però, la critica verso il femminismo contemporaneo è univoca: ha puntato tutto sull’uguaglianza tra uomini e donne. E ignora invece che le leggi, che assicurano la possibilità alle donne di svolgere qualsiasi lavoro, si guardano bene dal cambiare il sistema in modo tale che una donna manager possa anche avere figli: ogni donna “dovrebbe avere il diritto di poterli avere senza mettere in discussione il proprio diritto al lavoro”, spiega la Castellina. Un punto cardine completamente messo in ombra dalla questione (superata) delle “quote rosa”, dalla discussione LGBTQ+ e dal dibattito linguistico: “La schwa, l’asterisco, l’-u, la chiocciola, l’elisione dell’ultima lettera… Mi paiono proprio dei segni di stupidità”, aggiunge la Bompiani.
E mentre nessuna delle due crede di essere conformemente etichettabile come femminista – “A livello popolare sono reputata femminista, ma a livello teorico no”, spiega Castellina; “Io credo che non mi considerano femminista a nessun livello. Perché non mi sono mai espressa come tale e non ne ho scritto esplicitamente”, dice Bompiani – per entrambe esiste un femminismo al quale aderire immediatamente, autentico, “formidabile”: Jin, Jîyan, Azadî, donna vita e libertà, la battaglia del donne iraniane. Una lotta davvero libera, fresca, coraggiosa, dotata di un avvenire, che combatte le stesse religioni alleate del patriarcato. Così il femminismo delle donne islamiche (in Algeria e anche in Siria) è vivo di fonte a quello occidentale, finito male proprio perché, ribadisce Bompiani, ha vinto l’uguaglianza e non la differenza, col risultato che la parità dei diritti non è piena e le donne si sono mimetizzate da uomini. Gli fa eco Castellina: “Io non voglio semplicemente avere gli stessi diritti degli uomini, voglio avere una società che sia trasformata nel suo complesso”. Lo dice la stessa Costituzione: rimuovere gli ostacoli per usufruire dei diritti, che da soli non bastano.

È qui la differenza fondamentale col presunto “femminismo di destra”: cambiare per tutte e cambiare il sistema. L’arrivo della prima donna premier ha confuso anche certe femministe. La Bompiani non ci sta, Giorgia Meloni non incarna il potere femminile ma il sogno del potere tout court, e se una donna il potere lo usa come un maschio, non ha vinto, si è solo fatta assimilare dal sistema di sempre: “Ogni donna dovrebbe rifiutare il potere, proprio o altrui, non solo perché ne è stata la vittima per millenni, ma perché il potere è lo strumento del patriarca, è la scorciatoia verso la guerra, l’ingiustizia, la disparità ed è la forma più stupida e rude dei rapporti umani”. Per la Castellina, che non ama l’idea di “modello” femminile da additare, “solo per i maschi si dovrebbe distinguere un individuo dall’altro, e perciò a nessuno (nessuno di sinistra) verrebbe in mente di assumere come modello positivo un maschio intelligente ma fascista”.

Allora cosa dovrebbero fare i maschi? Forse impegnarsi insieme alle donne, dialogare, fare un’autoanalisi come quella che facevano un tempo le femministe sul proprio corpo, una riflessione sul proprio “corpo di guerriero”. Il maschile patriarcale è guerriero, spiega Bompiani: “E perché il maschile smetta di essere guerriero non basta dire facciamo la pace con Putin”. Cancellare la guerra dunque, e le parole vittoria e sconfitta. Anche se le donne guerrafondaie esistono:
C: “In ogni città c’è l’arco di trionfo per la vittoria, che è la sconfitta dell’altro. Ed è così profondamente radicato nell’identità degli europei!
B: “Magari sotto ogni arco di trionfo si potrebbe mettere un glicine che se lo mangia piano piano”.
Bompiani e Castellina alla fine del libro, non sono così lontane. Non è vero che polemizzano e bisticciano. Hanno una grande visione. Le donne prendano coscienza della loro “colonizzazione”. Perché la verità è che una donna è una donna, non un “sotto uomo”, o un “neutro” che la priva della sua vera identità, difficile da incarnare se la scelta è tra una diversità “subdola” e un’uguaglianza sempre modella dagli uomini. L’Occidente, “solo la donna non patriarcale lo può salvare”.
Sara Lucaroni, giornalista e scrittrice

Pubblicato martedì 27 Maggio 2025
Stampato il 28/05/2025 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/terza-pagina/librarsi/le-donne-limbroglio-della-parita-e-il-noi-della-porta-accanto/