Pittore noto e poeta di rilievo di Oderzo, rivelatosi nel panorama culturale dagli anni 60 con una fitta e ricchissima attività artistica, Benvenuti ha sempre tenuto dentro di sé il rammarico di non aver salvato a suo tempo, da ventenne, nel 1943, quei fantomatici esseri umani che vedeva nei vagoni piombati in sosta nella stazione ferroviaria di Treviso. Con questo libro di 272 pagine di fotografie in bianco e nero realizzò negli anni 80 il pregnante progetto di riunire e riprodurre i disegni dei prigionieri, andando a scovarli per mezza Europa, viaggiando sul suo camper con la moglie Marucci, in doveroso pellegrinaggio per le varie terribili tappe concentrazionarie, incontrando reduci, sopravvissuti, visitando musei, archivi, biblioteche alla ricerca di testimonianze figurate. L’iniziativa di Benvenuti, che si guadagnò l’encomio di Nilde Iotti, allora Presidente della Camera e l’apprezzamento di Simon Wiesenthal, fu così non solo un atto di memoria verso le vittime del sadico massacro nazifascista, ma anche una resa di conti personale col proprio vissuto.
Il libro nasce dal passato ma è rivolto all’oggi. Ripubblicato nel 2015, in occasione del Giorno della Memoria, è sempre valido e illuminante più di una rievocazione storiografica.
Apriamo le pagine dell’Inferno dei Lager. Ecco la foto delle inferriate nella cella d’isolamento di Auschwitz, simbolo della prigionia. Nella scelta dei lavori la preoccupazione estetica ha ceduto a volte il posto alla pura testimonianza. I fogli non sono solo opera di artisti professionisti (nomi noti come Renato Birolli, Aldo Carpi, Agostino Barbieri, Corrado Cagli, Franciscek Jazwiecki) ma anche di naif, alcuni illustrativi, spontanei, alcuni di bambini (quelli di Terezin) frutto della sofferenza diretta.
Una figura solitaria, un prigioniero cecoslovacco morente di fame e ancora corpi abbandonati sul terreno a Buchenwald o ammassati a Mauthausen, gesti crudeli delle SS con le fruste e i bastoni, le divise germaniche, personificazione degli sgherri, i reticolati, gli appelli spietati forieri di condanna, i corpi nudi, i lazzaretti con chi attende la morte, le selezioni. Le membra: mani, pugni, arti scarnificati divenuti i veri protagonisti del luogo. A volte sembrano tendersi in un grido disperato senza più forza che la disperazione. Come quel capo fra le mani di un detenuto russo ad Oswiecim. L’incubo dei trasporti. Il terrore dei moribondi negli occhi, fori spalancati fuori dalle orbite. A Jasenivac, in Jugoslavia, un’esecuzione, gli impiccati che dondolano. Una donna che attinge l’acqua della pozzanghera col cucchiaio, uno scheletro vivente nel campo di Belsen, un carretto pieno di braccia, teste, resti umani a Buchenwald.
Serena d’Arbela, scrittrice, traduttrice, giornalista
Pubblicato martedì 23 Gennaio 2018
Stampato il 29/11/2023 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/terza-pagina/librarsi/luomo-tu-uomo-capace/