Come esergo le parole di Sandro Pertini, il presidente partigiano, che distilla per l’esercizio quotidiano di noi cittadini poche semplici parole: “Lungo è il cammino percorso dai patrioti italiani per riconquistare la libertà e questo cammino non ha soluzioni di continuità, perché la resistenza non è un fatto storico a sé stante, ma è stata la continuazione della lotta antifascista”.

Sandro Pertini, il presidente partigiano

Il volume Zona rossa. Dall’armistizio alla liberazione. La “guerra ai civili” nella provincia di Pescara, a cura di Nicola Palombaro, edito dal Comitato provinciale Anpi di Pescara “Ettore Troilo” nel 2018, ha raccolto tutti gli episodi di violenza ai danni dei civili che si verificarono nella provincia tra il settembre 1943 e il giugno del 1944. Sono inoltre inserite le vicende di due valorosi partigiani, insigniti della Medaglia d’Oro al Valor Militare, ovvero Renato Berardinucci e Vermondo Di Federico, anche se avvenuti in provincia de L’Aquila, ad Arischia, entrambi appartenenti a formazioni partigiane pescaresi, entrambi, al momento della fucilazione, si lanciarono contro il plotone di esecuzione tedesco permettendo ai loro compagni di fuggire e salvarsi la vita.

Oltre alle stragi nazifasciste più note, come per esempio Sant’Anna di Stazzema o Monte Sole Marzabotto, o del bosco di Limmari di Pietransieri per restare in Abruzzo, il periodo che va dall’8 settembre 1943 alla fine della guerra è stato costellato da tanti episodi di violenza per mano dei nazisti e dei fascisti che hanno portato alla morte moltissime donne e bambini. Si è trattato di violenza cieca, brutale, che ha colpito esseri umani inermi, indipendentemente dalla loro vicinanza o meno al movimento resistenziale. Questo libro vuole dare un piccolo contributo per onorare i morti e soprattutto per dare modo ai vivi di ricordare cosa è stato.

Benito Mussolini

“Risalire alle responsabilità che hanno condotto l’Italia nel periodo più buio e vergognoso della sua millenaria storia dovrebbe essere cosa non più in discussione, ma oggi, come in quei periodi di smarrimento raccontati (nel volume), non è scontata né tantomeno acquisita nelle italiche coscienze – si legge nella prefazione – pertanto è necessario ribadire che quel conflitto fu voluto e perseguito pervicacemente dal fascismo italiano e dal suo leader Benito Mussolini che per oltre vent’anni batterono sul tasto delle propaganda per preparare la guerra che avrebbe dovuto rappresentare la rinascita del Paese e che, passando attraverso la certosina repressione del dissenso e le leggi razziste, avrebbe dovuto consacrare a livello mondiale l’italiano nuovo”.

Nella prefazione viene citato inoltre il lavoro che ha portato alla costituzione dell’Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia, delle ricerche svolte con la Repubblica federale tedesca per far conoscere all’opinione pubblica quello che è accaduto in quegli anni bui a migliaia di cittadini inermi. La lotta antipartigiana che non si è fatta scrupoli nell’individuare (e sterminare) come soggetti attivi dello scontro anche i bambini; la repressione feroce nei confronti degli oppositori politici; lo sfruttamento delle risorse economiche e umane attuato attraverso rastrellamenti e deportazioni; le operazioni di “ripulitura” dei territori condotte senza remore né pietà a ridosso del fronte o lungo i percorsi individuati per la ritirata; la strettissima collaborazione tra le truppe di occupazione naziste e le strutture militari e amministrative della RSI… “sono tutti aspetti della stessa faccia della medaglia e sono tutti presenti nelle stragi e nelle uccisioni che si consumarono anche sul territorio abruzzese.

Zona Rossa. Dall’armistizio alla liberazione. La “guerra ai civili” nella provincia di Pescara. Quarta di copertina

“Gli episodi nella provincia di Pescara furono 32 per un totale di 65 vittime nel lasso di tempo che va dall’autunno 1943 alla liberazione, avvenuta per l’Abruzzo alla metà di giugno del 1944. Era un dovere morale e civico, prima ancora che politico”, si legge ancora. Attraverso questa pubblicazione il Comitato provinciale dell’Anpi Pescara “Ettore Troilo” vuole ribadire e testimoniare – in modo che sia chiaro finalmente e a chiunque – quali furono le strategie di guerra dei tedeschi e quale fu il ruolo che i fascisti ebbero nel corso di quella guerra: “Solo con questa consapevolezza – si legge – è possibile capire quali furono i motivi che hanno portato a connotare la nostra Costituzione in senso antifascista”.

Dall’Atlante delle Stragi naziste e fasciste

Dopo la parte prima del volume – utile a ripercorrere il contesto della Resistenza in Abruzzo, dell’occupazione tedesca e del fascismo dopo l’armistizio – si entra nel vivo di Zona rossa. La lunga scia di sangue in quei territori fissata attraverso le schede con luoghi, nomi delle vittime, date. Delle “lapidi di carta” per costellare la memoria e attraversare idealmente quei luoghi – Rosciano, Caramanico terme, Popoli, Sant’Eufemia a Majella… – immaginare i volti delle vittime, le loro vite fino al momento della morte.

Il cippo in ricordo perenne dei nove giovani partigiani fucilati dai nazisti nella cava di Colle Pineta (Pescara)

In appendice al volume, nel contributo del curatore Nicola Palombaro (che dal 2019 è presidente provinciale Anpi), si può leggere dell’episodio delle fucilazioni dell’11 febbraio 1944 a Pescara. Vi sono racchiuse le parole di Mario D’Amico, tra i testimoni diretti del sanguinoso epilogo della formazione partigiana “Palombaro”. Ma il racconto della mattanza dell’11 febbraio 1944 a Colle Pineta, nove giovani, la cui età era compresa tra i 17 e i 31 anni, catturati su delazione, uccisi uno alla volta in una fornace dismessa accanto a una cava di argilla, e poi gettati in buche scavate frettolosamente, ha inizio a Chieti nei giorni immediatamente successivi l’annuncio dell’armistizio. Quando si costituì – voluta da un nutrito gruppo di militari che ritennero di non consegnarsi ai tedeschi e da un preesistente nucleo antifascista che vedeva tra le sue file professori, studenti, industriali, professionisti – la banda partigiana “Palombaro”, dal nome del paese alle pendici sud-orientali della Majella. Come si legge quasi alla fine del racconto quel gruppo di partigiani tentò la fuga prima dell’esecuzione.

Il comando tedesco diede loro la possibilità di scrivere un biglietto: “Diversi di loro chiesero perdono alla madre, perdono non si sa di cosa – ha raccontato Floriano Finore, tra i tre scampati alla fucilazione e condannati ai lavori forzati da scontare in Germania –. Non avevo nulla da farmi perdonare”. Sapevano quei martiri che le lettere sarebbero state vagliate dagli aguzzini. Non sapevano che i loro corpi sarebbero stati occultati e ritrovati solo mesi dopo, a liberazione di Pescara avvenuta. Come a Roma per le vittime delle Fosse Ardeatine. Era estate e nell’Italia ancora occupata cominciava un’altra stagione di sangue.

Antonella De Biasi, giornalista e autrice di vari libri tra cui: “Astana e i 7 mari – Russia, Turchia, Iran: orologio, bussola e sestante dell’Eurasia”, Orizzonti Geopolitici, 2021; e “Zehra – la ragazza che dipingeva la guerra”, Mondadori, 2021