In occasione del centenario della Marcia su Roma e del concomitante approdo al governo del Paese dei post fascisti, può essere istruttivo rispolverare un libro di Emilio Lussu, lo scrittore e uomo politico sardo noto soprattutto per lo straordinario Un anno sull’altipiano, per comprendere a fondo la dinamica con cui il fascismo si è insediato al potere.

Il libro è Marcia su Roma e dintorni, scritto nel 1931 quando Lussu era esule in Francia. Narra i fatti di cui egli fu testimone diretto nonché vittima prediletta degli attacchi squadristi, nell’arco di tempo che va dal 1919 al 1929, ossia dal suo ritorno dalla Prima guerra alla rocambolesca fuga dal confino di Lipari assieme a Carlo Rosselli e Fausto Nitti.

È una lettura interessante di un avvenimento cruciale della storia d’Italia, la Marcia su Roma, vista attraverso un luogo privilegiato, la Sardegna (i dintorni menzionati nel titolo), ultima regione d’Italia a capitolare a seguito delle violenze delle camicie nere e soprattutto di subdole manovre politiche. Il caso sardo può essere assunto a paradigma di come Mussolini e i suoi scherani hanno operato in altre aree del Paese.

Molto opportuna ci pare la precisazione di Benedetto Croce, secondo il quale Lussu non ha voluto «fare la storia e la critica del fascismo, ma ha individuato con chiarezza le forze che resero possibile la vittoria del fascismo e gli dettero sostegno». [1]

Emilio Lussu, tenente nella Prima guerra mondiale che racconterà in Un anno sull’altipiano

La Marcia è un racconto avvincente di notevole valore artistico come attestato dai giudizi entusiastici, tra gli altri, di due autorevoli “lettori”: Luigi Russo [2] e Antonio Tabucchi [3]. Il primo, nel 1946, alla comparsa del libro in Italia, sentenzia «mi parve un libro bellissimo» ed è alquanto irritato col ministro dell’Istruzione del tempo, Arangio Ruiz, perché non ha pensato di segnalarlo ai presidi delle scuole italiane per farlo studiare ai giovani liceali; Antonio Tabucchi nella prefazione all’edizione del 2002 dirà che le pagine della Marcia sono dotate di «una prosa sobria, cristallina, affilata come un rasoio, sono forse più efficaci per comprendere la natura del fascismo italiano che un trattato di storia».

Dal punto di vista stilistico, Lussu adotta un tono registro narrativo quasi scanzonato, si serve di una prosa umoristica (secondo il critico Russo, Lussu avrebbe inventato «una nuova forma di umorismo politico») ma il suo sarcasmo è amaro, la sua ironia sofferta. È una comicità apparente «che si sottrae alla risata perché è sempre originata da un’intenzione ironica e che ha quindi il suo vero fine nella frustrata morale, nella denuncia di pavidità, di cedimento all’opportunismo avvilente» [4].

Marcia su Roma e dintorni appartiene al genere della memorialistica, autobiografica e soggettiva ma nella prefazione Lussu tiene a precisare che gli avvenimenti raccontati non sono frutto di alcuna manipolazione: «Poiché questo libro può suscitare critiche nel campo italiano, io mi sono preoccupato di non inserirvi un solo episodio che non possa essere documentato. La sostanza dei fatti che io rievoco non può essere smentita».

27 luglio 1929. Da sinistra, sul motoscafo in fuga da Lipari, dove erano stati confinati, Francesco Saverio Nitti, Carlo Rosselli e a destra Emilio Lussu

Si tratta di un’opera militante e antifascista destinata principalmente a un pubblico straniero con l’obiettivo di dare loro un’idea del fascismo italiano e prevenire, purtroppo invano, l’espandersi di questa aberrante ideologia.

Marcia su Roma e dintorni fu stampato nel 1933 da una casa editrice vicina alla Concentrazione Antifascista e diede innanzitutto una scossa salutare al sonnolento ambiente del fuoruscitismo italiano caratterizzato da immobilismo e staticità, incapace di organizzare una qualche forma di resistenza; a tal proposito sferzante ci pare il giudizio del compianto Valerio Evangelisti: «Il fascismo prospera perché è sicuro di se stesso, e ha liquidato come insetti molesti i socialisti chiacchieroni che, in esilio, si carezzano al bar le lunghe barbe».

Il libro di Lusso venne tradotto in francese, inglese, tedesco, spagnolo e portoghese. Il successo editoriale preoccupò non poco l’ambasciata italiana a Parigi, che spiava per conto di Mussolini i movimenti degli esuli italiani, e allertò con un’informativa il ministero dell’Interno.

Dopo il folgorante esordio, la fortuna critica della Marcia calerà, ma negli anni Sessanta vivrà una seconda stagione di interesse e di studio. In Italia, per ovvie ragioni, il libro uscirà solo alla fine della Seconda guerra, recensito da critici dal calibro di Benedetto Croce, Eugenio Montale e il già citato Luigi Russo.

(foto dal volume)

Il libro di Lussu ci mostra come la marcia su Roma non fu assolutamente un sollevamento armato che rovesciò le istituzioni democratiche dell’epoca, ma semplicemente una dolce installazione nel governo italiano, accettato e favorito dalla connivenza del partito liberale di Giolitti e soprattutto dalla complicità del re vittorio Emanuele III di Savoia, «una delle figure più ripugnanti della storia italiana» (Tabucchi).

Il libro prende avvio dalla lenta ma inesorabile crescita delle camicie nere nell’Isola che, emuli dei cugini in continente, si danno a ogni sorta di violenza e devastazione per affermare il loro verbo; invano i sardisti e gli ex combattenti, organizzati in un primo momento in una formazione paramilitare, le camicie grigie capeggiate da Emilio Lussu, cercheranno di opporsi.

Ma oltre gli episodi drammatici di uccisioni e spedizioni punitive che vedremo a breve, il nucleo tematico del racconto verte sull’eterno fenomeno del trasformismo, ossia del passaggio di iscritti e simpatizzanti del Partito Sardo d’Azione (giornalisti, deputati, professori, sindacalisti…) nelle file del fascismo per accaparrarsi qualche posto di potere.

Lussu fornisce una «rappresentazione amaramente satirica» (Russo) dei tradimenti dei suoi uomini e amici pronti a salire sul carro dei vincitori; egli guarda con ironia alle loro bassezze umane, al loro opportunismo, alla loro meschinità e viltà.

Gli storici chiameranno questa fase «sardo-fascismo»: una larga parte del movimento sardista si iscrive in massa al PNF nella speranza di trasformare il fascismo dall’interno, imponendo la sua linea politica. Si è realizzato invece il contrario, il fascismo ha assorbito il sardismo e l’ha dissolto, è bastato distribuire un po’di potere e cariche e tutto si è normalizzato.

Le pagine di Marcia su Roma e dintorni sono una puntuale «cronaca di una disfatta» (Montale) e quella di Lussu è in definitiva una sconsolata contemplazione di una società in disfacimento. Calzante ci pare il giudizio di Tabucchi secondo cui quello di Lussu è «anche, alla sua maniera, un libro di antropologia e di sociologia, una specie di radiografia del carattere degli italiani».

Esemplare il caso di un avvocato ex amico di Lussu, che senza alcuna vergogna fa ammissione di assenza di qualunque fede. L’avvocato è fra i più recalcitranti a passare al fascismo ma in soli cinque minuti prende la decisione ottenendo in cambio un posto come gerarca. Alle domande di chiarimento di Lussu sul voltafaccia politico non risponde, ma gli mostra un libro del XVI secolo dal titolo eloquente: Ultima professione di fede di Simon Sinai, da Lucca, prima cattolico-romano, poi calvinista, poi luterano, di nuovo cattolico, ma sempre ateo [5].

Il passaggio dalle file antifasciste e democratiche a quelle del movimento di Mussolini non riguarderà solamente i sardisti ma anche esponenti delle istituzioni e deputati liberali.

Eclatante la “conversione” del prefetto di Cagliari che in men che non si dica cede alle minacce delle camicie nere: «Dopo vane trattative, il prefetto, finalmente, apparve ad un balcone. Aveva il cappello in testa. Giù il cappello! Levati il cappello, svergognato! Saluta la rivoluzione fascista! Il prefetto si levò il cappello e, con un sorriso ospitale, incominciò: Signori fascisti! …Canaglia! – risposero in coro i fascisti. [….] Signori fascisti!… Becco! interruppe ancora una voce. Seguì una risata generale. La polizia assisteva allibita. Il prefetto non batté ciglio e riprese, tutto d’un fiato: Signori fascisti! fedele sostenitore dello Stato, io sono con voi con tutto il mio cuore. Viva il fascismo! Viva Sua Eccellenza Benito Mussolini! I fascisti non si aspettavano tanto, sicché si trovarono in grande imbarazzo. Qualcuno applaudì. Il prefetto si ritenne soddisfatto e si ritirò dal balcone». [6]

Voltagabbana sarà l’onorevole Beneduce. Di fronte alla minaccia dei fascisti di marciare su Roma si reca dal presidente del Consiglio Facta per sollecitarlo a intervenire militarmente. Bisogna preparare una contromarcia, sostiene con fredda calma l’onorevole Beneduce, democratico irriducibile, ex ministro del Lavoro col governo Bonomi: «Ogni veleno reclama il suo antidoto. A insurrezione, insurrezione; a colpo di stato, colpo di stato. E faceva la spoletta fra generali e uomini politici, fra industriali e banchieri e organizzazioni proletarie, reclamando mezzi, denari e uomini per l’impresa. E, sempre facendo la spoletta, non si è mai perduto d’animo. Adesso è fascista, e di grande autorità». [7]

Esuli antifascisti italiani in Francia

Figura apicale delle tante evoluzioni politiche registrate da Lussu è l’onorevole Pietro Lissia, ex deputato gallurese ed ex-combattente, nominato da Mussolini sottosegretario alle Finanze e inviato dal duce in Sardegna nel novembre del 1922, con l’obiettivo, fallito, di negoziare una pace con i sardisti. Nella Marcia Lussu lo dipinge come un personaggio grottesco, ridicolo, stravagante.

Un mese prima dell’incarico affidatogli, Lissia aveva incontrato Lussu a Roma e molto enfaticamente aveva manifestato la sua netta avversione a Mussolini sino a sostenere la legittimità del tirannicidio. «[Lissia] era stato nettamente avverso al fascismo fin dalla sua prima ora. Aveva anche fatto parte di alcuni comitati parlamentari che avevano tentato, attraverso un’intesa tra partiti, di costituire un fronte unico, disposto a combattere il fascismo con tutti i mezzi legali e violenti. Durante il suo ultimo soggiorno a Roma, a metà ottobre, mi aveva avvicinato per propormi una stretta collaborazione in Sardegna. È assolutamente necessario – mi disse – che noi stiamo a contatto di gomito. […]. Dobbiamo dimenticare le nostre discordie e diventare soldati dello stesso esercito. Se il fascismo trionfa, la civiltà del nostro paese rincula di venti secoli.  […] Noi abbiamo il dovere di batterci fino all’ultima goccia di sangue. Se non lo faremo, sarà l’onta per noi e per i nostri figli. Dico per modo di dire, perché, in verità, io non ho figli. […]. Bisogna che il fascismo sappia che per vincere deve passare sui nostri cadaveri. […] Sai tu che ne farei io se fossi al governo? Se fossi al posto di quel somaro che osa ricoprire il posto di presidente del Consiglio? Io lo metterei fuori legge, come fece il Senato romano per Catilina. […] Mussolini è un brigante. […] Ogni cittadino dovrebbe considerarsi in istato di legittima difesa e poterlo sopprimere impunemente. […] Quale fu la mia meraviglia nell’apprendere, subito dopo la Marcia su Roma, che egli faceva parte del ministero Mussolini, come sottosegretario alle Finanze».[8]

Lissia è un uomo senza alcun decoro, incapace di tenere fede alla parola data, meritevole di biasimo e di disprezzo. Su di lui Lussu in Marcia su Roma e dintorni articola la sua vendetta ridicolizzandolo, dipingendolo come «un burattino senza dignità» e mettendolo alla berlina in varie occasioni come nella celebre «danza del sigaro». La vicenda di Lissia è esposta con tono leggero e divertente ma il motivo di fondo si rivela ugualmente serio e grave: con l’esempio di Lissia e di quanti percorreranno la sua identica parabola del cambiare casacca, lo scrittore vuole invitarci a riflettere sul triste fenomeno del voltafaccia politico, del «crollo delle coscienze». Un problema che non sarà solo sardo ma diffuso in tutta la penisola italiana.

L’altro nucleo narrativo forte del racconto di Lussu è quello relativo all’affermazione del fascismo in Sardegna. In questa sintetica ricostruzione ci avvarremo altresì di altre ricerche, in particolare di quelle di Salvatore Sechi [9], Giuseppe Fiori [10], Marina Addis Saba [11].

Mentre nel resto del Paese il fascismo sta dilagando, sulla scena sarda si vede agire, tra la noncuranza della stragrande maggioranza dei cittadini, uno sparuto gruppo di giovani universitari ex combattenti, più alcuni nazionalisti e dannunziani, che non destano alcuna preoccupazione in quanto vengono percepiti come «pochi e innocui buontemponi che si divertono a scambiarsi grandi saluti romani» (Fiori).

Siamo nel 1920. L’anno dopo, a seguito della grave crisi che investì il settore dell’industria estrattiva a Iglesias, e determinò licenziamenti e riduzione dei salari, si produsse uno scontro acceso tra minatori e padronato, che alle proteste reagì favorendo la nascita della sezione del fascio di Iglesias; i fascisti saranno finanziati dall’imprenditore aretino Ferruccio Sorcinelli, proprietario del quotidiano “L’Unione Sarda”, nonché azionista di maggioranza della società mineraria di Bacu Abis. In questa fase, il Partito Sardo d’Azione e il movimento fascista s’ignorarono. Nei dirigenti del movimento autonomista sardo c’è un’inclinazione a sottovalutare l’ascesa del fascismo forse proprio perché di dimensioni ancora modeste e perché gli squadristi sono «teppaglia mercenaria» sistematicamente battuta dai minatori negli scontri fisici. I loro atti squadristici sono «mediocri cialtronate neanche lontanamente confrontabili con gli orrori di altri luoghi» (Fiori).

Lo squadrismo comincia a provocare danni seri in Sardegna a partire dall’estate del ’22, quando soprattutto nel Cagliaritano gli scontri si fanno più frequenti perché gli squadristi si sono messi al servizio dei proprietari terrieri per attaccare i contadini e imporre le loro condizioni, cioè orari di lavoro massacranti e paghe irrisorie. I fascisti si trasformano in «sentinella armata» del capitalismo agrario e industriale e mettono a ferro e fuoco la penisola.

È la «militarizzazione della politica», per dirla con Emilio Gentile, cioè il trasferimento nella politica di mezzi, metodi, mentalità e organizzazione propria dell’esperienza della guerra.

Dalle pagine del “Solco”, il settimanale del Partito Sardo d’Azione, Lussu ammonisce duramente le camicie nere che aspirano ad impadronirsi dell’Isola con la violenza e chiama alla mobilitazione i sardisti invitandoli ad abbandonare la strada della moderazione e rispondere manu militari ai loro attacchi:

«Può concepirsi moderazione maggiore? Ora, pochi avventurieri e qualche ingenuo sognatore fanatico […] hanno indossato abito fascista. E quasi fossero stati cent’anni padroni dell’Isola, vanno smargiassando la loro sicurezza, roteando i bastoni, fulminando con sguardi d’odio i passanti, provocando gli avversari, minacciando esecuzioni capitali, promettendo spedizioni punitive. […] Contro queste forme di pericolosa esaltazione patriottardica, di incipiente folle brigantaggio, occorre premunirsi. […] Non saremo certo noi a rompere le oneste tradizioni del popolo nostro. Ma a violenza, violenza, mille volte violenza! È umana, legittima difesa!». [12]

Il salto di qualità dello squadrismo sardo si colloca dopo la Marcia su Roma. La minoranza fascista, ora che ha appreso della presa di potere di Mussolini, è euforica, vuole imporsi in tutta l’Isola ricorrendo all’assassinio e alla devastazione. Si moltiplicano allora le adunate, i comizi, i cortei dimostrativi e soprattutto le spedizioni punitive contro i “sovversivi”, ossia i sardisti, i socialisti e i comunisti.

Tre giorni dopo la Marcia su Roma, tenteranno di assaltare la sede del “Solco” e della Camera del Lavoro, ma saranno respinti dalle camicie grigie di Lussu a colpi d’arma da fuoco. In un primo tempo, infatti, la resistenza antifascista è tenace e largamente diffusa in tutta l’Isola, come si è potuto vedere durante i festeggiamenti per il quarto anniversario della Vittoria del 4 novembre 1922. In quell’occasione, i fascisti presenti vengono allontanati, mentre Lussu viene celebrato eroe della giornata e sfila dietro il simbolo dei quattro mori per le vie di Cagliari assieme a ventimila ex combattenti.

È così forte e radicata l’opposizione al fascismo che, come sottolinea lo stesso Lussu nella Marcia si giunge persino a ipotizzare un’insurrezione generale in tutta l’Isola che impensierisce il governo centrale. «L’ostilità al fascismo era espressa in modo così generale e palese che, per qualche giorno, in Italia e anche nella stampa estera, corse voce di un movimento insurrezionale in Sardegna. Mussolini se ne allarmò e annunziò subito provvedimenti urgenti e speciali per l’Isola». [13]

Emilio Lussu

Davanti a tanta avversione, Mussolini è indotto a elaborare un piano di pacificazione coi sardisti. Al contempo però i fascisti locali continuano a servirsi dell’arma della violenza per stroncare l’avversario. La strategia di Mussolini ha inizio nel novembre ’22 con l’invio a Cagliari come rappresentante del nuovo governo del già citato onorevole Pietro Lissia, con l’obiettivo di appianare i dissensi tra fascisti e sardisti e per illustrare un programma governativo ricco di investimenti e opere pubbliche per la Sardegna, ma i fascisti della “prima ora”, quelli di Sorcinelli, reagiscono duramente ai tentativi di accordo con agguati, imboscate, rappresaglie e lanci di bombe. Tentano poi di assalire la sede dei combattenti e del PSd’A e aggrediscono gli antifascisti disarmati accorsi in piazza Martiri, a Cagliari, a difesa dei locali della Federazione. La forza pubblica arresta prevalentemente gli antifascisti e ordina ripetutamente la carica. In quell’occasione, l’onorevole Lussu cerca di fare da paciere, ma viene colpito violentemente alla testa con il calcio del fucile da una guardia regia. Lussu cade a terra privo di sensi e finisce in ospedale. Amici e compagni vi si precipitano per dimostrare al loro leader affetto e solidarietà, sentimenti che lo rallegrano e lo rattristano allo stesso tempo, perché lo indurranno alla consapevolezza dell’impotenza del movimento sardista di fronte a un nemico divenuto più forte, che dispone delle proprie milizie ma ora che è al governo del Paese, anche delle forze dell’ordine e della magistratura.

Le acclamazioni della folla erano frequenti e arrivavano fino a me, mentre io ero in uno stato di semi-incoscienza. Quelle acclamazioni mi producevano una profonda amarezza. «A che valgono – mi chiedevo – i consensi senza la forza?. Io non mi facevo alcuna illusione sulla situazione politica. Noi combattevamo non più contro il partito fascista ma contro tutta la organizzazione dello Stato ormai in suo potere» [14].

L’on. Lissia e il prefetto andranno a fargli visita in ospedale per esprimergli la loro solidarietà ma pure per cercare la sua collaborazione affinché fascisti e sardisti s’impegnino reciprocamente a cessare ogni azione violenta; in poche parole Lissia chiede il disarmo delle due fazioni.La tregua darà i suoi frutti e le condizioni poste dagli azionisti saranno infatti accettate (scarcerazione dei detenuti politici, ritiro in caserma delle guardie regie). Tuttavia la tregua durerà poco: il 27 novembre i fascisti di tutta la provincia di Cagliari, oltre trecento, organizzano una cerimonia di inaugurazione dei gagliardetti. Sono armati e in tenuta da combattimento. Le squadre delle camicie nere iniziano le sfilate per le vie davanti a una popolazione indifferente e ostile che si rifiuta di salutare i gagliardetti fascisti. Dalle loro file escono allora manganellatori a picchiarli, ne nascono scontri con i lavoratori antifascisti (operai, braccianti, manovali, artigiani, carrettieri …), numericamente superiori ma inermi, mentre i fascisti fanno uso di armi da fuoco.

Poi arriva la tragedia, l’uccisione da parte dei fascisti di Efisio Melis, il primo martire sardista. Riassumiamo rapidamente l’episodio. Al passaggio della colonna fascista, un ardito del PSd’A, l’operaio ventisettenne Efisio Melis, antifascista molto conosciuto a Cagliari, si era rifiutato, come tanti altri, di togliersi il cappello, un fascista uscì allora dal corteo e gli ficcò la lancia del suo gagliardetto nell’addome. Efisio Melis non poté difendersi perché aveva il figlioletto in braccio.

Il bilancio di questa giornata di sangue è pesante: più di centocinquanta feriti, tutti antifascisti, colpiti da pugnale o da armi da fuoco che si sono fatti curare in ospedale; altri non si sono neppure presentati per non essere arrestati, appena una decina invece i fascisti feriti; oltre mille, secondo Lussu, gli arrestati.

Un cavallo di razza come Lussu è scoraggiato, neppure in guerra ha attraversato momenti di tale afflizione: «Io non ricordo di aver passato nella mia vita ore più torbide. Ho fatto tutta la guerra, ho partecipato a molti combattimenti e ho conosciuto momenti in cui lo spirito oscilla tra le ragioni e la follia. Ma il confronto non regge. La tragedia, spesso, non è nel battersi, ma nel non potersi battere. Forse è questo che intendeva dirmi il mio amico morente». [15]

Questi terribili fatti di sangue faranno saltare l’accordo tra i sardisti e i fascisti.

Le violenze degli squadristi non si arrestano: il 3 dicembre, su chiamata degli spedizionieri in lotta contro i lavoratori portuali, una colonna fascista di 118 uomini provenienti da Civitavecchia, sbarca a Terranova (l’odierna Olbia) per una spedizione punitiva, sono armati di tutto punto. All’alba, i fascisti, divisi in squadre, mettono il paese a ferro e fuoco: accerchiano e invadono le case degli antifascisti e li trascinano nella piazza centrale costringendoli a bere olio di ricino (si tratta del cosiddetto “battesimo patriottico” che fa la sua comparsa anche in Sardegna); poi saccheggiano le sedi della Camera del Lavoro e le sedi dei giornali, dei sindacati e dei partiti d’opposizione; Lussu è ricercato e minacciato di morte.

Alla fine di dicembre ’22, a Portoscuso, si verifica un altro fatto di sangue: saranno assassinati a sangue freddo i fratelli Salvatore e Luigi Fois, dirigenti dell’organizzazione sindacale dei battellieri. Tralasciando cronaca dell’episodio, ci limitiamo invece a raccontare l’epilogo di questa spedizione fascista in quanto rivela la totale mancanza di umanità di questi barbari squadristi. La madre e la sorella dei fratelli Fois, avvisate di quanto successo, si recano al porto per prelevare i corpi dei due assassinati, ma i miliziani fascisti glielo impediscono e cercano di cacciarle via. Le due donne resistono. «Esse rimasero accanto ai loro cari. Immobili, a terra, anch’esse sembravano morte. Al calar della sera, i fascisti consentirono la rimozione dei cadaveri. I due fratelli furono composti nella casa paterna, uno accanto all’altro, e la pietà delle donne li coperse di fiori. Il pianto si levò disperato attorno ai catafalchi e l’eco ne arrivò fino alle vie. I fascisti si considerarono offesi. Di nuovo intervennero tutti, con le pistole in mano. Gli estranei furono dispersi e alle donne fu vietato persino lo sfogo del pianto». [16]

Quest’atto ignobile e disumano di negare ai parenti il rito funebre colpì lo stesso pubblico ministero del processo, che fino ad allora si era mostrato indulgente verso gli imputati: «Quando il delitto assume queste forme, non si può sollevare più alcuna giustificazione politica. La politica è estranea. È un puro atto criminale, la lotta politica non c’entra». [17]

I fascisti assassini dei fratelli Fois sono condannati dal Tribunale di Cagliari, il loro capo De Filippi a vent’anni di reclusione. Ma due anni dopo, l’on. Rocco, ministro di Grazia e Giustizia, giudica la condanna un errore giudiziario e concede loro la grazia.

Davanti a tali efferatezze, all’interno del PSd’A ci si interroga se rispondere o meno militarmente all’offensiva fascista, se combattere o arrendersi. Alla fine prevarrà la prima opzione, ma alla prova dei fatti i sardisti perderanno la sfida. Era una lotta impari, molto realisticamente Lussu ammetterà che ogni resistenza è vana. «Non c’era ombra di dubbio: tutta l’organizzazione dello Stato ubbidiva al fascismo. Ormai, Cagliari, la capitale dell’Isola, il centro del movimento democratico d’opposizione al fascismo, era in mano ai fascisti. […] Un nostro movimento offensivo era impossibile. La difensiva organizzata in grande forma, neppure, ché la polizia l’avrebbe stroncata fin dall’inizio». [18]

Le violenze fasciste continuano in tutta la Sardegna, ma il popolo sardo è indignato, non si rassegna, considera i fascisti alla stregua di delinquenti. Mussolini comincia a preoccuparsi, cerca il consenso popolare più assoluto, perciò, dopo il fallimento della trattativa col sottosegretario Lissia, riprende la strategia della negoziazione inviando un nuovo delegato, il prefetto Gandolfo. Con l’abile e astuto Gandolfo si realizzerà in poco tempo quella «fusione» (di cui abbiamo reso conto nella prima parte di questo articolo) che avrebbe normalizzato il fascismo e neutralizzato il sardismo.

L’ultima parte di Marcia su Roma e dintorni è quella che vede più direttamente coinvolto il nostro protagonista-narratore. Inizia con l’assalto allo studio-abitazione di Emilio Lussu da parte di una nutrita colonna fascista, avvenuto il 31 ottobre 1926 (il giorno dell’attentato subito da Mussolini a Bologna) e culminato con la morte di uno degli assalitori, Battista Porrà, e terminato con la clamorosa fuga dal confino di Lipari assieme a Carlo Rosselli e a Fausto Nitti.

Lasciamo al lettore il piacere di seguire il racconto di tali avvenimenti; a noi preme dire che i fatti del 31 ottobre costituiscono uno spartiacque nella vita di Lussu fra le esperienze precedenti (la Grande Guerra, il sardismo, l’attività parlamentare) e le nuove dolorose traversie fatte di carcere, confino ed esilio. Si apre cioè un nuovo capitolo umano e politico per questo personaggio leggendario. L’unica costante tra la prima e la seconda fase della sua vita sarà la sua ferma, irriducibile opposizione al regime di Mussolini. Ecco cosa scrive Emilio Lussu in una memoria difensiva, il 2 giugno 1927: «Io ho combattuto il fascismo sempre: prima e dopo la Marcia su Roma, poiché il suo metodo e le sue idealità erano e sono in assoluto e insuperabile contrasto con la mia coscienza morale e col mio pensiero politico. L’ho ritenuto e ritengo una calamità nazionale».

Salvatore Pugliese


[1]  Benedetto Croce , in Risorgimento Liberale, 1945;
[2]  Luigi Russo, Emilio Lussu, in «Belfagor», vol. 1 n. 1, anno 1, 1946;
[3]  Antonio Tabucchi, Préface a «La Marche sur Rome et autres lieux», Paris, Editions du Félin et Arte Editions, 2002;
[4]  Paola Sanna, Emilio Lussu scrittore, Padova, Liviana, 1965;
[5]  Emilio Lussu, Marcia su Roma e dintorni, Torino, Einaudi, ediz. del 2014, p. 138.
[6]  Ibidem, p. 61;
[7]  Ibidem, p. 49;
[8] Ibidem, pp 63-65;
[9] Salvatore Sechi, Dopoguerra e fascismo in Sardegna. Il movimento autonomistico nella crisi dello stato liberale (1918-1926), Torino, Einaudi, 1969;
[10] Giuseppe Fiori, Il cavaliere dei Rossomori, Vita di Emilio Lussu, Nuoro, Il Maestrale, 2010;
[11] Marina Addis Saba, Emilio Lussu. Dal primo dopoguerra al fascismo (1919-1926), Cagliari, Edes, 1977;
[12]  Emilio Lussu, Moderazione? in «Il Solco», 12-13 settembre 1922; e in Gian Giacomo Ortu, Emilio Lussu. Tutte le opere, pp 66-67;
[13]  Emilio Lussu, Marcia su Roma e dintorni, p. 63;
[14]  Ibidem, p. 80;
[15]  Ibidem, p. 98;
[16]  Ibidem, p. 129;
[17]  Ibidem, p. 130;
[18] Ibidem, p. 119.