“Scrivo, narro, resisto”. Parole di Luis Sepulveda che ben si legano al racconto che Mimmo Lucano fa dell’esperienza di Riace nel libro appena uscito per Feltrinelli, “Il fuorilegge. La lunga battaglia di un uomo solo”. Solo non è mai stato Lucano, se da mezzo mondo si sono interessati al piccolo borgo calabrese.
È una solitudine diversa, di chi si sente di avere addosso una grande responsabilità e pochi mezzi per realizzare un sogno. Perché oltre alla solidarietà e alla vicinanza di tantissime persone servirebbe anche la vicinanza della buona politica, delle istituzioni. Con rare eccezioni, questo non si è visto a Riace. Anzi, più cresceva la popolarità del sindaco Lucano, più si sono messi in moto – soprattutto negli ultimi anni – gli apparati del rancore con l’obiettivo dichiarato di distruggere il cosiddetto modello Riace. Il resto è storia recente.
Un uomo simbolo dell’accoglienza accusato di tutto, sino farne, appunto, un fuorilegge. In terra di mafia e criminalità una legge senza bilancia, sollecitata da ministri e politici senz’anima, si mette al lavoro per scovare chissà quali reati. Mimmo, seppur amareggiato, non perde la speranza convinto di non aver fatto nulla di male se non aiutare uomini, donne e bambini in cerca di un riparo e un luogo dove potersi sentire con dignità persone umane. Come lui stesso scrive: “Prima di diventare sindaco, e molto prima che la crisi migratoria globale si rivelasse l’evento decisivo della nostra epoca, ho accolto il sogno di riscatto che ho ereditato dalla mia terra”. Con l’umiltà di cui è capace: “Non conto più gli errori che ho commesso, ma so che non avrei potuto agire altrimenti: non sono mai stato capace di guardare con gli occhi di chi esclude. Non sopporto i privilegi e le discriminazioni”. Una attualizzazione del pensiero di Don Milani: A che serve avere le mani pulite se si tengono in tasca?
La lettura del libro conferma che Mimmo Lucano le mani in tasca non le ha mai tenute, sapendo distinguere tra l’idea del sogno utopico di un mondo migliore e la concretezza del quotidiano. Come dare da mangiare; aggiustare una scuola; trovare un’abitazione; curare i bambini; occuparsi delle donne scappate dalla tratta e tanto, tanto altro. Perché in fondo l’accoglienza è anche questa, oltre le manifestazioni, i convegni e i selfie. C’è voluta, e ci vorrà, una grande forza per andare avanti.
Sono i suoi riferimenti, citati con affetto e riconoscenza, ad averlo aiutato: da monsignor Bregantini a Dino Frisullo ad Alex Zanotelli. Poi una militanza passata e i ricordi di quanti hanno dato la vita per aver difeso gli stessi ideali di giustizia e libertà per cui Lucano si batte oggi. Dal mugnaio Rocco Gatto, a Peppino Impastato, a Giuseppe Valarioti.
Bisogna avvicinarsi alla lettura di questo bel libro con spirito di rivolta verso le ingiustizie. Il lettore non troverà parole scontate e rassicuranti, semmai un invito al protagonismo se davvero si vuole il cambiamento. “Ho scelto di condividere il senso della fragilità esistenziale, delle precarietà quotidiane, del popolo che si muove ai margini delle strade, dei cittadini più deboli. Categoria sociale a cui sento con orgoglio di appartenere”. Parole forti in conclusione che non potranno mai fare di Mimmo Lucano un fuorilegge. Piuttosto quello di un moderno resistente, perché come di recente ha affermato Gherardo Colombo, un uomo che di giustizia se ne intende: “Sì, qualche volta la trasgressione è necessaria. Galileo, d’altra parte, era un grande trasgressore. Ma c’è differenza tra legalità e giustizia. Se una legge ingiusta viola i diritti fondamentali più significativi della persona, la legge non solo può, ma nei casi più gravi addirittura deve essere trasgredita». Come si dice, la giustizia farà il suo corso. Nel frattempo la lettura del libro ci aiuta a capire, e schierarci ancora una volta dalla parte di Mimmo Lucano e Riace. Se davvero si devono “odiare gli indifferenti”, questo libro ci aiuta farlo meglio.
Mario Vallone, coordinatore Anpi Calabria, componente del Comitato nazionale Anpi
Pubblicato sabato 19 Settembre 2020
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