È un viaggio in sei tappe da farsi per tutta Europa e senza biglietto, quello che ci propone la giornalista Eva Giovannini con il suo Europa anno zero. Il ritorno dei nazionalismi; sei tappe che ci portano a visitare Grecia, Germania, Ungheria, Francia, Regno Unito e Italia alla scoperta dei partiti nazionalisti e xenofobi che nascono e sempre più crescono, in grembo ad un’Unione Europea per loro matrigna e alla quale vogliono strappare la loro usurpata sovranità.
Pare che a generare questa “reazione nera” in tutta Europa sia stata, in maniera consistente, l’azione della crisi economica neoliberista e delle connesse politiche di austerità. Da lì si sono prodotte e consolidate, infatti, una forte disoccupazione (specialmente giovanile) e nuove forme di povertà ed emarginazione dove attecchisce perfettamente la propaganda populistica e reazionaria di questi nuovi movimenti e partiti che, osserva Giovannini, sono sempre presenti dove ci sono degli “arrabbiati”. È proprio il caso di dire, con Régis Debray, che «gli oggetti si globalizzano e i soggetti si tribalizzano”: riscoprendo radici popolari e storico-mitiche vere o presunte (turanismo e ungarismo per Jobbik; divinità fluviali e SöcaFest per la Lega), cercando nel conflitto con l’“altro” un’identità che né la cultura, né la stabilità economico-sociale sembrano concedere più.
Uno dei bersagli contro cui tutti, da Salvini, a Orbán e Gyöngyösi (deputato di Jobbik), da Marine Le Pen a Michaloliakos (leader di Alba Dorata), si scagliano è infatti l’Unione Europea, colpevole di essersi impossessata delle sovranità nazionali dei Paesi membri per curare gli interessi delle banche e delle grandi lobby finanziarie, a scapito dei cittadini e dei lavoratori.
Paradossalmente, nel mirino dei nuovi nazionalisti, assieme al nemico plutocratico (la cui fisionomia per loro è, guarda caso, quasi sempre quella dell’ebreo) finiscono anche gli ultimi, i disperati, colpevoli di essere più poveri dei poveri “di razza”, e di mangiare le poche briciole che cadono – sottoforma di stato sociale e aiuti – dal banchetto della UE: Rom, rifugiati e immigrati (genericamente derubricati a “clandestini”), specie se islamici (la cristianità è un tratto distintivo per molti di questi movimenti), vengono additati come concreti capri espiatori contro cui scagliarsi. E non solo a parole. Dietro il volto presentabile e civile – e dunque nonviolento – che i loro leader tentano di mantenere, si cela una pericolosa violenza: il pestaggio di alcuni ambulanti stranieri ad opera di attivisti di Alba Dorata (sett. 2012); l’assassinio del rapper antifascista Pavlos Fyssas per cui si trova in carcere Michaloliakos (sett. 2013); il pogrom contro i Rom di Gyöngyöspata ad opera degli squadristi della Nuova guardia magiara.
Malgrado ciò, il consenso elettorale di tutte queste forze è in costante ascesa e, laddove non riesca a far eleggere propri membri nei parlamenti nazionali o europei, fa sì che i governi li inseguano sulle loro posizioni per arginare l’emorragia di voti: ecco dunque il muro di filo spinato di Orbán e la stretta sulla libertà di movimento minacciata da Cameron. Ma i voti agli ultranazionalisti non sono solo quelli strappati alla destra moderata, sono anche quelli di buona parte delle working e middle classes europee impoverite, sono soprattutto quelli potenziali dei delusissimi della politica, gli astenuti.
E sono, purtroppo, i voti di giovani e giovanissimi: la NpD (partito nazional-democratico di estrema destra, antieuropeista, antislamico e antisemita) fa propaganda con videogiochi dove vince chi espelle il maggior numero di extracomunitari; il Front National è il movimento giovanile più numeroso di Francia; giovani sono i manifestanti di Jobbik che celebrano in piazza la Festa della Patria.
Giovani o adulti, spesso il loro appoggio nasce dal linguaggio facile, accessibile e semplificatore con cui viene loro spiegata la realtà e con cui si propongono soluzioni: poco importa che siano tecnicamente spesso irrealizzabili o che chi le lancia sia causa dei problemi da risolvere (aver abolito Mare Nostrum, come voleva anche la Lega, è stato inutile in relazione al calo degli sbarchi), l’importante è alzare sempre più la posta in gioco per poter affermare, a danno fatto, “l’avevamo detto, noi!”.
Ma quanto potrà alzarsi, allora, la posta? Se Salvini concedeva, ricorda Giovannini, almeno sei mesi di preavviso ai Rom prima che le ruspe spianassero i loro campi, il suo eurodeputato leghista Buonanno passa dai luoghi alle persone, augurando ai Rom (in gran parte cittadini italiani) delle sane «legnate».
Il punto è che dietro ognuno di questi movimenti, che spesso rivendicano il loro essere aldilà di destra e sinistra, stanno più o meno in profondità il razzismo, la xenofobia, la violenza come pratica politica. Questo appare lampante nel logo di Alba Dorata che ricorda la svastica, così come negli anfibi e nelle teste rasate degli squadristi di Jobbik; ma si rivela anche dietro il movimento di piazza di Pegida, che a Colonia ha raccolto gli hooligans nazisti di Ho-ge-sa; o in Francia, dove Frédéric Chatillon, già leader di un’organizzazione di estrema destra, possiede una società che finanzia il Front National, nonostante madame Marine si prodighi a rottamare simboli e parole d’ordine care ai nostalgici fascisti. E anche dietro le feste della zucca leghiste, dietro il Salvini che ora ammicca anche agli antichi avversari terùn, sta il Borghezio che tiene i collegamenti con l’estrema destra nazionale e internazionale. E non è un caso che ognuno dei leader di partito intervistati dalla Giovannini affermi che, in Italia, intrattiene rapporti e contatti con Forza Nuova e ora, sempre più, con Casa Pound.
Un libro da leggere per farsi un’idea più precisa e completa di dove graviti, oggi, il pulviscolo della “galassia” dei populismi europei. La prosa della Giovannini è veloce (ma sono molti e puntuali, in nota, i rimandi ad articoli, interviste e pubblicazioni); quasi sempre asciutta, ravvivata qua e là da rapide descrizioni di colore o paesaggistiche volte ad amplificare meglio l’azione narrata.
Resta, alla fine della lettura, la domanda decisiva che l’autrice pone fin dall’introduzione: se in questa Europa «un problema di “sovranità” esiste, come può uno Stato democratico evitare di consegnare simile battaglia alle destre nazionaliste»?
Dalla risposta che noi, cittadini europei democratici, sapremo darci, dipende il diradarsi all’orizzonte di questi bui, nerissimi scenari.
Pubblicato venerdì 16 Ottobre 2015
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