Concepisco la voce come uno strumento pulsionale, dietro il quale esiste un intero universo di desideri: per esempio quello che ogni persona ha di andare a verificare i propri limiti.  Demetrio Stratos

 

“La suocera apre la borsa e tira fuori un biglietto piegato: il permesso di sepoltura. Lo dà a un inserviente che ha già il badile in mano […]. Posso cominciare? […]. La tomba è coperta: sopra la terra posano i fiori […]. Il funerale è finito. La famiglia non voleva neanche questo rito inesistente. Dalla macchina la cassa doveva finire diritto sottoterra. Ma c’è la figlia, e questo ricordo del padre ‘le spettava’”. Questo si legge in un ritaglio di giornale locale, datato giugno 1979.

Il 23 giugno 1979, a Scipione Castello in provincia di Parma, si tenevano le esequie in forma privata e civile di Efstratios Demetriou, più noto come Demetrio Stratos. Sono presenti pochi amici, i musicisti del gruppo degli Area, i compagni dell’università, la moglie Daniela Ronconi, originaria di Scipione. In quel piccolo borgo stavano sistemando l’abitazione in cui si sarebbero ritirati, la coppia con la figlia Anastassia.

(Wikipedia)

Ma Demetrio se ne era andato all’età di 34 anni, dopo un ricovero al Memorial Hospital di Manhattan, a causa di una aplasia midollare, patologia che inibisce la produzione di globuli rossi. La malattia non gli lasciava neppure il tempo di tentare un trapianto di midollo. Il donatore, la sorella Annoula, era in arrivo da Cipro, ma la mattina del 13 giugno, Demetrio moriva per arresto cardiocircolatorio.

Il 14 giugno era in programma un concerto all’Arena di Milano per raccogliere fondi necessari a finanziare l’intervento. Coinvolti, fra gli altri: Eugenio Finardi, Francesco Guccini, Angelo Branduardi, Roberto Vecchioni, Antonello Venditti, Claudio Rocchi, Alberto Fortis, Banco del mutuo soccorso, Premiata forneria Marconi. Quel concerto si trasformerà in un tributo all’artista geniale che era e che sarà per sempre Demetrio Stratos.

Efstratios Demetriou nasceva ad Alessandra d’Egitto il 22 aprile 1945, città che ha dato i natali a grandi nomi della poesia: Filippo Tommaso Marinetti, Giuseppe Ungaretti, Costantinos Kavafis. Con il cognome diventato il nome, italianizzato in “Demetrio”, seguito da “Stratos”, diventerà celebre nel mondo.

In famiglia la musica è ben presente: già la sorella suona il pianoforte e poco dopo anche lui viene indirizzato al mondo delle note. Frequenta il Conservatoire national d’Athènes e la scuola inglese British boys school. Al suo orecchio arrivano gli accenti delle varie lingue con le quali la sua voce saprà esprimersi: inglese, francese, greco, egiziano. A cui si aggiungono le armonie dei canti religiosi bizantini ascoltati in famiglia, di religione greco-ortodossa, le musiche di provenienza araba e quelle dall’America, arrivate con i primi dischi di rock’n’roll.

Completa gli studi superiori al collegio cattolico francescano di Terrasanta a Cipro. Terminata la scuola superiore, nel 1962 parte per Milano dove si iscrive alla facoltà di architettura del Politecnico. Alla casa dello studente intrattiene gli ospiti suonando il pianoforte e ben presto viene richiesto dai primi gruppi giovanili (i Keens, poi i Bag’s Groove) che si esibiscono nei locali, come il Santa Tecla, con serate a base di cover di pezzi americani. Tra questi Since you’ve been gone,

o I go ape di Neil Sedaka. E poi grandi classici come The house of the rising sun degli Animals, I’ll go crazy dei Moody Blues. Demetrio inizialmente accompagna suonando le tastiere.

La Milano dei primi anni Sessanta è un grande fermento musicale: ovunque nascono club, locali notturni in cui si sperimenta il cabaret, con i Gufi di Nanni Svampa si reinterpreta la canzone popolare, con Maria Monti si esibiscono giovani comici e quelli che diventeranno grandi artisti come Enzo Jannacci e Giorgio Gaber. Tra i vari gruppi che animano le notti milanesi, Demetrio viene ingaggiato dai Quelli di Teo Teocoli, fino alla proposta di entrare nei Ribelli, gruppo spalla di Adriano Celentano. Per quattro anni, tra il 1966 e il 1970 la storia di Demetrio coincide con la loro.

“Quella sera me la ricordo come se fosse ieri – racconta il batterista Gianni Dall’Aglio in un’intervista rilasciata ad Antonio Oleari, nella sua biografia Demetrio Stratos, gioia e rivoluzione di una voce –: stavamo scendendo le scale del Tecla e subito fummo investiti da una voce stupenda che cantava Gimme some lovin’. Fu un colpo di filmine […]. Ci demmo appuntamento per il giorno dopo al Clan. E fu così che Demetrio entrò nei Ribelli”.

I Ribelli, con la voce di Demetrio, si esibiscono per la prima volta al Festival delle rose all’hotel Hilton di Roma, ma poco dopo preferiscono svincolarsi dal Clan, approdando alla Ricordi. È qui, in una delle sale della casa discografica, che risuonano le prime note della canzone che grande fama darà al gruppo e a Demetrio, Pugni chiusi.

Se al primo momento il pezzo non sembra riscuotere grande entusiasmo, alla prova del Cantagiro esplode in tutte le classifiche, diventando tra il ’67 e il ’68 uno dei brani più venduti, icona del beat italiano.

A suonarlo sono Natale Massara al sax, Gianni Dall’Aglio alla batteria, Angel Salvador al basso, Giorgio Benacchio alla chitarra, Demetrio all’organo Hammond e alla voce. I concerti nei locali di tutta Italia si susseguono e accrescono la popolarità del gruppo. Si cantano i pezzi dei Ribelli ma anche il repertorio della Tamla-Motown, storica etichetta che ha lanciato la musica rhythm and blues e soul nel mondo, producendo artisti come The Jackson 5 con Michael Jackson, Marvin Gaye, The Commodores, Diana Ross, Stevie Wonder. La Ricordi, però, sembra non accorgersi del talento che ha per le mani, e invece di investire in nuova musica propone ai Ribelli cover di pezzi americani. Come Chi mi aiuterà (You keep me hanging on),

o britannici, come Obladì obladà,

Oh darling,

Josephine dei Beatles.

Repertorio inframmezzato da qualche pezzo originale come Nel sole, nel vento, nel sorriso e nel pianto, di Mogol-Battisti, che verrà inserito nel loro primo album “I Ribelli” (1968).

La voce di Demetrio ne esce poco valorizzata: lui non ci sta e cerca altrove la sua strada.

I Ribelli (wikipedia)

I Ribelli si sciolgono nel 1970, ma presto si compone una nuova formazione: Giulio Capiozzo alla batteria, Patrick Djivas al basso e contrabbasso, inizialmente Leandro Gaetano alle tastiere. Appassionati di rock e di jazz, vogliono suonare musica loro. Completano poco dopo il gruppo, Victor Edouard (Eddy) Busnello, sassofonista, Patrizio Fariselli al pianoforte elettrico e Johnny Lambizzi alla chitarra al posto di Giorgio Benacchio, poi sostituito da Paolo Tofani.

Da qui prende l’avvio il progetto Area, un nome semplice e internazionale come i musicisti che lo compongono, arrivando da diverse parti del mondo. Verrà successivamente aggiunta la definizione di “International POPular Group” per ribadire la valenza cosmopolita del complesso. E l’idea di fondo è di produrre musica “che da una parte prende spunto dalle culture più varie, possibilmente mediterranee, e dall’altra si confronta con il sociale e il politico”, spiega Demetrio in un’intervista del ’78.

Gli Area saranno un gruppo eterogeneo, mai davvero definitivo e soprattutto all’avanguardia: di impostazione jazz rock con influenze etniche, elettroniche, basato sull’improvvisazione sul piano compositivo, sulla ricerca di nuove soluzioni anche dal punto di vista vocale. Demetrio, infatti, sperimenterà così tanto la voce da creare effetti inediti: vibrazioni con le percussioni facciali, con i muscoli fono-articolatori, con la lingua. Il progetto è proprio di “strumentalizzare” la voce: fare di essa uno strumento musicale, capace di dialogare con gli altri.

La svolta nella storia degli Area è l’incontro con il discografico, intellettuale e organizzatore culturale Gianni Sassi che, insieme a Franco Mamone e Sergio Albergoni, fonderà la casa discografica Cramps Records (acronimo per Company Records Advertising Management Production Service). Nel marchio l’immagine di Frankenstein, suo soprannome, campeggia sopra la scritta. Il progetto Area gli appare innovativo in quanto a poetica, sonorità, idee. Ne sposa la causa e ne produce le iniziative musicali.

Il retro di “Arbeit Macht Frei”

Nel 1973 esce il primo album, “Arbeit macht frei”, rivoluzionario anche nella (retro)copertina, con i simboli della rivolta: falce e martello, una pistola giocattolo, un foulard da fedayn. il brano simbolo Luglio, agosto, settembre (nero) con un’introduzione recitata in arabo, un’esortazione alla pace, è il manifesto identitario del gruppo che si pone l’obiettivo di allargare, attraverso l’ascolto musicale, l’area della consapevolezza sul presente. La canzone, infatti, è legata ai fatti di Monaco ’72, l’evento terroristico avvenuto nel corso delle Olimpiadi estive, a Monaco di Baviera, in Germania Ovest.

E non c’è tanto da parte del gruppo l’intenzione di prendere una posizione politica, quanto quella di sollecitare una presa di coscienza, smuovere gli animi. Guardare alla realtà, ai fatti di cronaca e indurre una reazione, una riflessione da parte del pubblico. E così anche la musica, che irrompe, è una spinta propulsiva tesa a lanciare un messaggio.

Messaggio che viene espresso attraverso sperimentazioni a tutto campo. Come nel caso di L’abbattimento dello Zeppelin, quasi totalmente strumentale in cui si fa uso di parole onomatopeiche per creare suoni che restituiscano una sensazione, un’atmosfera. Che amplifichino un contenuto e lo rendano aperto alle interpretazioni e dunque all’azione di un ascolto attivo.

Una realtà, quella degli Area, che si pone nel campo alternativo e progressivo della sperimentazione sui linguaggi e sui contenuti e che conduce verso esperienze mai tentate. Le musiche sono sempre più contaminazioni che attingono al mondo popolare, soprattutto greco, arabo, balcanico, mescolate alle esperienze sonore di contatto diretto: Luigi Nono, Luciano Berio, Gyorgy Ligeti, Yannis Xenakis. E John Cage.

Nella vicenda artistica di Demetrio non si può non soffermarsi sull’incontro con la massima autorità nel campo della ricerca, tra i più importanti innovatori della musica contemporanea. L’ album del compositore americano, “John Cage” esce per la Cramps nel 1974, inaugurando la sezione “Nova Musicha”. La sfida è quella di divulgare la musica contemporanea a un pubblico giovane. A Demetrio viene chiesto di interpretare i Sixty-two Mesostics Re Merce Cunningham, composti da Cage. Una partitura di suoni che nulla hanno a che vedere con la dizione tradizionale di parole. Affrontati nella piena libertà espressiva e interpretativa, aprono a una inimmaginabile concezione della musica. Un percorso che, svincolando la parola dal suo significato, porterà Demetrio a realizzare il suo progetto di recupero dell’esperienza della vocalità primordiale.

Nel 1974 esce l’album “Caution radiation area”, mentre al gruppo si è aggiunto Ares Tavolazzi al basso, contrabbasso e trombone, e l’aspetto sperimentale sul piano dei suoni si accentua ulteriormente. La lingua usata, come in Cometa rossa, è ora il greco che richiama Demetrio alla propria terra.

Improvvisazioni e invenzioni si alternano in ZYG (Crescita zero) dove viene riprodotta la meccanicità e la ripetitività del lavoro in fabbrica.

Quasi futurista è Mirage? Mirage! il cui testo è un amalgama di vari scritti senza attinenza l’uno con l’altro. Critica e condanna a una società che non ha più valori. Che nel profitto vede l’unica meta, insieme alla robotizzazione dell’umano, utile solo a produrre e consumare.

Ulrike Meinhof (wikipedia)

Brano chiave è Lobotomia, ispirato alla vicenda di Ulrike Meinhof, la giornalista, rivoluzionaria tedesca terrorista della Raf – gruppo armato tedesco-occidentale di estrema sinistra, Rote Armee Fraktion –, alla quale il governo tedesco impose, dopo la cattura, la lobotomia. Il brano, pensato per essere messo in scena dal vivo, è carico di una violenza impressionante. Suoni distorti ed effetti disturbanti che conducono al limite della sopportabilità. Intollerabili, come la brutalità da cui prendono spunto. “Non c’è molta consapevolezza in giro – dice Demetrio in Il libro degli Area di Domenico Caduto – e allora noi cerchiamo di sensibilizzare politicamente i giovani, provocandoli affinché vadano a casa e ci pensino”.

Così gli Area diventano una voce collettiva, una voce di protesta che parla agli operai nelle fabbriche, ai giovani nelle piazze. Cantano L’Internazionale, inno comunista, che propongono in chiave distorta. Una provocazione verso ogni retorica mitizzante.

Cantano Citazione da George L. Jackson, brano dedicato al giovane attivista delle Black Panthers ucciso in prigione nel 1971. Un gesto di solidarietà verso la comunità dei neri d’America, una condanna verso il razzismo.

Il festival “Re nudo” a parco Lambro, a MIlano

E i giovani li seguono, quelli del Movimento studentesco, quelli che partecipano al festival organizzato dalla rivista “Re Nudo” al Parco Lambro (1974). All’Ospedale Psichiatrico di Trieste sono invitati da Franco Basaglia che tanto si batte, in quegli anni, per una riforma dei manicomi, per ridare dignità a persone afflitte dalla malattia mentale.

Il terzo disco “Crac!” (1975) ha una natura meno angosciante e intende, anzi, dare voce ai risvolti positivi della lotta. Lotta che in quel momento, in Europa, sta portando a esiti vittoriosi: con la “rivoluzione dei garofani” in Portogallo e la fine della dittatura; con la caduta dei colonnelli in Grecia; con la fine della guerra in Vietnam.

Guarda avanti non ci pensare/la storia viaggia insieme a te è il messaggio lanciato ai giovani in L’elefante bianco.

Tra i brani più significativi Gioia e rivoluzione, manifesto di un’idea di rivoluzione che ha a che fare con i sentimenti e con la musica come arma di lotta:

Si combatte una battaglia/che ci porta sulle strade/della gente che sa amare/che ci porta sulle strade/della gente che sa amare/Il mio mitra è un contrabbasso/che ti spara sulla faccia/che ti spara sulla faccia/ciò che penso della vita.

Versi che ricordano le parole di Michele Luciano Straniero, a proposito delle canzoni, mezzi più efficaci delle armi per combattere alcune battaglie o, con toni molto diversi, la Ballata autocritica di Fausto Amodei (1972), in cui la chitarra, da sempre suonata, è tempo che si trasformi in mitra e che spari colpi diretti ai responsabili dei mali e delle ingiustizie sociali.

In Italia, intanto, si respira un clima di terrore. Sono gli anni della strage neofascista di Brescia, quella del treno Italicus, esploso all’altezza di San Benedetto Val di Sambro. Della rabbia giovanile tesa a ingrossare l’esercito della disoccupazione e della tossicodipendenza, del disincanto e dello spaesamento, degli zingari felici e degli indiani metropolitani. Dell’epopea di Radio Alice, la voce della controinformazione, che verrà messa a tacere alle ore 23.15 del 12 marzo 1977, a seguito di un’irruzione della polizia. Motivazione: associazione a delinquere, vilipendio, istigazione. (Per un approfondimento del contesto clicca qui)

“Are(A)zione” (1975) è un album live che esce nel momento in cui anche fare musica dal vivo diventa complicato, tra scontri, slogan inneggianti alla “musica gratis”, contestazioni ai musicisti e ai cantautori che, diventati professionisti, hanno rinunciato a farsi voce del popolo e “pretendono” di essere pagati.

Demetrio sostiene che la musica deve essere un’esperienza di condivisione, vissuta da tutti e non solo da chi sta sul palco; deve tornare a una funzione educativa: “bisogna togliere i ragazzi dalla posizione di spettatori a cui sono stati abituati. Noi siamo contro il monologo e per il dialogo”, dirà in un’intervista su “Muzak”, nell’aprile 1976.

È con “Metrodora”, album uscito nel 1976 per la Cramps, nella collana DIVerso, che Demetrio procede nello studio della voce come esperienza primitiva di comunicazione. “Metrodora”, che significa “dono di madre”, per Demetrio vuol dire andare alla radice, sondare nel profondo la pura vocalità e i suoi risvolti sul piano psicologico, psicanalitico. Un viaggio che, partito da qui, porterà al suo ultimo lavoro “Cantare la voce”.

“Tuttora non si sa esattamente da dove venga la voce – scrive Demetrio nelle note di copertina di ‘Metrodora’ –. Oggi si parla della voce come di uno strumento difficile da suonare; e contrariamente da qualsiasi altro strumento che può essere riposto dopo l’uso, la voce non si separa mai dal suo proprietario e quindi è qualcosa di più di uno strumento”.

Voce come patrimonio dell’umanità, che appartiene solo all’essere umano. La voce mette a nudo, è l’identità di una persona, è il suono di una persona. E si può esplorare solo abbandonando i canoni occidentali del canto, dell’emissione standardizzata: da una cultura, da un sistema che impone regole, classificazioni, divisioni tra maschile e femminile.

“Parlare della voce è parlare del femminile”, spiega infatti Demetrio nel libro A nuda voce di Laura Pigozzi. Perché la voce è femmina, è dono di madre, strumento che permette di riconoscere se stessi e di legittimare la propria esistenza nel mondo. Così nel disco la prima parte è una sorta di scoperta del proprio organo fonatorio, la scoperta di un infante che impara a emettere suoni. Poi c’è il recupero di una cultura orale che passa dalla tradizione dei suoni e dei lamenti del folklore tipico dell’Epiro: Mirologhi 1

e Mirologhi 2.

L’impegno politico di Demetrio lo porta di nuovo a confrontarsi con i fatti toccanti della cronaca di allora. Nel 1976 esce il disco “La cantata rossa per Tall el Zaatar” scritto dal compositore Gaetano Liguori e dal poeta operaio Giulio Stocchi. Ispirato ai fatti avvenuti nel campo profughi palestinese di Tall el Zaatar, nel corso della guerra civile libanese, assediato e sterminato da frange estremiste. Demetrio viene coinvolto per interpretare Amna, la storia di una dodicenne stuprata. “Mi interessava una voce che cantasse in un certo modo – dice Gaetano Liguori nel saggio Demetrio Stratos di Mario Giusti –, soprattutto che esprimesse lo sdegno, la rabbia, la ribellione”.

Il quarto album degli Area, “Maledetti” (1976) è un’analisi del presente e la profezia di un futuro dominato dall’elettronica e dal virtuale. Occorre tornare a un nuovo umanesimo, ricordano in Evaporazione.

Tra i brani più riusciti Gerontocrazia, preceduto da una ninna nanna asiatica, contiene un auspicio: Vivi in pace la tua vita/non pensare e sogna/felicità./Guarda nel passato /troverai tutto quanto/stabilito.

Demetrio intanto procede nel suo lavoro di approfondimento dell’organo fonatorio e delle sue possibilità espressive. In questa ricerca è seguito dal Centro studio per le ricerche di fonetica presso il Cnr dell’università di Padova. Qui registra vocalizzi che vengono poi analizzati da una equipe medica. Emerge qualcosa di eccezionale: la capacità di Demetrio di produrre una voce sdoppiata, ovvero due suoni contemporaneamente, che possono raggiungere frequenze di vibrazione impensabili. Sono la base per le diplofonie, suoni che hanno le loro radici in oriente, nei canti armonici dei monaci tibetani, nei canti tipici della Mongolia, espressione di una religiosità primordiale, di un contatto dell’uomo con lo spirituale. Demetrio è l’incarnazione di un suono universale.

Così, attraverso queste esplorazioni nei meandri della voce, Demetrio scopre possibilità di estensione e di modulazione eccezionali. È un vero e proprio poeta sonoro nella sua interpretazione dell’ultima opera del folle, dimenticato e “suicidato dalla società” Antonine Artaud, Per farla finita con il giudizio di Dio.

La compagnia di danza di Merce Cunningham durante la performance “Events” (www.walkerart.org)

La sua voce è teatrale, riempie da sola lo spazio di un palcoscenico, come un intero corpo di danza che esegue un balletto; come una scenografia maestosa. Per questa voce viene invitato a esibirsi nei maggiori teatri del mondo. Nel 1978 è a New York, Manhattan, Roundabout Theatre. Va in scena Events, spettacolo della “Merce Cunningham Dance Company”, direzione artistica di Jasper Johns, musica di John Cage, coreografie di Merce Cunningham, costumi e scene di Jasper Johns, Robert Rauschenberg, Andy Warhol, Mark Lancaster. Le più grandi personalità della cultura pop mondiale si ritrovano per dare vita a qualcosa di inedito: un’arte performativa che sia la netta separazione tra danza e musica. Demetrio, insieme ad altri musicisti, è chiamato a improvvisare senza lasciarsi influenzare da altre voci, coreografie, rumori. L’opera deve esprimere la totale autonomia di suoni e di ritmi.

Una volta in America, gli studi sull’apparato fonatorio proseguono presso il Centro di musica sperimentale dell’università di San Diego in California, dove si progetta di affidargli un corso sulle tecniche fonatorie. Il ’78 è l’anno dell’addio alla Cramps per gli Area che accettano la proposta di Caterina Caselli di approdare alla Ascolto, etichetta alternativa della Cgd. Con il gruppo Demetrio che, invece, rimane alla Cramps, registra l’ultimo album “1978: gli dei se ne vanno, gli arrabbiati restano”. Album quasi interamente scritto da lui, mantiene l’aspetto della provocazione e si sofferma sulle vicende di coloro che stanno ai margini del sistema. Il bandito nel deserto è dedicata a Shanfara, poeta e bandito che canta la libertà, la scelta ribelle e anticonformista della vita nomade.

Da sempre connesso all’universo popolare, Demetrio si appropria dei suoni di tutte le culture del mondo: iraniana, indiana, cinese, senza mai dimenticare le radici, che ripropone anche nelle esibizioni più recenti in cui interpreta lo Scioglilingua greco della cicala

e il Canto dei pastori dell’Epiro. Sono pastori erranti che per controllare le pecore le addormentano suonando loro alcune melodie con un flauto. Con Demetrio questo diventa un canto di nostalgia.

E come non rimanere esterrefatti ascoltando le “Flautofonie”, dove si ha di nuovo l’impressione di ascoltare un musicista che intona uno strumento antico, che incanta e ipnotizza come doveva accadere durante i riti dionisiaci nell’antica Grecia.

Il 30 marzo del 1979 al Teatrino della villa Reale di Monza si tiene l’ultima sua esibizione. È da poco uscito l’album “Cantare la voce”. Un concerto per bocca solista, che si apre con Diplofonie, Triplofonie, Investigazioni. Sembra un apice ma è solo l’inizio dell’applicazione dei suoi studi sulla voce.

Attraverso queste investigazioni Demetrio Stratos ha aperto un’area di indagine sulle tecniche di fonazione, cercando strade alternative al canto convenzionale, metodi mai praticati. Ha cercato di trovare dei significati diversi ai suoni, interessando le varie discipline di indagine dell’umano. Ha fatto confluire nella sua voce le culture di tutto il mondo. Ha superato coraggiosamente i limiti, spingendosi al di là di ogni stereotipo estetico o espressivo, come mai nessuno prima.

Questo viaggio si è interrotto, ma è certo che le sue ricerche nei meandri della voce umana, delle sue possibilità di comunicazione e dei suoi risvolti psicologici, lo avrebbero portato, come un moderno Ulisse, a scoprire e a conoscere l’insondabile.

A Scipione Castello si è tenuto fino al 2019 il “Memorial Demetrio Stratos”, serate di concerti e convegni. È stato inoltre inaugurato un piccolo museo a lui dedicato.

I documentari La voce Demetrio Stratos

e “Demetrio Stratos suonare la voce”

raccontano la sua eccezionale storia biografica e musicale.

Chiara Ferrari, coautrice del documentario Cantacronache, 1958-1962. Politica e protesta in musica, autrice di Politica e protesta in musica. Da Cantacronache a Ivano Fossati, edizioni Unicopli