But you see, it’s not me
It’s not my family
In your head, in your head, they are fighting
With their tanks, and their bombs
And their bombs, and their guns
In your head, in your head they are crying
Zombie, Dolores O’Riordan

 

Inconfondibile, il canto straziante di Dolores O’Riordan è risuonato nelle voci di alcuni manifestanti russi, soprattutto donne, arrestati e rinchiusi a bordo di un veicolo delle forze di polizia. Protestavano contro la violenza della guerra che ancora si sta combattendo tra Ucraina e Russia. Voci che hanno preso a prestito la dura protesta della cantautrice irlandese, con le parole di una delle sue canzoni più note, Zombie, ispirata a un atroce episodio del conflitto in Irlanda del Nord, per condannare l’ennesima vergogna. Di nuovo vittime innocenti, di nuovo bambini ammazzati dalle bombe, dai missili. Dalla volontà assassina di un aggressore a cui la canzone domanda insistentemente: What’s in your head? Che cosa c’è nella tua testa? Che cosa ti spinge a tanta disumanità?

Il video fa il giro del web e poco dopo è Elisa a intonare la canzone con la stessa rabbia. La cantautrice triestina, infatti, è tra gli artisti che si sono attivati, anche cantando, per chiedere la fine delle ostilità.

Anche lei ha voluto far risuonare la domanda di O’Riordan, che è quella, concreta e diretta, di una donna, spiazzante nella sua semplicità. La domanda più spontanea: Che cosa hai in quella dannata testa? Che cosa avete, voi uomini, nella testa?

Perché nelle sue canzoni Dolores si trovava spesso davanti a questo muro, con le priorità di una donna che racconta di eterna sopravvivenza in contrasto con le ragioni sorde e cieche degli uomini, avversari sempre pronti al conflitto. I suoi testi tratteggiano un universo femminile intriso di istinto animale, amore per il prossimo, per i più fragili, ricerca instancabile di sicurezze affettive, calore familiare. Desiderio di costruire e di veder crescere la vita. Vocazione naturale alla protezione e alla salvezza. Dall’altra parte incombe la violenza maschile portatrice di guerra e distruzione, uccisioni, stupri, di vuoto e assenze.

Degli esordi di Dolores Mary Eileen O’Riordan (Ballybricken, 6 settembre 1971 – Londra, 15 gennaio 2018) non si sa molto, se non che quando la sua voce è atterrata negli anni Novanta ha lasciato un segno netto tra quanti erano alla ricerca di qualcosa di alternativo al suono disperato del grunge americano. Una voce cristallina, allenata sui virtuosismi dei canti della tradizione popolare irlandese; lei, cresciuta in un minuscolo sobborgo di campagna, nei pressi di Limerick, cittadina della costa sudoccidentale alla foce del fiume Shannon, e sulle solide architetture medievali del canto gregoriano, eredità di una famiglia rurale, dal credo religioso rigido e conservatore. Da questa commistione è uscito quel prodigio vocale che ha incantato negli anni – troppo pochi, per la verità – chiunque avesse sensibilità per lasciarsi toccare da una voce impregnata di terra e di cielo, in un ininterrotto scorrere tra l’etereo rarefatto e il drammatico, tra l’acuto celeste e le note gravi della sofferenza.

Perché O’Riordan è stata la voce degli indifesi, dei bambini feriti e traditi, colpiti dalle guerre che hanno lacerato l’Europa in quegli anni e che, come lei, hanno vissuto esperienze tragiche e tormentate.

The Cranberries

Nel 1993 avviene il suo esordio nel gruppo The Cranberry Saw Us, poi accorciato in The Cranberries. I fratelli Noel e Mike Hogan, chitarra e basso, e il batterista Fergal Lawler sono tre studenti delle scuole superiori. Il cantante solista li ha da poco abbandonati insieme al progetto di esibirsi con canzoni originali in qualche pub della zona. Serve un rimpiazzo e un amico fa il nome di Dolores, una ragazza della provincia che, si dice, sappia cantare, suonare e scrivere canzoni.

È una figura indefinita, ricoperta di abiti scelti a caso. E quando viene messa alla prova con una cover lascia tutti a bocca aperta. Per lei la musica è una consuetudine: suona il tin whistle fin da bambina, la chitarra e la fisarmonica; ha studiato pianoforte, canta da sempre. È la prima voce del coro della chiesa del suo paese dove si prega cantando in gregoriano. A scuola ha vinto più volte il concorso di canto popolare, le insegnanti la fanno salire sulla cattedra perché con il suo canto gli alunni si zittiscono. Compone melodie, scrive testi, si considera una poetessa.

Ha una voce immediatamente riconoscibile, con lei il folk irlandese entrerà nell’alveo del rock, contaminando questi due mondi in modo speciale e inedito. Ma alle prime esibizioni è subito chiaro che il ruolo della front woman è una ribalta che la inquieta: Dolores si nasconde dietro la batteria, fissa il soffitto, volta le spalle agli spettatori. Essere al centro dell’attenzione sarà sempre per lei elemento di disagio, perennemente divisa tra il desiderio di sparire, smaterializzandosi in un soffio e quello di essere presente, volto e corpo, davanti al pubblico.

I Cranbarries con Bono Vox

Una sera, durante un concerto all’università di Limerick tra gli ascoltatori c’è Denny Cordell, responsabile della Island Records, casa discografica degli U2, band irlandese da tempo nota in tutto il mondo. Sarà grazie a lui che i Cranberries otterranno l’uscita del primo Lp, “Everybody else is doing, so why can’t we?”, che esce nel 1993 ma con brani composti precedentemente, e un contratto per sei successivi album. Dolores è autrice delle melodie e dei testi e già in questo esordio compaiono temi chiave della sua poetica: l’amore non corrisposto di Linger, che è anche canto di nostalgia per la Patria, secondo gli emigranti irlandesi a Londra che negli anni Novanta, pensando alla loro terra, ne ascoltavano il ritornello If you, If you could return (Se tu, se tu potessi ritornare).

Ma soprattutto la condizione di dipendenza e subalternità subita dalle donne da parte di uomini che ingannano e infliggono umiliazioni. Sono, come Dolores li definisce nella biografia di Daniele Lucchini*: “I dolorosi insuccessi di un’adolescente e la sua successiva rinascita come giovane adulta”. Una base pittorica di infelicità sulla quale l’irrompere dei drammatici eventi di cronaca imprimerà segni profondi e tinte cupe su una tela già lacerata.

Alla dipendenza malata, però, si deve reagire. Così, come in Pretty il tema dell’invito all’autostima femminile si presenta come messaggio rivolto a tutte le donne, perché si accettino per come sono, senza farsi condizionare dagli stereotipi di bellezza e di comportamento creati e imposti dagli uomini.

Se in Irlanda e in Europa l’album non decolla, negli Stati Uniti le radio universitarie lo trasmettono senza sosta. E il successo in America è decisivo per convincere la casa discografica a investire seriamente nella band. Nonostante le palesi difficoltà di Dolores, nel reggere interviste, sovrastata da un pesante carico mediatico, l’interesse quasi ossessivo e morboso che giornalisti e fotografi hanno da subito verso di lei, figura insolita, dal vissuto, si intuisce, problematico. L’America è anche la svolta nella vita privata. Dolores qui conosce l’uomo che diventerà suo marito e padre dei loro tre figli.

Il 1994 segna l’uscita del secondo album “No need to argue”, successo planetario in cui la scrittura di Dolores mostra tutte le sue possibili declinazioni: non esita a mostrare uno slancio positivo dato dalla nuova condizione di stabilità emotiva, rimarcato in Dreaming my dreams, dove il futuro è un abbraccio fiducioso.

Ma occorre ogni volta fare i conti con il senso di vuoto che la travolge dopo una perdita o il ricordo di un abbandono. Nessuno come lei ha saputo raccontare questo stato d’animo, nessuna canzone mai, se non Empty: Something has left my life /And I don’t know where it went to (…) /All my plans fell through my hands (…) /All my dreams it suddenly seems /Empty.

In altri momenti Dolores lascia che si entri nel suo mondo privato, conservato nella memoria di un’infanzia di giorni felici, ma anche di eventi rimossi, chiusi a chiave. Eventi che si dispiegano nella sua amata Irlanda, terra di tradizioni radicate nel fondo gorgogliante della storia popolare, alla quale si sente legata.

Yeat’s grave è la celebrazione delle origini, il riconoscimento di un padre artistico, il grande poeta William Butler Yeats. Nei primi del Novecento, partendo dalla raccolta di fiabe e racconti, fondava il movimento letterario Irish Literary Revival o Celtic Revival, alla base del recupero della tradizione folk irlandese, che continuerà anche successivamente, sull’onda dall’affermazione dell’indipendenza dal giogo inglese.

La canzone, scritta dopo una visita a Sligo sul luogo della tomba, è un monologo che O’Riordan rivolge al poeta, prendendo in prestito alcuni suoi versi che si mescolano alle sue parole di cantautrice contemporanea in un ideale sposalizio tra il presente e la tradizione. Perché il tempo passa, ma i temi sono ricorrenti: l’amore non corrisposto, il legame inscindibile con la propria terra, la natura come luogo di protezione.

Yeats aveva profondamente amato, non corrisposto, la femminista e rivoluzionaria irredentista irlandese Maud Gonne che, alla fine, gli aveva preferito il militante John McBride. Come forma di difesa dal dolore, Yeats aveva dovuto imparare a prendere le distanze, e lo aveva fatto disegnando di lei un ritratto pennellato con le parole della delusione. Le stesse che Dolores recita nel brano: Why should I blame her that she filled my days /with misery, or that she would of late /Have taught to ignorant men most violent ways / Or hurled the little streets upon the great /Had they but courage equal to desire? (Perché dovrei incolparla di avermi riempito i giorni/Di tristezza, o di avere ultimamente voluto /insegnare a uomini rozzi i modi più violenti /O di avere spinto delle viuzze sulle vie maestre /Solo che avessero avuto coraggio pari al desiderio?).

Come Yeats, Dolores è stata ferita dai sentimenti non corrisposti; come Yeats sente che la propria Patria va difesa senza essere oltraggiata con atti di violenza; come Yeats, che raccontava in The lake Isle of Innisfree il suo desiderio di fondersi con la pace della campagna, ama pensare che la natura sia un conforto e il rifugio da ogni pericolo.

Come la famiglia. Ode to my family è una delle canzoni più intime dell’autrice, che ripercorre la semplicità e il calore domestico negli anni trascorsi a Limerick. Ci sono gli abbracci teneri della madre, il dispiacere per le sofferenze del padre malato, la schiera dei sette fratelli, lei sorella minore, gli insegnamenti ricevuti: la vita da godere a pieno, per quello che di buono può offrire. Il successo l’ha portata lontano e Dolores sembra volersi scusare con la sua famiglia per essere cambiata così tanto, per essere diventata ciò che mai avrebbe immaginato: una celebrità, il cui volto rimbalza dalle copertine delle riviste ai video lanciati dagli schermi di tutto il pianeta. Icona, figura idealizzata, ma nel profondo anima inquieta e incerta: And people everywhere think /Something better than I am (E dappertutto la gente mi ritiene/Migliore di quello che sono). La nostalgia della vita semplice, il passato trascorso nella campagna irlandese, il pensiero di chi là è rimasto, gli amici, i conoscenti, che forse l’avranno dimenticata o forse no, la riporta di nuovo alle sue origini

e alle vicende del suo Paese. Qui la sua voce si fa cronaca dei fatti cruenti dell’attualità.

Il 20 marzo 1993 due bombe nascoste nei cestini della spazzatura esplodono in una via di Warrington, cittadina inglese a pochi chilometri da Liverpool. Cinquantasei i feriti e due i morti: un bambino di tre anni e uno di dodici. Gli autori dell’attentato sono fanatici dell’Ira. È uno degli innumerevoli colpi che segnano il conflitto etnico-nazionalista in Nord Irlanda, tra irredentisti irlandesi e governo inglese, iniziato alla fine degli anni Sessanta e che si concluderà nel 1998 con la ratifica del Good Friday Agreement. Uno scontro che vede la partecipazione di Regno Unito e Repubblica d’Irlanda e milizie paramilitari repubblicane, principalmente l’Irish Republican Army (Ira) e unioniste, la Ulster Volunteer Force (Uvf) e Ulster Freedom Fighters (Uff).

Il 10 dicembre 1998 il premio Nobel per la pace verrà conferito al cattolico John Hume e al protestante David Trimble per i loro sforzi nel trovare una soluzione pacifica al conflitto in Irlanda del Nord. In quell’occasione Dolores eseguirà il brano Promises, che parla di un divorzio, ma che è anche un ripercorrere il doloroso conflitto civile.

Anni prima Bono Vox aveva scritto Sunday Bloody Sunday, in ricordo dell’attentato dell’Ira a Enniskillen, nell’Irlanda del Nord; il film Rattle and Hum, che riprendeva il concerto degli U2 a Denver dell’8 novembre 1987, immortalava la sua ferma condanna a quegli atti di terrorismo.

Nel 1993 la morte di due bambini torna a colpire l’opinione pubblica, il mondo intero è sconvolto davanti a una violenza così oscena. Dolores, in tour in Inghilterra, non esiterà a dare voce a quello strazio: “Se questi uomini hanno problemi con altri uomini – dichiarerà – vadano a combatterli; ma non mettano bombe in mezzo ai bambini”. Le dichiarazioni non bastano, il suo ruolo pubblico di artista le permette ora di farsi voce collettiva e denunciare quelle atrocità.

Dal video di Zombie

Another head hangs lowly / Child is slowly taken (Si china un’altra testa / E un bambino è trasportato lentamente), esordisce Zombie, brano composto di getto, scritto con la rabbia nella gola, e in mente l’immagine del funerale di un innocente, nel silenzio irreale. What’s in your head, in your head, Zombie? Che cos’hai in quella dannata testa, Zombie? Solo macerie, distruzione, assurda morte.

La canzone è così deflagrante nei toni e nelle intenzioni che la casa discografica teme implicazioni politiche che potrebbero disturbare il lancio del disco, così propone a Dolores un assegno perché il pezzo non esca come singolo di anteprima. Chiaramente, lei lo rifiuta: “Il brano non riguarda l’Ira – dirà –, riguarda quello che il terrorismo e la guerra fanno alla gente, riguarda i sentimenti delle persone, non è una dichiarazione politica (…) e non l’ho scritto solo perché sono irlandese”. Ed è la verità, infatti la canzone è diventata simbolo delle atrocità di tutte le guerre, ricordo di tutte le morti, dei bambini uccisi, è un universale canto antimilitarista.

Nel 1996 Dolores torna sul tema della guerra e dell’irredentismo irlandese con God be with you, colonna sonora del film L’ombra del diavolo di Alan Pakula. Un tamburo di guerra introduce la canzone che sembra dare voce alla crisi di coscienza di un militante che, dopo aver visto morire il padre e aver perso ogni motivazione, si ritrova a guardare le sue mani sporche del sangue dei tanti uomini uccisi, nell’incapacità di non saper fare altro che combattere, chiuso dentro un meccanismo atroce che soffoca i sentimenti e la libertà. E così: God be with you, Ireland! (Che Dio sia con te, Irlanda!), grida, mentre intorno è solo morte.

Altre vittime giovanissime avevano precedentemente sconvolto le cronache inglesi, in quel 1993, in una escalation di orrore. Il 14 febbraio il corpo martoriato di un bambino di due anni, veniva trovato sui binari di Walton, sobborgo di Liverpool, non lontano dal centro commerciale dal quale era scomparso due giorni prima. Si scopre poi che gli autori del delitto erano due bambini di dieci anni. Questi avevano ordito di sottrarre la povera creatura alla madre, trascinarla in un posto isolato, compiere torture sul suo corpo e infine ucciderlo. Alla pena per la morte insensata di un innocente si aggiunge il senso di impotenza di fronte a un atto così devastante architettato per gioco.

Dolores non riesce a restare insensibile davanti a questo terribile infanticidio. Prova empatia per il bambino, ma soprattutto per la madre con la quale si immedesima. Per lei scrive The icicle melts: There’s a place for the baby that died / And there’s time for the mother who cried / And she will hold him in her arms sometimes /’Cause nine months is too long (C’è un posto per quel bambino che è morto/E c’è un tempo per la madre che lo ha pianto/E qualche volta se lo terrà ancora tra le braccia /Perché nove mesi sono troppo lunghi).

Nel 1996 esce il terzo album “To the faithful departed”, “ai fedeli defunti” formula che riecheggia nella liturgia classica per commemorare i morti. Il tema della morte, delle persone care, come il nonno a cui è dedicata Joe,

o Danny Cordell produttore della Island Records, per Dolores quasi figura paterna, a cui è dedicata Cordell.

Oppure di sconosciuti uccisi da una guerra, da una violenza, per gli effetti della droga, il tema della morte serpeggia per tutto l’album.

Salvation è una condanna delle nuove droghe che mietono vittime tra i giovani negli anni Ottanta e Novanta, droghe sintetiche, ecstasy. Padri e madri devono legare al letto i propri figli e ripulire le loro teste. Non solo la droga, tutte le dipendenze sono tossiche e producono effetti devastanti su corpi e menti. Ma da queste condizioni ci si può salvare: Salvation is free (La salvezza è una scelta).

Con il crollo del muro di Berlino, nel 1989, la riunificazione della Germania e lo sgretolamento dell’Urss, nel 1991, il mondo aveva iniziato a guardare a un futuro di pace. Una visione ben presto interrotta dai boati delle bombe, proprio nel cuore dell’Europa. Le guerre jugoslave, con il conflitto in Bosnia ed Erzegovina e il sanguinoso assedio di Sarajevo, sventrano quelle terre per lungo tempo, per terminare le violenze nel 1995. Ma quei luoghi non vedranno la piena fine delle ostilità e dello scorrere del sangue ancora per altri anni.

1995, con Brian Eno, Bono, Zucchero, the Edge and Simon Le Bon al the Pavarotti & Friends

L’impegno degli artisti per dare visibilità alle vicende di guerra è massiccio. Gli U2 nelle diverse tappe dello ZooTv Tour con collegamenti via satellite danno voce agli abitanti di Sarajevo che stanno subendo le aggressioni, due cineasti inglesi creano War Child, organizzazione che si propone di raccogliere medicine e alimenti per i bambini delle zone di guerra. Il grande tenore Luciano Pavarotti è l’ideatore dell’evento Pavarotti&Friends, attraverso cui raccoglie fondi da destinare ai bambini della Bosnia. Coinvolge personalità straordinarie del panorama italiano e internazionale. Tra i partecipanti all’edizione del 1995 Dolores commuove nella sua versione dell’Ave Maria di Franz Schubert.

Ma questo non basta. “Amo i bambini (…) – racconta nella biografia citata –. Che siano la Bosnia o il Bogside (quartiere di Derry, Irlanda del Nord, ndr), i bambini sono quelli che soffrono più di tutti, sono i più vulnerabili”. Per loro e per condannare tutte le atrocità della guerra scriverà due intense canzoni: War Child, sui bambini vittime del potere politico: War child/Victim of political pride/Plant the seed, territorial greed/Mind the war child/We should mind the war child;

e Bosnia: All we sing songs in our room / Sarajevo erects another tomb (Noi cantiamo nelle nostre stanzette / E Sarajevo erige un’altra tomba).

Altri morti tornano nei ricordi di Dolores, sono parte della sua vita e le hanno mostrato gli effetti collaterali del successo, il prezzo da pagare per essere diventata una celebrità. È un tema che la tocca da vicino, perché il mondo dei media è sempre stato intrusivo nella sua vita, trattata come un prodotto commerciale, tanto da provocarle stati di esaurimento psicofisico. L’essere sempre osservata, fotografata all’interno di un sistema della comunicazione impazzito, è per Dolores motivo di continua sofferenza. A differenza di lei, John Lennon, ucciso da un mitomane nel 1980, era consapevole del suo destino e Dolores lo considera un eroe, una figura leggendaria. Per lui scrive I just shot John Lennon chiudendo il pezzo con un verso di grande effetto, con cui dà anche un giudizio sul mondo dei media, responsabili di tante morti: With a Smith & Wesson 38/ John Lennon’s life was no longer a debate. (Con una Smith & Wesson calibro 38/La vita di John Lennon non fu più un oggetto di dibattito.

Morti uccisi sono anche Kurt Cobain, suicida, e John Fitzgerald Kennedy, assassinato all’apice della popolarità, evocati in I’m still remembering. Sulla loro morte non è calato il silenzio, come avrebbe dovuto, ma il circo mediatico ha tenuto accese luci abbaglianti per lungo tempo, senza rispetto del lutto e del dolore.

Solo con la maternità, raccontata nell’album successivo,“Bury the Hatchet” (1999), Dolores reagisce al suo esaurimento e ritrova linfa creativa. Tra le tante canzoni, Animal Instinct è un inno alla natura salvifica dell’istinto animale, che è vocazione primaria di protezione e sopravvivenza.

Ma un’ombra tremenda incombe sulla serenità appena conquistata, data dal mettere al mondo la vita.

Fee fi fo she smells his body (Ucci ucci lei sente l’odore del suo corpo) è la frase con cui inizia la canzone Fee Fi Fo. A differenza della tradizionale filastrocca per bambini il verso non introduce l’orco, ma la sua vittima: una bambina. La violenza sui bambini appare ora nella forma più indecente dall’abuso sessuale. “La bambina è stata abusata da un uomo che non se ne va – racconta Dolores – (…). Ecco dunque il buio, che è una grande vulnerabilità. Ed ecco la rabbia della persona che canta il testo”.

È il senso di paura che riempie l’atmosfera. Solo nel 2013 Dolores racconterà in un’intervista sul quotidiano irlandese Independent di essere lei la protagonista di quella canzone, vittima, dagli otto ai dodici anni, di abusi da parte di un amico di famiglia.

Lo stesso tema tornerà in forma più violenta e rabbiosa, nella canzone In the garden, dall’album “Are you listening?” (2007) in cui il senso di vergogna provato dalla protagonista è una lastra di cemento che chiude una tomba.

Nel 2001 “Wake up and smell the coffee” affronta il tema dell’ambiente devastato dall’uomo. Le future generazioni non potranno godere del patrimonio naturale. Nel 1986 era avvenuta la tragica esplosione della centrale nucleare di Chernobyl, località a pochi chilometri da Kiev che aveva diffuso vapori radioattivi lungo l’Europa. Un vento di paura e di morte aveva scosso tutti i Paesi e qualche artista aveva cominciato a portare all’attenzione pubblica il dramma dell’inquinamento radioattivo e degli interventi dannosi sui cambiamenti climatici dagli effetti sempre più distruttivi.

Dolores fa la sua parte e scrive Time is ticking out che è il risultato di una preoccupazione personale ma anche un richiamo collettivo: We’d better think about the consequences (…) / What about Chernobyl? /What about radiation? (Faremmo meglio a pensare alle conseguenze (…)/ Che dire di Chernobyl?/ Che dire della radiazione?

Torna il tema della morte, che può essere anche interiore, un morire lento che le appartiene e che in Dying Inside prende le forme di una sconfitta. Una donna sta perdendo ogni punto fermo, una donna le cui inquietudini stanno riemergendo dopo un periodo di quiete.

“Star” (2002) è l’ultimo dei sei album come da contratto con Island, l’etichetta poi assorbita da Universal. New New York celebra il primo anniversario degli attentati al World Trade Center che ora ha un nuovo profilo, diverso, come diversa è l’atmosfera che Dolores respira in quel luogo, visitato dopo il crollo. Un’atmosfera di energia che dopo tutto il dolore patito dall’America la fa risorgere.

New New York skyline, wounds they heal in time /Don’t crawl and don’t despair, it’s a new New York today (Il nuovo profilo di New York, una ferita che il tempo guarirà/Non trascinatevi, non disperatevi, è una nuova New York).

“Are you listening?” (2007) è un disco solista che esce dopo un lungo periodo di pausa, dopo una crisi profonda in cui Dolores mette a nudo le sue contraddizioni: l’essere una persona, una donna, e il sentirsi una merce, un prodotto creato dall’industria dell’intrattenimento, da vendere ai migliori offerenti.

Così, riafferma se stessa, tornando all’infanzia, al mondo degli affetti, al legame forte e protettivo con la madre, in When you were young,

e al ricordo doloroso del padre per la sua condizione di disabilità in Without you.

Il colloquio con l’infanzia diventa dialogo intenso con la propria interiorità nell’album successivo, “No Baggage” (2009). Dolores dà voce alle fragilità che la perseguitano, come in Skeleton, in cui si riconosce come personalità al limite, risultato di traumi non risolti.

Una narrazione che continua anche nell’album successivo “Roses” (2012), in cui Dolores deve elaborare la morte del padre. Questa perdita è deflagrante e porta a galla tutto quanto il rimosso: la violenza subita, il senso di vergogna, la solitudine. Naufraga il matrimonio e le sue condizioni di salute mentale sono al collasso, acuito dall’abuso di alcol.

“Something else” (Bmg, 2017), antologia dei venti anni del gruppo, è anche una richiesta di aiuto per riemergere dalla condizione di grave depressione. Rapture è la discesa in un buco nero e l’incapacità di uscirne. Il dolore è percepibile.

Il 15 gennaio 2018 il corpo di Dolores viene trovato senza vita nella vasca da bagno di una stanza d’albergo di Londra dove il giorno dopo avrebbe dovuto registrare alcune tracce per un nuovo album. L’autopsia rivela come causa della morte l’annegamento in seguito ad assopimento provocato da eccessiva assunzione di alcol. Il 26 aprile 2019, a chiusura dell’esperienza dei Cranberries, esce l’album postumo che, non a caso, ha il titolo “The end”. Tra le tracce Lost è un grumo di sofferenze, una tempesta che si avvicina, un trauma del passato mai superato.

As I lie here in the bathub/ I ponder/ And I wonder why did they take her/And squeeze her life away (…)/ So ugly, so ugly/ Why? They even watched her die (…) Another celebrity dies/And it still mystifies the people/ Another icon is destroyed (Distesa nella vasca da bagno/Penso/ E mi chiedo perché l’hanno presa /E le hanno spremuto fuori la vita (…)/ Che brutto, che brutto! /Perché? L’hanno perfino guardata morire (…) Un’altra celebrità muore/E confonde ancora le persone/Un’altra icona viene distrutta). Dal testo di Paparazzi on Mopeds (album “Bury the Hatchet”, 1999).

Artista inquieta e fragile, di Dolores O’Riordan resta una voce inimitabile che subito si distingue; di chi ha lasciato un segno nitido tra le tracce sonore al femminile. E poi, l’invocazione a proteggere gli indifesi e a ripudiare, sempre, tutte le guerre.

Chiara Ferrari, autrice del libro Le donne del folk. Cantare gli ultimi. Dalle battaglie di ieri a quelle di oggi. Edizioni Interno 4, 2021; coautrice del documentario Cantacronache, 1958-1962. Politica e protesta in musica. Da Cantacronache a Ivano Fossati, edizioni Unicopli


*Dolores O’Riordan & The Cranberries. Parole di una star riluttante. Arcana edizioni, Roma 2021: “I dolorosi insuccessi di un’adolescente e la sua successiva rinascita come giovane adulta