Eva Cassidy

There is something about her voice – a quality – that you can’t really put into words. It’s a magical quality. People respond to its purity. It suggests something ethereal, something unattainable.
Sting

 

Eva Marie Cassidy diceva di essere nata in Germania. E in un certo senso era vero, perché là, nel cuore dell’Europa, a Rhineland, sua madre Barbara era rimasta incinta di lei, incinta per la terza volta. Il nonno e il bisnonno, da parte di madre, vivevano a Bad Kreuznach, una città termale circondata da alte montagne. Tra i rilievi spiccava il Loreley, roccia da cui tuttora si ammira il Reno e le sue anse. Secondo la leggenda, Loreley era una bellissima ondina del fiume Reno, che attirava a sé gli uomini col suo canto, causando naufragi e sciagure. Un giorno, per vendicare il figlio morto, un nobile inviò i suoi soldati a sopprimere la fanciulla. Costoro, che seppero resistere al suo incanto, l’avrebbero di certo uccisa, se lei non avesse chiamato in soccorso il padre. Lui le mandò un cavallo di schiuma che la condusse nelle profondità del fiume, da cui non fece più ritorno. Da quel momento, i marinai non dovettero più temere gli inganni di Loreley. Una fanciulla dalla voce incantatrice che sparisce per sempre, ha qualcosa in comune con la vicenda di Eva Cassidy.

Le rocce di Loreley

Il bisnonno, Hermann Krätzer, nacque in Sassonia, dove i suoi avi vivevano da secoli. Gli piaceva viaggiare e durante una delle sue peregrinazioni giunse nella valle del Reno, dove il fiume confluiva il Nahe. Il paesaggio lo emozionò così tanto che decise di fermarsi. Nella cittadina di Bad Kreuznach realizzò la sua attività di produzione e vendita di mobili. Qui incontrò Maria, con la quale ebbe due figli, Karl e Hermann junior.

Durante la prima guerra mondiale dovette lasciare il negozio, per impegnarsi come guardia del corpo di Guglielmo II, imperatore di Germania e Prussia che dal 1917 al 1918 si era stabilito nella città per godere degli effetti curativi delle terme. Hermann morì poi in Polonia, nell’ultimo anno di guerra, ucciso da una baionetta. Entrambi i figli divennero abili falegnami. Il giovane Hermann realizzava splendidi arredi in legno pregiato, ma era Karl il miglior artigiano della zona, esperto intagliatore. Con la moglie Wilhelmina metterà al mondo due figlie: Barbara, nel 1939 e Katrin, nel 1944.

Amava la musica classica e come il padre era un viaggiatore curioso. Nei primi anni Trenta ebbe chiaro il presentimento che sarebbe scoppiata una nuova guerra. Il nazismo prendeva piede molto velocemente in Germania, e Bad Kreuznach divenne un centro di opposizione al regime di Hitler.

Hugo Salzmann nella sua abitazione

Nella cittadina era Hugo Salzmann, comunista e anti-nazista, a coordinare la Resistenza contro la dittatura. Sopravvisse alla guerra e divenne rappresentate del Partito comunista di Bad Kreuznach nel 1945. Karl appoggiava i comunisti e aderì alla causa di Salzmann. Fu catturato nel 1933 in possesso di alcuni opuscoli e spedito in carcere per sei mesi. Al rilascio aiutò molti giovani del villaggio a fuggire, ma non salvò se stesso dal suo personale senso del dovere e fu mandato a combattere in Polonia. Per le sue idee politiche venne più volte internato in una prigione militare. Nell’ultimo anno di guerra, durante una ronda, rubò la bicicletta del suo superiore e fuggì dalla Polonia, verso Bad Kreuznach. Fece una lunga deviazione attraverso la Svizzera e riuscì a tornare a casa, ritrovando la moglie Wilhelmina e le sue figlie, Barbara e Katrin.

La città era stata trasformata dalla guerra: gli ebrei erano stati deportati al campo di concentramento di Theresienstadt nella zona dei Sudeti, le bombe avevano distrutto le caserme della Wehrmacht lungo diverse vie del centro. Bombardata anche la linea ferroviaria da Berlino a Parigi che attraversava la città. Molte le vittime. I reggimenti americani arrivarono a Bad Kreuznach che rimase per molto tempo sotto il controllo degli alleati.

I disegni degli internati

Quando morirono, Karl e Wilhelmina non furono sepolti nel cimitero di Mittlerer Flurweg. Vollero che i loro corpi fossero destinati alla scienza medica, per il profondo idealismo e spirito di generosità che aveva impregnato le loro esistenze. La loro prima figlia, Barbara, nata nel 1939, era una bambina sensibile e restò provata dalla guerra per tutta la sua vita. Esposta alla sofferenza, alle bombe, alle macerie, alle privazioni. Alla vista dei prigionieri che tornavano dai campi di concentramento ridotti a fantasmi. Negli anni non smise di riflettere alla devastazione che la guerra portò nel continente europeo, nella sua città, nella sua vita e sulla fortuna di essere figlia di un antinazista che per difendere la sua famiglia e tanti cittadini aveva costruito un nascondiglio sotterraneo, aperto a quanta più gente possibile si potesse salvare dalle bombe. Alla fine della guerra, dopo quattro anni, Karl ricevette un documento riservato alle persone perseguitate per ragioni politiche, di razza e di religione, essendo stato riconosciuto come vittima del nazismo.

Un veduta panoramica di Bad Kreuznach

L’esercito americano stazionò a Bad Kreuznach fino al 2001. Gli americani vi costruirono caserme, un piccolo aeroporto, un magazzino per armi e munizioni, un posto di addestramento. Barbara, lasciata la scuola, lavorò come receptionist in un ospedale militare dove incontrò un soldato statunitense, per metà americano e per metà Cherokee. Si innamorò di quest’uomo che rappresentava la libertà che le serviva per dimenticare gli orrori della guerra. Nove mesi dopo, nel 1957, Barbara mise al mondo la loro figlia Annette. Il padre la tenne tra le braccia una sola volta. Dopo quell’incontro sparì, tornando negli States.

Hugh e Barbara Cassidy con Eva e sua sorella Margaret, 1963 (Songbird)

Nel 1960 Barbara incontrò un altro soldato americano. Era Hugh Cassidy, dal cognome nord irlandese, tipico dei migranti giunti negli Stati Uniti nel XIX secolo. I Cassidy erano portatori di pace, cultura e istruzione. Gli antenati di Hugh Cassidy erano emigrati a Philadelphia nel 1870. Il padre di Hugh, Lewis Cochran Cassidy (1899-1948) frequentò due prestigiose università in Washington D.C. e divenne professore di diritto. Lasciò la moglie Clara dopo la nascita del loro quarto figlio, Hugh, e si risposò con una donna più giovane, ma non fece mai mancare il denaro per provvedere all’educazione dei figli. I fratelli John e Lew seguirono le orme del padre nella professione legale e furono importanti benefattori nel campo dell’arte e della musica. La sorella Isabel era portata per l’arte e divenne insegnante. Hugh aveva una grande passione per la musica.

La madre di Hugh, Clara McGrew (1902-1999), era figlia di James ed Eva McGrew. Dopo essere stata abbandonata dal marito Lewis Cochran Cassidy, spese la restante parte della sua vita a crescere i quattro figli, lavorando in un grande magazzino. Poi, nel 1960 acquistò una piccola fattoria nella cittadina di Harper’s Ferry nel West Virginia, la cui ferrovia era stata distrutta nella Guerra Civile. Una delle tante città attraversate dal sentiero dei monti Appalachi. Qui Clara si dedicò alla scrittura divenendo un’autrice di successo di libri per bambini. Nel 1978 scrisse un articolo in cui illustrava la forma poetica giapponese dell’haiku, genere che l’appassionò e attraverso il quale lasciò memoria del meraviglioso ecosistema montuoso da cui era circondata.

Eva Cassidy nel 1988

Hugh Cassidy crebbe senza il padre e venne mandato a studiare in Tennessee e in Florida, dove subì azioni di bullismo che lo influenzarono per anni. Con la madre aveva un rapporto conflittuale e visse un’infanzia infelice. Trovò realizzazione nella musica, suonando la chitarra e il mandolino. Negli anni Cinquanta frequentava il college e nel frattempo creò una band con l’intento di fare della musica qualcosa di più di un passatempo. Arruolato nell’esercito cominciò il servizio militare all’ospedale di Bad Kreuznach.

Qui incontrò Barbara che vide in lui le qualità che amava del padre. Nel 1961, tre mesi dopo il loro incontro Hugh e Barbara si sposarono. Lui accettò Annette e nel 1962 nacque la loro figlia Margaret. Barbara voleva andarsene dalla Germania e sognava una vita negli Stati Uniti, pur sapendo di andare incontro a un futuro incerto. I due si decisero. Affrontarono un viaggio lunghissimo su un velivolo a elica attraversando l’oceano. Barbara stava portando in grembo la terza figlia.

Eva Cassidy

Eva Marie Cassidy nasce il 2 febbraio 1963 al Washington Hospital Center in Washington D.C. dove la famiglia prese residenza. La zona era abitata da bianchi, i vicini avevano dato a Eva il soprannome di Miss Sunshine, per i suoi capelli biondissimi. Poco dopo il nucleo familiare si spostò in Martin Luther King Boulevard.

Hugh continuava a voler realizzare il progetto di diventare musicista, mentre studiava per la professione di insegnante, trovando poi lavoro nella scuola elementare. Nel 1964 nasceva Dan, lo stesso anno in cui la famiglia si trasferiva a Oxon Hill, Maryland. Qui, alla scuola primaria, Eva mostrava da subito talento artistico, incoraggiata dalla madre che amava frequentare gallerie d’arte insieme ai figli. In famiglia si ascoltava anche molta musica.

La collezione comprendeva dischi della Folkways Collection, Leadbelly, Pete and Peggy Seeger, Bob Dylan. Eva adorava anche Buffy Sainte-Marie. Osservando una fotografia che la immortalava davanti al microfono realizzò di voler diventare una cantante. Hugh passava dal basso elettrico alla chitarra acustica e al mandolino. Quando i parenti facevano visita era normale accoglierli con qualche performance musicale. Spiccava da subito l’abilità di Eva nell’armonizzare a più voci, un talento naturale che il padre incentivava chiedendole ogni volta di inventare una seconda voce sui pezzi che passavano alla radio.

Eva Cassidy con il fratello Dan

Nel 1972 la famiglia si trasferisce a Bowie, un villaggio distante qualche chilometro da Oxon Hill. Alla scuola elementare Eva riesce bene nella ceramica e nella musica. La zia Isabel le regala il suo primo strumento, un dulcimer, con cui comincia ad accompagnarsi in diverse canzoni. L’anno successivo, dal padre riceve una chitarra con le corde di nylon. In famiglia gli stimoli ad apprendere generi e stili musicali non mancano. Si passa da Linda Ronstadt, a Bonnie Raitt, a Cher, alle voci di Joan Baez e Paul Simon. I dischi country-rock di Fleetwood Mac, Eagles, il jazz di Sarah Vaughan ed Ella Fitzgerald.

Figura importante per la Cassidy, negli anni dell’infanzia è Leo, pittore, artista ma anche predicatore battista. Frequentando la sua congregazione, dove i partecipanti erano per la maggior parte neri, Eva insieme ai fratelli, conosce la realtà di questo popolo che lottava per i propri diritti, per la giustizia sociale e contro l’oppressione schiavista che ancora dominava la realtà americana. E apprende la loro musica, il gospel, gli spirituals, gli inni religiosi che le saranno di ispirazione. Canzoni come Wayfaring stranger, People get ready, Wade in the water e How can I keep from singing? diventeranno parte del suo repertorio.

La prima esibizione pubblica del gruppo familiare composto dal padre, chitarra e voce, dal figlio Dan, violino e voce e da Eva, chitarra e prima voce, avviene nel 1978 al Fleet Reserve Club. Ed è disastrosa: il microfono le cade a terra, assordando i presenti. Si rivela da subito la timidezza e il forte disagio della ragazza nell’esibirsi davanti a un pubblico, cosa che l’accompagnerà per tutta la carriera.

Eva e Dan con il gruppo Stonehenge

Quando i due fratelli Dan e Eva cominciano a frequentare la Bowie High School, si uniscono in un duo che suona negli spettacoli scolastici. Vengono presto assoldati da un gruppo giovanile, chiamato Stonehenge, di casa al Bowie High Coffee House, con un repertorio che spazia tra il folk e il jazz. Sono interessanti e non ci vuole molto perché la band venga messa sotto contratto da un’agenzia, nell’agosto 1980. Viene chiesto al gruppo di cambiare nome in Easy Street e vengono proposti nel circuito dei locali notturni, con un pubblico giovanile, più interessato a bere alcolici che ad ascoltare musica. Scopriamo Eva già piuttosto decisa nell’imporre la sua idea del mestiere di cantante: cantare rappresenta un’arte che richiede serietà; e l’esecuzione di una canzone è la manifestazione profonda di un’emozione. Nulla a che fare col mostrarsi, esporre il corpo per attrarre. Mercificare se stessa e la propria musica. Lei, del resto, è così timida che preferisce cantare al buio e possibilmente dal fondo del palcoscenico, nascosta.

Pubblicità del concerto del 1996

Un’altra formazione si costituisce e questa volta è più solida, il Method Actor, di cui fanno parte il bassista Ken Fiester, il batterista Jim Campbell, Ned Judy al piano, Bob Fiester alla chitarra, Jeff Lourim ai sintetizzatori, Mark Izzi al sassofono, Tom Prasada-Rao al violino, chitarrista e autore dei testi David Laurim. Il gruppo si esibisce numerose volte al The Bayou, in Georgetown, club da cui avevano preso il volo artisti come U2 e Bruce Springsteen. Di fronte ad alcuni talent scout della Warner, la Cassidy, presa dalla solita timidezza e introversione, non dà il meglio di sé. Solo il produttore Chris Biondo riesce a intravedere, dietro la personalità schiva e solitaria, il talento della giovane interprete. Nel suo studio di registrazione a Rockville a nord di Washington D.C., il gruppo ha l’opportunità di incidere un album, Method Actor, che esce nel 1988. La copertina è opera della Cassidy, che nel frattempo aveva continuato i suoi studi di arte al Prince George’s Community College in Largo, ed è ispirata a personaggi storici tra cui Anna Frank, la cui storia l’aveva colpita molto. Il Washington Post sottolineava la particolarità timbrica dell’interprete.

Da questo album alternative rock, prima registrazione professionale di Eva Cassidy, si propone Stay.

Chris Biondo continuava a registrare la Cassidy in numerose tracce in studio, ma era certo che la giovane fosse pronta per esibirsi dal vivo. Il progetto della Eva Cassidy Band (Raice McLeod alla batteria, Keith Grimes alla chitarra elettrica, Chris Biondo al basso, Lenny Williams al pianoforte, Eva Cassidy, voce e chitarra elettrica e acustica) è la vera svolta e da qui la collaborazione con Chuck Brown, uno degli artisti più famosi di Washington D.C. Lanciato nella musica negli anni Cinquanta, autore di un proprio sound, dato dalla combinazione di jazz, blues, gospel, soul e ritmi africani. Con la sua band, The Soul Searchers aveva creato un nuovo stile musicale chiamato Go-Go, cioè una musica continua senza soluzione di continuità. Stile che si era diffuso molto negli ambienti dell’emarginazione giovanile ben presto accostato a violenza e degrado. Il sogno di Chuck era di cambiare questa cattiva reputazione e forse, registrando un album di duetti con una voce femminile – come Louis Armstrong con Ella Fitzgerald – ci sarebbe riuscito. La voce della Cassidy, ascoltata nello studio di Chris Biondo, lo impressionò e sconcertò, perché veniva da una donna bianca. Era lei quella che cercava.

The other side viene realizzato nel 1992. Sul Washington City Paper si parla di due voci che funzionano straordinariamente, pura chimica.

Tra i pezzi più riusciti, Fever

Intero album:

L’album non ottiene il successo sperato ma la Eva Cassidy Band si esibisce in contesti prestigiosi come il Columbia Arts Festival nel 1993 e il Kennedy Center.

Diverse etichette discografiche cominciano a interessarsi: la Blue Note, la MCA Records, la Apollo Records. Tutte sono impressionate dal suono sofisticato della voce della Cassidy, chiedono però all’artista di scegliere una direzione. Verso il jazz, verso il blues, verso il folk, il gospel?

Lei, invece, non ha intenzione di cristallizzarsi in un genere. “Se le etichette discografiche non mi lasciano cantare ciò che per me significa qualcosa, non voglio lavorare con loro” diceva. (Behind the rainbow. Eva Cassidy di Johan Bakker). Mai scesa a compromessi, a conformismi, la libertà artistica al primo posto. Anche a costo di auto prodursi.

Eva Cassidy non è mai stata catalogabile, con la sua voce spariscono gli stili, i generi, e le canzoni diventano versioni uniche che portano il suo marchio distintivo. Questo fatto, chiaro e lampante, non venne colto dalle case discografiche. Per l’incapacità di distinguere la pura arte dal facile prodotto commerciale. Classificato per genere, da indirizzare a target predefiniti. Eva Cassidy, invece, era in grado di trasformare uno spazio con la sua voce. Le canzoni nascevano spesso su arrangiamenti da lei scritti, essenziali, ma così ben adattati ai pezzi da renderli nuovi, diversi, inediti.

Nel 1993 riceve il primo Wammies (Washington Area Music Association Awards) for Best Female Vocalist. L’anno successivo, alla stessa manifestazione, le viene chiesto di cantare. E di scegliere se con il gruppo o da sola. In quell’occasione interpreta la sua versione, voce e chitarra, di Over the rainbow, lasciando l’auditorio attonito per diversi minuti, prima di sciogliersi in un prolungato applauso.

Sempre nel 1993 Cassidy viene invitata con la band da Mick Fleetwood, fondatore e batterista dei Fleetwood Mac che aveva aperto un nightclub ad Alexandria in Virginia, il Fleetwood’s, per dare visibilità a giovani emergenti. Fleetwood avvertì subito la qualità del gruppo e quanto poliedrica e affascinante fosse la voce della Cassidy. Le sue cover diventavano altro rispetto agli originali. A volte, anche migliori. In questa intervista Fleetwood ripercorre le vicende della Cassidy in quel momento, quando grazie alla sua mediazione, si prospettò l’opportunità di firmare un contratto per incidere con una famosa etichetta discografica di jazz, la Blue Note di Bruce Lundvall. Proposta che la Cassidy rifiutò, per non limitarsi esclusivamente alla musica jazz e snaturare la propria identità artistica.

Il 1993 è anche l’anno di un viaggio in Europa con la madre, con tappa anche Bad Kreuznach, alla scoperta delle sue origini. Al ritorno, la prima asportazione di una formazione anomala sulla schiena, diagnosticata come melanoma cutaneo, tumore maligno.

Poco dopo Cassidy è protagonista di una serie di concerti voce e chitarra, organizzati in piccoli club nella zona di Annapolis dove si era trasferita. Ambienti raccolti, spesso a lume di candela, dove era certa di essere ascoltata. Molte di queste registrazioni saranno incluse negli album che usciranno postumi.

Alcuni live del 1994 al Pearl’s di Annapolis: A Bridge Over Troubled Water

Who knows where the time goes

Nel 1996 Chris Biondo, diventato suo manager, le propone di realizzare un album live con la Eva Cassidy Band nel leggendario jazz club Blues Alley a Washington. Un album che risulta autoprodotto registrato in due diverse serate, il due e tre gennaio così da avere due possibili versioni dei brani tra cui scegliere. Per un problema tecnico, però, solo la seconda serata si salvò, insieme a un unico brano della prima. Un DVD, Eva Cassidy sings, verrà inoltre realizzato nel 2004 da una serie di riprese video. Si dice che la Cassidy registrò questo live in condizioni precarie di salute, raffreddata, febbricitante, ma nessuno se ne accorse allora e nemmeno oggi ascoltandolo. Prodotto in origine come Eva Music, sarà poi acquisito dall’etichetta Blix Street Records.

Diverse interpretazioni restano memorabili. Cheek to cheek, con un inserto a cappella e schiocco di dita.

Stormy Monday dove si accompagna con una Fender Stratocaster. La Cassidy era una valente chitarrista.

Bridge over trouble water, scelta espressamente da lei, per farne una versione travolgente.

Il blues Fine and Mellow di Billie Holiday suonato in stile swing. E poi People get ready

e lo standard jazz di Irving Berlin Blue Skies. Tall Trees in Georgia, canzone della sua infanzia.

Autumn leaves è una delle melodie più note e reinterpretate di tutti i tempi. La Cassidy, sceglie di affrontarla nella maniera più complicata, in una versione lenta, la più lenta possibile, in cui nulla si può nascondere, e da cui emerge la sua incredibile espressività vocale e chitarristica. La voce è priva di qualsiasi affettazione, di vocalizzi acrobatici, esagerazioni di sorta. Purezza, fraseggio vocale impeccabile sono l’esito di un personale approccio alle note, che rende l’interpretazione unica.

Honeysuckle Rose, riporta a un ritmo swing.

Take me to the river di Al Green sfiora atmosfere rock e mostra la versatilità dell’interprete.

What a wonderfull word proviene dalla registrazione della prima serata. Qui Eva suona una Gibson e sfidando la timidezza, anticipa il pezzo con la dedica al pubblico e ai suoi genitori.

Ci sono poi Oh, I had a golden thread di Pete Seeger, da una registrazione in studio;

You’ve changed, resa famosa da Billie Holiday nel 1958,

e Time after time, di Cyndi Lauper. Versione voce e chitarra in cui di nuovo Cassidy trasforma l’originale pop in una ballata lenta che rende magnificamente il tema della canzone: l’amore che resiste, nonostante tutto.

In chiusura Over the rainbow, l’esempio più eclatante di come la Cassidy abbia saputo fare delle proprie versioni un unicum. Somewhere over the rainbow è la canzone cantata colonna sonora del film Il mago di Oz. La protagonista Dorothy immaginava una vita senza paure e sofferenze, un mondo fantastico dove gli uccelli erano blu e i sogni diventavano realtà. I problemi si scioglievano in gocce di limone, in quel luogo magico alla fine dell’arcobaleno. Scritta da Harold Arlen, ottenne grande successo sin dagli anni Quaranta, vincitrice del Grammy Hall of Fame Award nel 1981, eletta dai discografici statunitensi “miglior canzone del XX secolo”. Immortale metafora di libertà, incarnata da Judy Garland, icona gay, per il messaggio di speranza contenuto nel testo, nel tempo è diventata uno dei più grandi inni del movimento di liberazione omosessuale, di cui la bandiera arcobaleno è appunto un simbolo. Centinaia le versioni.

Si staglia tra le tante quella della Cassidy, la cui voce reinterpreta completamente il messaggio del testo, che si illumina di una dimensione trascendente. La canzone diventa il bisogno di ognuno di credere che esista, da qualche parte, un’altra realtà. Che sia un mondo migliore, di pace, libertà e giustizia. O un aldilà ultraterreno.

L’intera registrazione video della serata:

Al termine dell’impresa, in una lettera al fratello Dan, la Cassidy scriveva di quanto fosse soddisfatta del CD live, nonostante tutto, e del progetto di venderne copie durante i concerti. Poco dopo, nell’agosto del 1996 gli esami rilevarono che il cancro, che si credeva eradicato, si era diffuso alle ossa e ai polmoni.

Nel settembre la Cassidy si esibiva al locale The Bayou. Tra le nuove canzoni che scelse di interpretare vi era un brano di Diane Scanlon, Time is a healer

e uno di Margaret Nelson e Terrance Harrison, I know you by heart, che anticipava ciò che sarebbe presto accaduto:

You left in autumn/The leaves were turning/I walked down roads of orange and gold/I saw your sweet smile/I heard your laughter/You’re still here beside me/Everyday/’Cause I know you by heart.

In settembre le viene organizzato un piccolo concerto-tributo che si conclude con What A Wonderful World, cantato insieme a Chuck Brown. È l’ultima esibizione pubblica.

Eva Cassidy muore il 2 novembre 1996, nella casa di Bowie nel Maryland, all’età di trentatre anni.

E da qui la storia si fa leggenda. Nel 1997 usciva postumo Eva by heart (originariamente per Liaison poi Blix Street Records), prodotto da Chris Biondo contenente gli ultimi brani cantati dalla Cassidy e altri registrati in studio. Al violino, il fratello Dan. Un ricordo per la famiglia.

Si propone l’ascolto completo, a partire da I know you by heart che dà il titolo all’album.

Intero album:

Avrebbe potuto finire qui, se non fosse stato per Bill Straw, manager di una piccola etichetta di Los Angeles, la Blix Street Records che ascoltò diverse registrazioni della Cassidy. Prese contatto con un vecchio amico, il manager inglese Martin Jennings, direttore della Hot Records, etichetta indipendente con sede nel Sussex e a Sidney e insieme decisero di produrre un album. Nel 1998 usciva Songbird, distribuito inizialmente in Inghilterra. Grazie al discografico e promoter Tony Bramwell il disco finì nelle mani del conduttore, produttore radiofonico e televisivo della BBC, Terry Wogan che mandò in onda alcuni brani alla BBC Radio2 nella sua trasmissione Rhythm & Blues. In molti restarono colpiti dalla voce della sconosciuta cantante. The Times, il Daily Telegraph, il Sunday Times recensirono Songbird rilevando la purezza della voce dell’artista, il considerevole talento.

In questo disco, che è una nuova versione del Live at the Blues Alley, compare anche Fields of gold, tra le più note cantate da lei. Scritta da Sting e trasformata da Eva in una ballata folk. “Molte persone hanno reinterpretato le mie canzoni – commentò Sting – ed è una strana emozione, perché le canzoni sono come tuoi figli. Potresti sentire qualcuno reinterpretarle e non essere d’accordo con quello che ha fatto. Ma questa versione era così pura, così eccellente che io mi sono sentito profondamente commosso, e felice che lei l’avesse reinterpretata. Quella di Eva è una delle migliori versioni della mia canzone che io abbia mai ascoltato”. (da Songbird, di Rob Burley & Johnatan Maitland). La cover era stata scelta come brano d’apertura dell’album, per molti il primo contatto con la voce di Eva Cassidy.

Album completo:

Nel 2000 di nuovo Tony Bramwell convinse gli autori della celebre trasmissione televisiva Top of the Pops di mandare in onda la registrazione video Live at the Blues Alley. Cosa non facile, visto che il canale proponeva musica esclusivamente dal vivo (non precedentemente registrata) e la qualità del live della Cassidy non era eccellente. Tony Bramwell assicurò che gli spettatori non avrebbero cambiato canale e sarebbero rimasti ad ascoltare. Centinaia di mail arrivarono alla redazione dopo pochi minuti della messa in onda di Over the rainbow. Telefonate, lettere, fax giunsero da persone che chiedevano chi fosse la cantante, perché non l’avessero mai sentita prima, dove si potessero acquistare i suoi dischi. L’immagine, la voce e la tragica vicenda di Eva, diventarono note a un vastissimo pubblico. In Inghilterra, in poche settimane Songbird raggiunse il primo posto delle classifiche inglesi. Un successo clamoroso. Da artista conosciuta a malapena nell’area di Washington, Eva Cassidy diventava una star internazionale, in testa alle classifiche danesi, svedesi, tedesche, australiane.

Da questo momento si susseguono uscite di dischi postumi, composti dalle centinaia di registrazioni di concerti e soprattutto di sessioni in studio, dove la Cassidy si sentiva più a suo agio. Non tutte equiparabili, propongono a volte gli stessi brani in diverse versioni. In alcuni casi il cinismo di alcuni discografici che hanno approntato compilations prive della opportuna datazione, ha determinato battaglie legali. La famiglia ha firmato un contratto esclusivo con la Blix Street Records.

Nel 2000 esce Time after time (Blix Street Records/Hot Records) con meravigliose versioni voce e chitarra, dove gli standard blues e jazz si trasformano in ballate folk. Si apre con Kathy’s song di Paul Simon, poi Ain’t no sunshine, At Last di Etta James, Penny to my name di Roger Henderson, cantautore di Washington D.C, I whis I was a single girl again, Easy street dream composta da Steven Digman, come Say Goodbye. Eva interpreta anche Woodstock di Joni Mitchell e Way Beyond the blue.

Intero album:

No Boundaries (Renata Records/Brunswick) esce nel 2000 negli Stati Uniti, Europa, Germania (trasmesso in streaming nel 2022).

Del 2002 è Imagine (Blix Street Records/Hot Records) con brani mai comparsi prima, tra cui la celebre Imagine di John Lennon, Who knows where the time goes di Sandy Denny per i Fairport Convention, il traditional country Tennessee Waltz, I can only be me di Stevie Wonder, Danny boy, ballata folk irlandese.

Intero album:

Nel 2003 esce American Tune (Blix Street Records/Hot Records). Qui compaiono, tra le altre, la canzone omonima di Paul Simon,

Drowning in the sea of love,

il traditional britannico raccolto da Cecil Sharp nel sud dell’Inghilterra nel 1906, The water in wide;

It doesn’t matter anymore, brano rockabilly scritto da Paul Anka e inciso da Buddy Holly nel 1958.

E poi Hallelujah. I love him so di Ray Charles,

Dark eyed Molly, canzone d’amore scritta dal cantautore scozzese Archie Fisher nel 1976,

God bless the child di Billie Holiday,

I don’t mean a thing, standard jazz composta nel 1931 da Duke Ellington.

Spicca la versione del capolavoro dei Beatles Yesterday, con accompagnamento del pianoforte e violino,

e quella di True colors di Cyndi Lauper.

Infine, You take my breath away di Caire Hamill.

L’album Wonderful world esce nel 2004 (Blix Street Records/Hot Records) e contiene oltra alla canzone omonima, Anniversary song di Steven M. Digman, i traditional How can I keep from singing? e Waly Waly.

Intero album:

Nel 2005 i suoi dischi raggiungono livelli di vendita impressionanti, al pari di star come Norah Jones, Diana Krall.

Nel 2008 esce Somewhere, per la Blix Street Records /Hot Records che include due brani inediti, e Blue eyes crying in the rain di Fred Rose noto nella versione di Willie Nelson,

e il traditional A bold young farmer.

Nel 2010 Simply Eva (Blix Street Records) è un album di brani cantati con voce sola e chitarra acustica, tra cui il classico San Francisco bay blues dal vivo.

Intero album:

Nel 2015 viene prodotto Nightbird (Blix Streets Records) con il rhythm&blues della cantante britannica Dusty Springfield del 1969, Son of a preacher man,

e quello scritto da Bobby Troup nel 1946 inciso da Nat Kin Cole, Route 66.

Intero album:

Eva Cassidy, da tutti descritta come anima solitaria, schiva, immersa nel suo mondo creativo, tra musica e pittura, non cercava il successo, la fama, la ricchezza, ma la libertà artistica. “Non ho bisogno di essere famosa – diceva – Quello che mi piacerebbe davvero, sarebbe di avere un cottage sull’oceano, dove fare musica e creare arte”. Le sue interpretazioni di canzoni non scritte da lei, non scritte per lei, fanno di quei brani, da lei accuratamente scelti, da lei riarrangiati, una grande opera di cui la Cassidy è autrice, compositrice, interprete. Un’opera che restituisce, nella sua rilettura, il meglio della canzone folk americana con le sue ramificazioni blues e jazz.

La scelta dei brani interpretati, infatti, dice di un’artista che affrontava temi mai banali, l’amore in tutte le sue forme, la trascendenza, la redenzione, la ricerca introspettiva. Amava la musica della tradizione afroamericana, come della tradizione britannica e irlandese che le era familiare, i grandi standard jazz. Sapeva andare al fondo, all’essenza di ogni parola e nota che riviveva, restituendone il significato più autentico. Tirando fuori anche quello che neppure gli autori e interpreti originali avevano colto davvero.

In questo 2023 in cui Eva Cassidy avrebbe compito sessant’anni, un disco con accompagnamento della London Symphony Orchestra, I can only be me (Blix Street Records) esprime chiaramente quanto questa artista non abbia mai smesso di essere ispiratrice. E quanto la sua voce sublime, cristallina, immortale, riesca ancora a commuovere intere generazioni.

Intero album:

Chiara Ferrari, autrice del libro Le donne del folk. Cantare gli ultimi. Dalle battaglie di ieri a quelle di oggi, Edizioni Interno 4, 2021; coautrice del documentario Cantacronache, 1958-1962. Politica e protesta in musica. Da Cantacronache a Ivano Fossati, edizioni Unicopli