La mia vita era piena di persone coinvolte, seriamente coinvolte, nella musica folk. Ma non mi è mai venuto in mente che sarebbe diventata la mia professione: era un hobby, una vocazione, qualcosa di meraviglioso, inclusivo e non snob.
Mary Travers
Mary Travers è stata una delle più rappresentative, ma meno raccontate, interpreti del folk statunitense, protagonista dei turbolenti anni Sessanta. Voce femminile del celebre trio Peter, Paul and Mary e voce solista. A lei si riconosce non solo il talento musicale, ma anche l’impegno nelle battaglie per la giustizia sociale, l’uguaglianza, la pace, che ha espresso cantando un repertorio di canzoni di protesta, pacifiste, per gli ultimi. Un impegno vissuto anche concretamente recandosi sui luoghi dei conflitti e riportando le sue riflessioni in forma di saggio, di poesia, di monologo teatrale, di articolo, su quanto osservava del mondo: le guerre, le vittorie, le sconfitte, le soluzioni possibili. Attraverso i suoi scritti di taglio politico e sociale e le vicende personali, si compone, così, una storia dell’America alternativa a quella ufficiale, che rivela le problematiche di tutti coloro che dovettero affrontare le pesanti ingiustizie di quegli anni. E che risulta, oggi, estremamente attuale. Un vasto materiale pubblicato su numerose testate, tra cui The Philadelphia Inquirer e The New York Times.
Attivista, autrice e giornalista come i genitori, Virginia Allin Coigney e Robert Travers, figure distintive nel campo della scrittura. La madre Virginia, nata nel South, a St. Louis, Missouri, e cresciuta in una piccola cittadina dell’Arkansan chiamata Piggott, era stata allevata dalla nonna, Mary Jo Copeland dopo che la madre si era suicidata quando lei aveva sei anni. Il padre non era mai menzionato. Lo zio Clyde si occupava del sostegno economico di questa famiglia oltre che della sua al North, ma quando l’impegno era diventato troppo gravoso, Virginia, che aveva dodici anni, con la nonna si era trasferita ad Albany, capitale dello Stato di New York, per stare più vicine allo zio. Alla scuola superiore Virginia aveva il supporto di una insegnante di inglese che la incoraggiò a scrivere. A quindici anni era già una reporter dell’Albany Knickerbocker Press, a diciotto una sposa, a diciannove una madre, a ventidue una giovane donna separata. In realtà Robert Travers, di origini irlandesi, era un reporter conosciuto nella redazione di un giornale. Orfano, sopravvissuto grazie alla carità dei parenti, durante la seconda guerra mondiale si era arruolato in Marina, comparendo nella vita della figlia molto sporadicamente.
La relazione tra i due genitori si era rivelata presto fallimentare e Mary dunque cresce sola e senza affetti. Se non di Leila Turner, chiamata Lila, la tata e governante afroamericana. Il racconto della convivenza con questa donna, pubblicato nella biografia “Mary Travers. A woman’s words”, è uno straordinario spaccato della vita di chi – gli afroamericani e la popolazione nera – in quel momento subisce violente discriminazioni e vive in un costante stato di paura ma che, però, lotta per il riscatto personale e per il desiderio di affermare i diritti di un popolo. Lo stretto rapporto con la tata Lila indica a Mary la strada verso la partecipazione attiva nel movimento per i diritti civili e per la difesa delle donne sottomesse e discriminate.
Così, Mary Allin Travers, bianca e di famiglia intellettuale, si mette a disposizione per le cause dei più emarginati, dando loro voce. Nata a Louisville il 9 novembre 1936, si trasferisce da Schenectady al Greenwich Village di New York nel 1939. Sua madre, ventidue anni e da poco separata, ha trovato lavoro nella redazione di un giornale. È necessario, quindi, che qualcuno si prenda cura di una bambina di tre anni.
È in quel momento che Lila entra nella vita di Mary. Lila, venuta al mondo in Virginia e trasferitasi a New York con il marito Willie e tre figli, risiede a Sugar Hill in Harlem, la parte alta del quartiere abitata dalla middle class e da neri benestanti. Nonostante questo, molta gente di quella zona non è immune alla povertà, molti appartengono alla prima generazione cresciuta nelle famiglie stabilitesi in America, che ora sono alle prese con il cosiddetto american dream. Una fase di benessere, ma non per tutti e comunque presto funestata dai tragici scontri razziali, dalle uccisioni del presidente J.F. Kennedy a Dallas nel 1963 e di Martin Luther King a Memphis nel 1968, fino alla disastrosa partecipazione degli Stati Uniti nel conflitto in Vietnam.
Lila ha scritta nei lineamenti del volto la storia delle diverse popolazioni che hanno abitato l’America: gli africani, gli indiani Cherokee, gli irlandesi. Pelle meticcia chiara con occhi verdi. Il risultato di una sopravvivenza genetica. Nella sua abitazione, molto frequentata da Mary bambina, fotografie di atleti e artisti di colore campeggiano sulle pareti: sono persone di cui essere orgogliosi, i neri che hanno vinto e riscattato tutti gli afroamericani.
Un evento sintetizza quanto fosse difficile per le persone di colore essere accettate nella società razzista americana. La bisnonna di Mary fa visita alla figlia per una lunga permanenza e ogni volta che Lila serve il pasto si complimenta con lei per il buon piatto cucinato. Poi conclude la sceneggiata con la stessa battuta: “Ci deve essere qualcosa di bianco in te”, sottintendendo una parentela di carnagione bianca tra i suoi avi, che giustificasse quel suo talento culinario. Una sera Lila è stanca di subire e le risponde con una bugia: “È vero – le dice – mia nonna era bianca”. Ovviamente, non era la nonna, ma il nonno a essere bianco, e questa bugia serve a dare una lezione all’anziana Mrs Copeland che da quel momento resta in silenzio. Nulla di più scandaloso poteva esserci di una donna bianca che avesse scelto un uomo di colore come partner. Normale era il contrario, ovvero che tra i privilegi di un uomo bianco ci fosse quello di poter disporre a suo piacimento di donne di colore. Mrs Copeland non tornerà più per lunghe visite.
Durante gli anni della guerra la madre di Mary si risposa con un avvocato, Mr Gordon, e dà alla luce Ann. La famiglia si trasferisce dal Village in una strada tra Park Avenue e Lexington. Un quartiere molto diverso da quello esotico di provenienza. Qui ci sono bambini snob in abiti troppo eleganti. Ma la vicina Third Avenue è abitata da persone appartenenti alla solida working class irlandese. Da questo ambiente proviene la migliore amica della scuola superiore, Helen. Con la sua famiglia, molto religiosa, Mary ha occasione di frequentare le messe domenicali e le tipiche celebrazioni irlandesi, tra cui le veglie funebri dove si canta e si balla.
Dopo la nascita della figlia Ann, Virginia ha un esaurimento nervoso che la porta a tentare il suicidio. Viene così ricoverata in un ospedale psichiatrico. Il padre di Mary, in quel momento capitano per la Marina mercantile, attraversa le acque del Pacifico agitate dai conflitti di guerra, scoprendo che la moglie è in manicomio e che la figlia vive ad Harlem con la governante. Lila, senza nessun compenso, si era presa l’impegno di occuparsi della bambina ospitandola nella sua abitazione, fino a quando la madre non si fosse ristabilita. Ma Robert non accetta la situazione e intende risolverla prospettando per Mary il trasferimento in una famiglia adottiva. Virginia allora reagisce, fa di tutto per ristabilirsi ed evitare alla figlia una così drastica conseguenza. In tutto questo clima di risentimento, Mary è tenuta in salvo da Lila, da cui riceve amore e stabilità. Pur essendo reduce da una vita di fatiche ed enormi sofferenze, con un figlio ucciso per strada e un dolore impossibile da sopportare, Lila non si tira indietro nel garantire a Mary affetto e tranquillità.
All’età di dieci anni Mary torna a vivere nel Village con la vivacità dei musicisti lungo le vie, a suonare e cantare, tra i bar italiani e i festival di strada. Alla scuola superiore è un disastro, probabilmente affetta da un disturbo dell’apprendimento, in quegli anni sconosciuto al sistema educativo. La lettura a voce alta è difficoltosa ma Mary legge comunque tantissimo, e anche se non riuscirà a diplomarsi, la sua cultura, fatta sui libri, sarà la sua vera scuola di formazione. Solo il maestro di coro Bob De Cormier individua le sue peculiarità nel canto, tanto da coinvolgerla in una formazione esterna alla scuola. Con questo gruppo di cantori e Pete Seeger registra per la Folkaway Records un disco che poi diventeranno tre: il lato B di Talking Union, Folksongs of four continents, Bantu choral folksongs. Una vera esperienza professionale.
A diciassette anni la strada verso la musica è segnata, mentre diversi lavori saltuari le permettono di mantenersi. Poco dopo un giovane scrittore, John Filler, appena giunto a New York dalla California, le fa la corte. Mary rimane incinta e si sposa, seppure non convinta dell’affidabilità di lui. Dal matrimonio nasce Erika, la famiglia vive nel Greenwich Village ma la convivenza è subito difficile. Una notte John torna a casa e le usa violenza, scaraventandola di forza contro la cucina. Ha perso il lavoro e per questo è pieno di rabbia. Lila è sempre più spesso in casa loro per evitare che ci siano altre botte. Quel matrimonio si sta deteriorando fino al divorzio.
I
ntanto Mary è sempre più inserita nel mondo della musica folk: il canto è diventato un impegno concreto. La sua voce si ascolta nelle coffee house e nelle radio. Tempo prima aveva conosciuto Noel Paul Stookey, appena arrivato a New York da Birmingham, nel Michigan, che lavorava come attore e comico per le strade e nei club nei pressi della sua abitazione. Suonava anche la chitarra e appena lei gli aveva confidato che le piaceva cantare, l’aveva invitata a esibirsi in diversi caffè. Peter Yarrow le viene presentato da amici, vuole Mary, è lui a farle conoscere Paul e il trio comincia a mettere in piedi il progetto musicale. Tutti al Village in quel periodo hanno un progetto, qualcosa per cui lavorare, studiare, qualcosa in cui credere.
La svolta nella carriera del trio è legata alla figura di Albert Grossman, già manager di artisti come Bob Dylan e Janis Joplin. Il suo Gate of Horn di Chicago è uno dei club più prestigiosi per gli artisti della scena folk. Lo frequentano Odetta e il suonatore di banjo Bob Gibson. Sarà Albert a concretizzare l’idea del trio vocale, il PPM. Il debutto ufficiale avviene nel 1961 al Bitter End, nel Greenwich Village.
Nella sua biografia Mary racconta quanto fosse difficile all’inizio cantare in accordo con le altre due voci maschili. Quanto lavoro ci volle perché l’orecchio e l’intonazione imparassero ad accordarsi con le diverse linee melodiche. Cercare per ogni canzone la giusta collocazione per la sua voce, a volte sopra le altre, a volte nel mezzo per creare le migliori soluzioni armoniche. Nel trio Mary ha la voce di contralto, mezzo-soprano, Peter è un tenore con inclinazioni da baritono, Paul è un baritono con sfumature da basso. Nelle dinamiche del gruppo, la voce leader cambia ogni volta, e questo non è per niente facile. Quanta disciplina per raggiungere la sicurezza necessaria per cantare a piena voce: chi canta da solo non immagina minimamente quanta dedizione occorra per armonizzare i suoni in un gruppo vocale. Mary, infatti, esercita la sua voce studiando da autodidatta.
Anche altri problemi si delineano dal principio, come riuscire ad avere tutti lo stesso peso all’interno del gruppo, imparare a crescere insieme senza soffocare nessuna delle voci. La musica è sempre stata l’orizzonte comune, un mezzo per parlare alla gente. “La musica – scrive Mary – ci ha aiutato a crescere (…). La musica folk ha a che fare con la pace, con lo spreco di vite in guerra, con l’innocenza dei bambini. Con l’amore perduto e l’amore trovato. Con i sogni e gli incubi. Riguarda la condizione umana. E, sempre, la speranza di una vita migliore per tutti”.
Il primo album Peter, Paul and Mary, edito per la Warner Bros viene registrato nel 1962 allo studio Music Makers. Porterà la musica folk con i suoi temi sociali e politici in cima alle classifiche. Ci sono brani di grande successo come Lemon Tree, del poeta e scrittore Will Holt,
brani di Pete Seeger come If I Had a Hammer (uno degli inni del Civil Rights Movement)
e Where have all the flowers gone, canzone pacifista tra le più struggenti;
la popolare 500 Miles di Hedy West,
e poi canzoni autoriali di Peter e Paul, come Cruel war
e Autumn to May.
Nel 1963 l’LP Moving ripropone dei classici come This land is your land di Woody Guthrie
e diversi canti folk irlandesi come Gone the rainbow, il lamento di una giovane donna per l’amato che è partito soldato.
A’ soalin’, traditional inglese del 1893, richiama le usanze tipiche del giorno dei morti.
E poi All You Fair and Tender Ladies o Tiny Sparrow o Little Sparrow, ballata folk americana originaria della regione degli Appalachi.
La hit Puff, the Magic Dragon, canzone fantasiosa scritta a partire dal poema di Leonard Lipton, visione di un mondo nuovo, consapevole, giusto.
L’album In The Wind, (1963) conferma il grande successo del trio. Contiene, tra le altre, canzoni diventate leggendarie come Blowin’ in the wind e Don’t Think Twice, It’s All Right di Bob Dylan.
Lo spiritual Go Tell It on the Mountain di origine afroamericana, risalente al 1865;
la canzone Irish folk Polly Von
e la tradizionale All my trials di Bob Gibson del 1956, cantata durante le manifestazioni di protesta.
Nel 1963 e nel 1965 Peter, Paul and Mary si esibiscono al Newport Festival, il fulcro della cultura folk, il luogo in cui la musica sembra avere il potere di costruire comunità affratellate dai valori del pacifismo e dell’uguaglianza sociale. Una straordinaria documentazione dell’evento, in cui compaiono anche Joan Baez, Odetta e Almeda Riddle.
https://www.youtube.com/watch?v=tO7mtHMQ0Uo
Sono questi gli anni dell’esplosione della musica folk, una musica non commerciale, in cui nulla viene fatto per raggiungere la fama: “Ogni folksinger che ho conosciuto – scrive Mary – quando ha avuto a che fare con un canto tradizionale, si è mosso con cautela. Con cura, con responsabilità. Si sta trattando con qualcosa già straordinario prima che chiunque ci metta mano, e si ha la responsabilità di non rovinare tutto. Forse di interpretare in modo personale, ma non di stravolgere (…). La musica folk è musica che è sopravvissuta”. Al tempo, alle mode, alle ideologie.
La stessa cura serve per mantenere vive le parole, che sono state ascoltate e cantate da migliaia di persone di generazione in generazione. Soprattutto se le canzoni hanno uno scopo sociale, e non sono semplicemente il racconto di un’esperienza individuale. La parte più intensa dei concerti di PPM, dice Mary, è proprio quella in cui la gente canta. Perché conosce le parole, che rappresentano una memoria personale e collettiva.
È l’artista che fa la differenza, la sua unicità rende una performance memorabile, è la capacità di entrare in empatia con il pubblico. Questo è ciò che fa innamorare la gente, che la fa affezionare e la rende parte di una comunità. A questo proposito Mary ricorda un fatto capitato durante un concerto a Minneapolis. Peter Paul e Mary vengono informati che avrebbero dovuto invitare nel backstage una donna tra il pubblico. Lì un cappellano, contattato dagli organizzatori del concerto, avrebbe informato la donna della morte del marito in seguito allo schianto di un aereo leggero. Buona parte del concerto, in attesa dell’arrivo del cappellano, si svolse nell’apprensione per il peso del messaggio di cui erano a conoscenza. Quello più straziante che si possa comunicare a una persona. Questa donna e il marito si erano conosciuti al college ascoltando Peter Paul and Mary e la loro musica era diventata la colonna sonora della loro vita. “Noi – scrive Mary – siamo stati parte dell’inizio della loro vita. Loro hanno riso e pianto con noi e condiviso la nostra musica con i loro bambini. Noi siamo stati parte della loro vita insieme. Ora eravamo parte della fine di questa vita insieme. Così piangemmo con lei”.
Sono anche gli anni del Movimento per i diritti civili, quelli in cui PPM sono una voce sola che condivide speranze e battaglie. “Nel dare, siamo diventati umani nel migliore senso del termine. Senza paura di cantare. Cantare è stato prendere coraggio, ma anche dare coraggio”, scrive Mary.
In questo percorso di militanza, fondamentale è la figura della madre con la quale Mary scende per le strade a manifestare. “Che io diventassi un’attivista non era di certo sorprendente – scrive –. Tra la fede di mia madre nella possibilità di una reale uguaglianza in America e la natura pacifista della canzone folk, ciò avvenne in modo molto naturale”.
Virginia è stata un’attivista negli anni Trenta ed è lei a incoraggiare la figlia a credere nell’importanza della protesta pacifica, una tradizione da mantenere viva, da trasmettere alle nuove generazioni. “Nella complessa e disconnessa società americana – scrive Mary – la nostra storia, politica e civile, sta per andare persa. Il diritto e la responsabilità di dissentire sono profondamente radicate nel sistema democratico americano ma, come tutte le tradizioni, è necessario un rinnovo generazionale”. Così anche Mary coinvolgerà le figlie Erika e Alicia, nelle sue proteste non violente.
Durante la marcia su Washington, nel 1963, con Peter e Paul sarà tra gli artisti più acclamati in una memorabile esecuzione di Blowin’ in the wind.
Due anni dopo, il 7 marzo 1965, insieme alla madre e a cinquecento dimostranti guidati da Martin Luther King, Mary partecipava alla marcia pacifista da Selma a Montgomery, la capitale dello Stato dell’Alabama. La manifestazione viene bloccata dalle forze dell’ordine sull’Edmund Pettus Bridge, un ponte sul fiume Alabama. Si trasforma presto in una strage, il bloody Sunday statunitense. Ma l’episodio dà nuova forza al movimento per la difesa dei diritti degli afroamericani che riesce a ottenere il Voting Rights Act, la legge che finalmente proibisce la discriminazione razziale e rafforza il diritto di voto. Rappresenta anche il via libera all’iscrizione nelle liste elettorali delle minoranze razziali.
Qualche anno dopo Mary verrà arrestata a Washington in una manifestazione contro l’apartheid, con la madre e la figlia e, successivamente davanti all’ambasciata del Sudafrica. Tre generazioni di donne in manette: donne che avevano imparato a rischiare, ad arrabbiarsi contro le ingiustizie e a combattere.
Questi gesti coraggiosi, compiuti sotto minaccia di violenza, non sono altro che atti radicali, che danno inizio a più di quattro decenni di incessante attivismo musicale. “Di tanto in tanto devi mettere in gioco il tuo corpo per fare una dichiarazione o cambiare una legge”, dice Stookey. “La protesta è necessaria in questo sistema”, aggiunge Mary, nelle pagine online del trio.
Mary, infatti, darà il suo appoggio a tante manifestazioni in diverse parti del mondo. Negli anni Ottanta, con Alicia prenderà parte a una protesta a Washington contro l’intervento americano in America Latina. Insieme a una delegazione, nata per studiare gli effetti della dittatura militare salvadoriana sui diritti umani e sull’impatto degli aiuti forniti dagli Stati Uniti (the International Center for Development Policy in Washington D.C.), sarà poi a El Savador, durante la guerra civile combattuta tra l’esercito salvadoregno e le forze ribelli del Fronte Farabundo Martí per la Liberazione Nazionale. Un conflitto durato tra il 15 ottobre 1979, giorno in cui si verifica il colpo di stato militare seguito da una violenta repressione nei confronti dei manifestanti anti-golpe, e il 16 gennaio 1992 quando vengono firmati gli accordi di pace. Nel contesto della guerra fredda, il governo militare del Salvador viene considerato un alleato degli Stati Uniti: come anche denunciato da Travers, le amministrazioni Carter e Reagan fornivano importanti aiuti economici e bellici al governo militare salvadoregno.
Il viaggio era rischioso, ma necessario. “Il mio Paese, e quello di mia figlia – scrive Mary – è profondamente coinvolto nel rifornimento di armi, consiglieri, aerei, e dollari delle tasse per sostenere una governo militare (…). Come cittadini era necessario prendere consapevolezza delle conseguenze del nostro aiuto”.
Ci tornerà successivamente, nel 1987, dopo l’assassinio di Herbert Anaya Sanabria, presidente della Commissione per i diritti civili, il settimo a essere assassinato all’interno di quell’ufficio. Dalle indagini/verifiche era emerso che le forze militari erano responsabili di un numero impressionante di uccisioni. Membri dell’università, medici, ecclesiastici, esponenti della classe media scomparvero, vennero uccisi o esiliati. Una strage.
“In El Salvador – racconta Mary – non ero preparata al dolore delle madri degli scomparsi, non ero preparata per lo squallore, la fame, la malattia e la totale mancanza di cure nei centri per gli sfollati; non ero preparata per un Paese in cui la minima espressione di dissenso significa morte; e certamente non ero preparata alla complicità degli Stati Uniti in queste tragedie”.
Per celebrare la lotta per l’indipendenza delle Filippine, a un anno dalla fine della rivoluzione contro la dittatura di Ferdinand Marcos, gli unici artisti americani chiamati a partecipare alla ricorrenza sono Peter Paul and Mary, i cui canti per la pace e la libertà hanno sempre superato ogni barriera. Cantano per la Presidente Corazon Aquino (vedova di Ninoy Aquino), cantano per la povera gente lasciata in miseria da governi militari corrotti che hanno saccheggiato gli aiuti economici americani. Per la gente che soffre di tubercolosi, per la mancanza di igiene e cure mediche. Per il popolo che scende nelle strade rischiando i colpi dalle armi, per chiedere pace e democrazia. Per i giovani che riconoscono il trio in macchina per strada e intonano If I Had a Hammer.
“Noi siamo andati – scrive Mary – per incoraggiare e per condividere un sogno: un sogno che ha mosso i nostri cuori e i nostri corpi durante la marcia a fianco di Martin Luther King, nella protesta contro la guerra in Vietnam, nella visita a El Salvador”.
Quel sogno la porterà in Nicaragua, in Sud Corea a sostegno del leader democratico Kim Dae-jung, accompagnando il ritorno nel suo Paese dopo tre anni di esilio, per essere stato oppositore del regime. E poi in Unione Sovietica per confortare gli ebrei oppressi, privati della libertà di religione, del diritto di emigrare.
Per tutti questi popoli “ho parlato, ho cantato contro l’oppressione, sono stata coinvolta”, scriverà, portando speranza, conforto, l’impegno della denuncia. Questo il suo american dream.
Dal 1971 al 1978 Mary si dedica a una carriera solista: registra diversi album, tra cui: Up on the roof, in cui riprende classici della canone americana, come Rhymes and Reasons;
The songs of Carol King; dedicato alla compositrice statunitense; Morning Glory con brani autoriali
e I am a rock dove interpreta brani di Simon & Garfunkel come Sound of silence.
Produce, scrive e recita in una serie televisiva della Bbc; si esibisce a favore di Unicef,
tiene conferenze e concerti in tutto il Paese. Nelle sue trasmissioni radiofoniche Mary’s radio show e Mary Travers & Friends, intervista artisti, intellettuali, cantanti. Tra questi, Bob Dylan.
“Noi siamo sempre stati coinvolti in temi riguardanti i fondamentali diritti umani delle persone, il diritto alla libertà politica o il diritto di respirare aria pulita”, dice Mary.
Ma anche il diritto all’aborto. Mary non ha mancato di portare all’attenzione collettiva fatti personali che, allora come oggi, hanno posto e continuano a porre questioni di grande rilevanza. Nel 1960, la pratica dell’aborto illegale a cui si si era sottoposta rischia di ucciderla. Il fatto la conduce a diverse riflessioni sui diritti delle donne, la vita delle tante giovani in povertà, o di colore, impossibilitate a ricevere cure adeguate negli ospedali pubblici, costrette all’aborto illegale e ai rischi conseguenti. Una questione che ancora oggi l’America si trova ad affrontare dopo il recente verdetto dello scorso giugno 2022) in cui la Corte suprema Usa ha abolito la sentenza sul diritto all’aborto, con i singoli Stati liberi di applicare le loro leggi in materia.
Nel 1978 il trio si ricostituisce per supportare la causa anti-nucleare. Ancora nel 1986 l’album No Easy Walk to Freedom ha per tema la lotta all’apartheid in Sudafrica. Altre cause sono state prese a cuore: la violenza contro i bambini, i diritti dei braccianti precari in California, i senzatetto, la fame nel mondo.
Lo speciale televisivo e l’album del 1996, LifeLines, offrono al trio l’opportunità di cantare con gli artisti che hanno iniziato con loro nel Greenwich Village e nuovi cantautori che portano avanti la tradizione folk. Ronnie Gilbert e Fred Hellerman, Richie Havens, Tom Paxton, Odetta, Dave Van Ronk, John Sebastian, Buddy Mondlock e Susan Werner.
Pubblicato nel marzo 2004, il cofanetto Carry It On è una raccolta dei momenti musicali memorabili dal 1960 al 2003, comprese registrazioni soliste inedite di ciascun membro effettuate prima della formazione del gruppo.
Peter, Paul and Mary – All the Best raccoglie i maggiori successi.
https://www.youtube.com/watch?v=MyQxAQZAY3U
Peter, Paul and Mary hanno sempre espresso il principio che la loro musica appartenesse a tutti. E nel corso degli anni hanno realizzato una infinità di concerti, una ampia produzione discografica che ha raccolto ballate tradizionali come The Three Ravens
e Take Off Your Old Coat,
il lavoro di poeti contemporanei come Woody Guthrie, Pete Seeger, Bob Dylan, Laura Nyro, Gordon Lightfoot, Tom Paxton, Phil Ochs e John Denver, e canzoni scritte dal gruppo, come la toccante Because all men are brothers.
Dello stesso messaggio si è fatta portatrice anche Mary: “La musica folk ha la qualità di essere sempre in ebollizione”, ha detto. Qualcosa di eternamente fervido, perennemente presente nella vita delle persone. A sostegno delle battaglie per i diritti fondamentali dell’essere umano. Per sempre viva, come le voci che l’hanno cantata. Mary Travers è mancata a Danbury, nel Connecticut, il 16 settembre 2009, malata di leucemia.
L’annuncio di Nbc News.
Il documentario 50 years with Peter, Paul and Mary racconta la storia di questa emozionante avventura musicale.
Chiara Ferrari, autrice del libro Le donne del folk. Cantare gli ultimi. Dalle battaglie di ieri a quelle di oggi, Edizioni Interno 4, 2021; coautrice del documentario Cantacronache, 1958-1962. Politica e protesta in musica. Da Cantacronache a Ivano Fossati, edizioni Unicopli
Pubblicato sabato 17 Settembre 2022
Stampato il 11/10/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/terza-pagina/pentagramma/mary-travers-la-giornalista-che-scelse-di-cantare-i-diritti-e-la-pace/