Roberto Murolo, foto di Augusto De Luca

Non mi considero un autore ma un ricercatore. Mi piace andare a scoprire canzoni ormai sepolte e dimenticate per riportarle alla luce.

Roberto Murolo

C’è un mistero nella voce di Roberto Murolo: in tanti si sono interrogati senza riuscire a svelarne l’arcano. Prendendo a prestito le parole di Renzo Arbore tratte dalla biografia di Gianni Cesarini dedicata al cantante partenopeo, si può dire che quella voce “ti illanguidisce se canta una canzone malinconica, ti mette allegria se la canzone è allegra, ti commuove se la canzone è nostalgica”. Esalta gli umori, li combina, non lascia mai indifferenti. Forse perché, cresciuto nell’arte della musica, Roberto Murolo, di questa sostanza si è impregnato fin dall’infanzia quando, già a cinque anni, la voce maestosa di Enrico Caruso, dal grammofono sempre acceso, riempiva le stanze del bell’appartamento della Riviera di Chiaia n. 233 a Napoli.

La riviera di Chiaia dipinta da Salvatore Candido in “Veduta di Napoli da Mergellina”

Qui è nato Roberto, sesto di sette figli, dal poeta Ernesto Murolo e dalla toscana Lia Cavalli, il 9 gennaio 1912. Volgeva al termine la stagione incantata della belle époque e l’Italia si preparava a diventare terra di conflitti. Ma Napoli era ancora il palcoscenico più prestigioso della canzone popolare, nata dai versi dei grandi autori come E.A. Mario (pseudonimo di Giovanni Ermete Gaeta), Libero Bovio, Salvatore di Giacomo, Ernesto Murolo. Ed ecco che casa Murolo era il salotto privilegiato di musicisti, cantanti, compositori ma anche pittori, scrittori, amici e collaboratori del padre di Roberto, autore di poesie come ’O viento, che otterrà lodi anche da Pier Paolo Pasolini.

Ernesto Murolo e Libero Bovio (wikipedia)

E il mondo che Ernesto, amante dell’arte e della bella vita, costruisce intorno a sé influenza profondamente il giovane Roberto, caratterizzato dall’eleganza nel vestire, la delicatezza dei modi, la discrezione, la modestia, la disponibilità verso il prossimo, il garbo nel colloquiare. E la sensibilità spiccata verso il bello, merito di un’infanzia spensierata vissuta tra i ricevimenti eleganti della buona borghesia cittadina.

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Un’infanzia che ha avuto come colonna sonora le canzoni scritte dai grandi maestri partenopei e interpretate dalle voci più intense. Quella di Elvira Donnarumma, di Ferdinando Rubino, di Salvatore Papaccio, di Giuseppe Godono, di Tina Castigliana, di Carlo Buti. Con i ritmi e gli accenti espressivi, mai scontati. Insieme al padre, poi, Roberto frequenta il Caffè Gambrinus e i teatri cittadini: il Trianon, il Politeama. Impara a suonare il sassofono, la fisarmonica, la chitarra. A scuola non brilla come allievo studioso, ma al passaggio di una banda sotto le finestre dell’aula, la sua attenzione è tutta lì. La musica è la strada che si distingue tra tutte quelle che si mostrano davanti. Anche se il percorso è pieno di insidie.

Dopo la scuola, il servizio miliare come dattilografo in aeronautica è lasciato anticipatamente per andare in aiuto della famiglia, rivelando i fallimenti di un padre sì artista, ma pessimo amministratore di un’eredità che fino a quel momento gli aveva permesso di vivere di scrittura e di mantenere la famiglia e ora deve fare i conti con il dover lavorare per essere ben remunerato, cosa non facile. Anche Roberto è chiamato a dare il suo contributo, ottenendo, grazie a qualche aggancio, un lavoro stabile come impiegato alla Compagnia del gas. Quel mestiere non fa proprio per lui: meglio la precarietà, meglio la musica.

La visita di Hitler a Napoli

Intanto, la Seconda guerra mondiale è alle porte e nel 1938 nel golfo di Napoli una grandiosa rassegna navale si svolge sotto gli occhi compiaciuti di Adolf Hitler. Per gli antifascisti, o si abbracciava la causa del regime, o è la fine. Il giornalista e drammaturgo Roberto Bracco, per esempio, che si oppone alle squadre fasciste, viene rinchiuso in un gabinetto e i suoi manoscritti dati alle fiamme, per essere poi costretto a rinunciare alla carriera. Tanti altri sono arrestati, torturati.

Dai Murolo la situazione non è delle migliori, Ernesto deve vendere alcune proprietà, perché scrivendo non riesce a guadagnare un granché. La canzone napoletana, inoltre, non è ben vista dal regime che predilige l’espressione di una lingua nazionale. Bandita anche la musica straniera, proprio mentre Roberto si appassiona a Bing Crosby, ai Mills Brothers, ad Alexander’s Ragtime Band di Irving Berlin e alla musica da ballo dei quartieri a luci rosse di New Orleans. Tutti brani suonati di nascosto insieme a un gruppo di amici che presto diventerà il Quartetto Mida. Che per avere l’opportunità di essere trasmesso dai microfoni dell’Eiar, produrrà anche canzonette in italiano. Il nome del complesso, Mida, è formato dalle iniziali dei cognomi dei cantori: Roberto Murolo, Amilcare Imperatrice, Enzo Diacova, Alberto Arcamone. Il quartetto si rivela esperienza pionieristica, tra le prime formazioni in Italia a sperimentare la musica jazz, afro-americana, ispirata ai pochi dischi 78 giri che arrivano clandestinamente e che spesso venivano requisiti dal regime che osteggiava quel tipo di musica considerata degenerata, propria dei neri d’America.

Il quartetto Mida (ildiscobolo.net)

Il Mida, in particolare, affina l’uso strumentale delle voci e punta su un repertorio di standard nordamericani come Good Bye Blues, My Lady, Mood Indigo, Sixty Seconds Got Togheter, e anche su canzonette italiane. Radio Napoli ne manda in onda alcune ed è un successo immediato. Il quartetto è subito invitato da Armando Trovajoli a esibirsi a Roma. Nel 1938 ottiene un contratto con la Voce del Padrone per la pubblicazione di un paio di dischi, in cui sono incisi brani esilaranti come Ho le scarpe strette e Le tre papere. Viene inoltre inserito nella rivista del ballerino Harry Fleming e ottiene un ingaggio a Parigi. Da qui una lunga tournée in Belgio, in Grecia.

Quando la Germania invade la Polonia, il Mida è a Istanbul. Poco prima di un concerto al Music Hall Colorado di Budapest, Roberto viene raggiunto dalla notizia della morte del padre e del successivo tracollo economico della famiglia, da sempre aggrappata alle alterne fortune artistiche di Ernesto. Durante le prime settimane della guerra il quartetto è in tour nella Germania nazista. Più di una volta i gerarchi tedeschi chiedono di assistere a concerti in esclusiva dei quattro cantori, letteralmente sequestrati per essere portati al cospetto di un qualche ufficiale intenzionato a divertirsi con alcol, sigarette e musica da ballo. In un’altra occasione è Galeazzo Ciano, in visita a Berlino, a richiedere l’esibizione di canzoni napoletane. Vuole ascoltare Dicintecello vuie. Ma tra quelle che il quartetto ha in repertorio, questa manca. Roberto, però, la conosce e la canta accompagnandosi con la chitarra. È un trionfo, ed è anche la rivelazione della straordinaria forza della canzone napoletana, capace di emozionare anche solo con la voce che si intona su semplici accordi.

Una lunga serie di concerti vede il quartetto attivo in Spagna, a partire dal 1942, quando da Napoli giungono notizie di incursioni aeree e bombardamenti con numerose vittime e danni incalcolabili. Il gruppo allarga i confini musicali, interpretando canzoni popolari spagnole, musica da ballo italiana, ma soprattutto trasformandosi in un vero e proprio complessino con Murolo alla fisarmonica, Diacova al clarinetto, Arcamone al contrabbasso e Imperatrice alla chitarra.

Uno scorcio di Napoli bombardata nel 1943 (wikipedia)

Intanto, su Napoli, il 17 luglio 1943 piovono tonnellate di bombe. I quartieri più devastati sono quelli abitati dalla povera gente: Mercato, San Lorenzo, Pendino. Si vive nei rifugi senza acqua né luce, con le razioni di cibo che scarseggiano. Lia Murolo con la famiglia si è trasferita a Bari. Roberto, ancora in tournée, la sera deve cantare, sorridere e far divertire il pubblico. Finalmente può esultare alla notizia dell’arrivo a Napoli degli eserciti anglo-americani.

Un frame del film “Viale della canzone” (1965)

È tempo di tornare in Italia, a seguito anche dello scioglimento del quartetto. Sul piroscafo con destinazione Genova, Roberto viaggia solo con la compagnia delle canzoni napoletane imparate da ragazzo e i pensieri di un futuro incerto come musicista. La Napoli del ’46 è una città distrutta e umiliata da tanta violenza. Anche la musica popolare sembra scomparsa, sommersa da quella dei dischi prodotti per l’esercito americano e dai complessini che si esibiscono a ogni via.

Frank Sinatra

Swing, jazz e bebop imperversano nei night club sorti per il bisogno di evasione dei soldati. Roberto, che in tempi non sospetti era stato un grande scopritore ed estimatore della musica americana osteggiata dal fascismo, ora che liberamente si possono ascoltare le grandi orchestre e le voci di Frank Sinatra, Benny Goodman o Bing Crosby, sente l’urgenza di tornare alle radici culturali della sua città e ricostruirne l’identità smarrita, caduta in rovina come i palazzi. Una città che, con la ricostruzione sfrenata, non sarebbe tornata più quella di prima. Meglio distaccarsi per un po’, il dolore per questa Napoli mortificata lascia segni profondi.

Dall’isola di Capri, non contaminata dalle nuove mode, la voce di Murolo si eleva sul paesaggio terso di acque cristalline ed evoca ricordi struggenti di grandi autori del passato, di un mondo autentico, di persone che si arrabattano a campare, di amori pieni di passione e malinconia.

Murolo incanta intonando Nun me scetà in omaggio al padre, autore del testo,

Nuttata ’e sentimiento (1908), a ricordo di Giuseppe Capolongo e Alessandro Cassese.

E poi i grandi capolavori: Santa Lucia luntana, scritta da E. A. Mario nel 1919, dedicata ai tantissimi emigranti che partivano dal porto di Napoli verso terre lontane e, allontanandosi dalla terraferma, fissavano il panorama del borgo di Santa Lucia.

Poi Luna nova, scritta nel 1887 da Salvatore Di Giacomo e Mario Costa. Era de maggio (1885), ancora Di Giacomo e Costa, canzone tra le più eseguite del repertorio napoletano.

Tu ca nun chiagne (1915) di Libero Bovio ed ‎Ernesto De Curtis;
Mandulinata a Napule (1921), musica di Ernesto Tagliaferri e testo di Ernesto Murolo.

E poi la struggente ’Na sera ’e maggio, di Gigi Pisano e Giuseppe Cioffi del 1937

fino alle più recenti Munasterio ’e Santa Chiara del paroliere Michele Galdieri e del musicista Alberto Barberis (1945)

e Vierno di Vincenzo Acampora e Armando De Gregorio (1945).

Il successo è clamoroso, Roberto Murolo diventa “la voce di Capri”, che riscopre le canzoni di un tempo, salvandole dall’oblio.

Tesori riportati alla luce, che ora tutti vogliono riascoltare, da Milano a Roma. Eduardo De Filippo lo ringrazia per aver cantato alla sua festa dopo l’ultima replica di Filumena Marturano. Lo ringrazia di aver suscitato nell’animo di tutti “i più dolci ricordi e le più care nostalgie di un tempo felice, che per la nostra Napoli, speriamo possa ancora rinnovarsi”.

Anche il grande Totò è un suo estimatore, e Roberto canterà diverse sue canzoni, tra cui Malafemmena

e Nemica.

Nel 1947 il fenomeno Murolo è in pieno decollo. Alla radio la sua voce raccoglie un pubblico sempre più allargato e le case discografiche se lo contendono. È la Telefunken Durium a incidere per prima, sui suoi dischi a 78 giri, una selezione di dieci canzoni, in parte a firma di Roberto Murolo, altre spagnole, tutte accompagnate dall’orchestra diretta da Guarino. Tra queste Suspiranno (1908), altro omaggio al padre e alla musica di Evemero Nardella;

come di Ernesto è ’A primma ’nnammurata (1917) con musiche di Pasquale Fonzo.

Poi ’A casciaforte (1928) di Mangione e Valente, canzone criptica, fintamente comica, composta nel periodo fascista. Il tema è l’amarezza di un napoletano che vede scomparire l’atmosfera romantica della città per l’avanzare di una società senza scrupoli. Per conservare la memoria di un’epoca felice e per manifestare forse una civile disobbedienza di fronte alla spregiudicatezza del tempo, può solo cercare una cassaforte dove conservare i ricordi belli del passato.

Tra le spagnole più orchestrate, Noche de luna e Desperadamente.

Capolavoro di interpretazione è ’Nu barcone con musica di Vincenzo Valente e testo di Ernesto Murolo, canzone del 1905 dal sapore vivace e popolaresco.

E poi Chiove, di sicuro richiamo, accompagnata dagli arpeggi della chitarra.

Sulla copertina del disco, infatti, per la prima volta si legge “Murolo e la sua chitarra”. Che non tralascia di farsi interprete di brani nuovi, composti nel 1947, come Serenatelle a ’na cumpagna ’e scola, musica di Giuseppe Bonavolontà e testo di Michele Galdieri

e la più ricercata Vint’anne di Della Gatta e Matassa.

Murolo con Totò (wikipedia)

Una canzone, questa, considerata modello attraverso cui cogliere a pieno lo stile interpretativo muroliano, in cui la parola dialoga sulla melodia senza che un elemento prevalga. Si scopre così il Murolo “fine dicitore che si muove nell’ambito di un suadente e garbato recitar-cantando” e rivela la grande abilità “di suscitare forti emozioni con stupefacente economia di mezzi; il fraseggio è calibrato con piccolissime variazioni d’agogica e minime sono le escursioni dinamiche, il vibrato è sempre sobrio e delicato”.

Visto il successo Murolo viene coinvolto in una serie di registrazioni su un vastissimo repertorio che spazia tra canzoni italiane, napoletane, nord-americane, spagnole, francesi, persino greche. Tra quelle napoletane spiccano: Scètate (1887) musica di Mario Pasquale Costa, testo di Ferdinando Russo,

Canzone appassiunata (1922), testo e musica di E.A. Mario,

I’ te vurria vasà, capolavoro della canzone napoletana, composta nel 1900 da Eduardo Di Capua e Vincenzo Russo.

Fino a ’A canzone ’Napule (1912), musica di Ernesto De Curtis, versi di Libero Bovio.

Roberto Murolo e Pino Rucher (dalla raccolta privata di Pino Rucher)

Con questo straordinario repertorio Murolo è protagonista di numerose esibizioni in cui si rivela l’eccezionalità di un cantante che si esprime in perfetta simbiosi con la propria chitarra, solo, senza accompagnamento pianistico o orchestrale. “Ho sposato la chitarra”, dirà spesso. E da questo matrimonio nascerà la figura del cantante chitarrista napoletano, capace di reggere su di sé l’intero spettacolo con la responsabilità di ogni nota suonata o cantata. Il capostipite di una lunga schiera di eredi. “Murolo – dice Cesarini – è stato il primo cantante napoletano a incidere dischi soltanto con la voce e con la chitarra e ha certamente inventato il suo stile d’interprete”. Oltre ad aver valorizzato lo strumento di cui, col tempo, è diventato collezionista, ricercando le migliori marche. Come la chitarra Guadagnini, strumento autentico del 1838, riparata e restaurata che ha accompagnato per lunghi anni la sua voce, insieme ad altre poi aggiuntesi, costruite su misura dalle mani di liutai sapienti. O altre ancora, comprate un po’ ovunque, a completare una raccolta di esemplari unici.

Dal film “Questi pazzi, pazzi italiani” (1965)

“La canzone napoletana sarebbe relegata ormai definitivamente in soffitta se Murolo non l’avesse sussurrata alla chitarra – si legge in un articolo del 1949 su Il Giornale d’Italia –. Dopo l’orgia dei ritmi americani, dopo gli spiritual-songs e dopo tanto sincopato, ecco tornare in voga (…) canzoni napoletane di quasi mezzo secolo fa che vivono la loro seconda giovinezza”. Come l’antichissimo Canto delle lavandaie del Vomero, canto d’amore risalente al Duecento (secondo altri, al XIV secolo) divenuto canto di protesta contro la dominazione aragonese, in cui il fazzoletto (moccatora – termine dall’antico dialetto partenopeo ma in uso ancora oggi come maccature, il fazzolettone da tenere in testa) assume il significato di terra.

Considerato tra i primi esempi di canzone popolare, ha avuto una eccezionale diffusione, grazie anche a versioni suggestive come quella di Amália Rodrigues, dall’album Ad una terra che amo, del 1973,

e quella della Nuova Compagnia di Canto Popolare con il rigoroso arrangiamento filologico di Roberto De Simone,

fino a farsi colonna sonora del film Passione di John Turturro (2010) con la voce di Fiorenza Calogero.

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E Murolo, scopritore della tradizione, anticipatore della stagione del folk revival, sorprende anche per l’intensa interpretazione dei canti, non gridati a voce spiegata, non appesantiti da eccessi vocali, ma sussurrati, resi con tutta la soavità e la discrezione possibile, per porgere le parole con sommessa dolcezza. Per rendere attuale un testo scritto centinaia di anni prima. Un testo che viene dal canto popolare, ma anche dalla romanza da salotto, che richiedeva una dinamica espressiva più sfumata. Così Murolo crea il suo stile, fondendo le due identità, quella della Napoli dei vicoli e quella della città più borghese e salottiera che restituisce contenuti sferzanti anche a mezza voce.

Insieme a Renzo Arbore

Questa unicità dell’interpretazione rende Murolo il prototipo del cantore ideale per una gran parte di napoletani. Quelli che amano il canto in solitudine. “Il napoletano – spiega Cesarini – non ha mai preso in grande considerazione la musica corale, né l’intreccio polifonico. Tenace individualista, preferisce cantare da solo. Non è in genere molto propenso a fondere la sua voce con quelle di altri (…) e non ama ascoltare concerti con troppi cantori o strumenti”.

Domenico Rea in Napoli Parole e Musica afferma lo stesso concetto. Lo scrittore, infatti, ricorda come fosse raro “trovare un canto napoletano in terza persona plurale e coi tempi impersonali. Ogni qualvolta lo speciale napoletano cantava, s’impennava in modo irreversibile, con geloso furore, lui e l’amore, lui e la trama volubile della vita, lui e la natura, dando luogo a un canto che si prestava a mille e una interpretazione, quasi che ciascuno da una canzone ufficiale, scritta e sancita, potesse ricavare una canzone sua originale, scritta da lui medesimo e adattata infine al suo caso personale”.

Tra le interpretazioni ineguagliate di Murolo e della sua chitarra restano Scalinatella, di Enzo Bonagura e Giuseppe Cioffi, lanciata nel 1948, in cui la voce di Roberto cesella il paesaggio arrampicato di Positano, o forse Capri, con la delicatezza del fraseggio, il timbro dolce e suadente.

Poi Anema e core (1950) composta dal musicista (Salvatore) Salve D’Esposito e dal paroliere Tito Manlio, che colpisce per l’equilibrio tra i suoni e i silenzi.

E ’O ciucciariello, (1951) con la musica di Nino Oliviero e i versi di Murolo che racconta una Napoli d’altri tempi e l’amore che riserva sempre qualche amara sorpresa.

Nel 1952 inizia una importante collaborazione tra Murolo, che scrive i testi, e Salvatore Mazzocco che compone le musiche per canzoni che partecipano al neonato Festival della Canzone Napoletana. Tra queste L’impiegato.

Poi Appassiunatamente (1956) e Pienzece buono Ciccillo mio (1957), molto apprezzata al Festival di Piedigrotta.

Ma il successo davvero clamoroso e internazionale arriva nel 1954 con una tournée in Brasile. La canzone napoletana viene presentata in una sala da concerto, non come espressione folklorica, ma arte intima che affonda nelle radici di un popolo. Prima di un nuovo viaggio a Tunisi e a Londra, per la Durium Murolo registra altri capolavori come Ddoie stelle so’ cadute (1955) di Francesco Saverio Margieri,

e ’O ritratto ’nanninella (1955) di Antonio Vian e Pasquale Scarfò.

Al ritorno, a partire dal 1956, Murolo inizia una sistematica attività di ricerca dei brani della tradizione. Nella biblioteca del padre trova volumi dell’Eco di Napoli con canzoni popolari, fogli volanti, pentagrammi. Riscopre la canzone Matalena (1933), di Roberto Ciaramella e Gigi Pisano, i cui versi erano spariti anche dalla sua memoria.

Finiti nel dimenticatoio come quelli di Quanta rose (1935) di Gaetano Lama e Libero Bovio.

Altri brani vengono riportati in vita, come La Rosa (1848) di Marco D’Arienzo e Saverio Mercadante.

Brani che, nei suoi concerti, Murolo esegue inframmezzandoli con canzoni del momento. Come Io, mammeta e tu di Pazzaglia e Modugno.
Importante è la nuova collaborazione con Renato Forlani, autore di musiche, con il quale nasce un sodalizio artistico piuttosto fruttuoso. Escono pezzi come Pienze a mme e Sarrà chi sa! (1959). Quest’ultima, canzone vincente al Festival di Napoli, interpretata da Fausto Cigliano e Teddy Reno.

Murolo autore scriverà ancora Steso al sole (1966) e Sotto le stelle (1968) per poi chiudere, con la fine del festival napoletano e la diffusione di altri generi musicali, questo capitolo della sua carriera. Solo nel 1985, nel tentativo di far rinascere il Festival riceverà il Premio della Critica interpretando la divertente ’O panzone.

(fotografia di Augusto De Luca)

Il grande lavoro di raccolta del patrimonio della canzone popolare si concretizza nell’opera nota come “Napoletana” (Napulitana), una raccolta di tre album da quattro dischi per un totale di 160 canzoni disposte in ordine cronologico incise per la Durium, messe in commercio a partire dal 1963 con un successo sensazionale. Di questo lavoro scriverà Domenico Rea: “Roberto Murolo, ricco di cultura, figlio d’arte, intuì che la vecchia canzone andava sfrondata e riportata alla sua essenza recitante, ottenendo una drammaticità memorabile”. Una canzone in cui il canto a piena voce lasciava il posto a uno stile quasi sussurrato, lo stile del parlare “fino” tipico dei quartieri della Napoli bene, la Napoli degli intellettuali, di chi apprezzava la dizione chiara, il porgere levigato delle parole, la classe indiscutibile. “A Napoli esistono due lingue – scrive Luciano De Crescenzo –: quella del rione Sanità, detta anche lingua tosta, praticata da Merola e dai protagonisti della sceneggiata, e quella di Posillipo, propria di scrittori come Dudù La Capria. Roberto Murolo esprime il momento più alto della seconda, lui è il Gozzano della canzone napoletana”.

Con Fabrizio De André

Il suo è un lavoro di svecchiamento di un repertorio ora restituito alla sua autentica natura. Repertorio che tanto successo ottiene, incredibilmente, fuori da Napoli. Perché è poesia universale, capace di parlare a tutti. “I dodici dischi della raccolta – scrive Cesarini – rappresentano veramente un unicum per qualità d’esecuzione e scelta del repertorio. Melodie che si susseguono con consequenzialità sbalorditiva, grazie all’approccio interpretativo unitario”. Spicca la celebre tarantella di autore ignoto, di fine ’700, Lu Guarracino, per la dizione nitida e per l’effetto ipnotico reso dalla perfetta fusione di voce e chitarra,

e poi Torna a Surriento (1894) di Ernesto De Curtis su parole del fratello Giambattista, cantata senza i consueti slanci di voce, ma più addolcita.

Ineguagliabile Uocchie c’arraggiunate (1904) di Rodolfo Falvo e Alfredo Falcone Fieni,

come le già citate Suspiranno (1909) e Scalinatella (1948). Poi la dolente Sora mia,

fino alla drammatica ’O zampugnaro ’nnammurato (1918) di Armando Gill.

Visto il successo dell’opera la Durium non esita a proseguire con un doppio album del 1977 intitolato Come ride Napoli, dedicato all’umorismo nella canzone napoletana, procedendo poi con la seconda raccolta L’umorismo della canzone napoletana moderna, con brani dal 1892 al 1965. Murolo diventa artista apprezzato non solo per le sue inedite interpretazioni dal tono confidenziale, ma anche come studioso, ricercatore, filologo del canto.

Una foto che immortala Murolo con Mia Martini

Gli anni Settanta sono segnati da una serie di incontri fortunati dai quali nascono esperienze artistiche straordinarie e una serie di duetti. Con l’artista portoghese Amália Rodrigues, fado e canzone napoletana dialogano soavemente. Poi con Peppino di Capri, con cui fa il tutto esaurito al Teatro Sistina di Roma. Insieme alla voce della Sardegna, Maria Carta, Murolo partecipa alla rassegna “Quanno turnammo a nascere” organizzata da Eugenio Bennato per il Teatro San Ferdinando di Napoli. Nel 1981, invece, l’incontro strepitoso è quello con il chitarrista brasiliano Baden Powell che accompagna il cantante napoletano in diversi classici.

Classici che qui restituiamo nelle meravigliose interpretazioni di Roberto con la sua chitarra: Tammurriata nera,

’O surdato ’nnammurato,

Funiculì funiculà,

Tarantelluccia,

’O sole mio.

Nel 1984, poi, divide il palcoscenico con la cantante napoletana Teresa De Sio, protagonista anche lei del recupero della canzone popolare. Negli anni Ottanta non mancano i riconoscimenti prestigiosi come il Premio Tenco che gli viene assegnato nel 1982 per le sue composizioni. E i grandi concerti che rendono la sua figura senza tempo, acclamato da più generazioni di estimatori della canzone napoletana.

Nella patria degli chansonnier, al Festival internazionale della musica di Parigi, Murolo è considerato poeta raffinato. Negli anni Novanta è pronto a intonare canzoni vecchie e nuove, raccolte nell’album ’Na voce ’na chitarra (1990) che combina canzoni inedite, tradizionali, altre di grandi autori. Spassiunatamente di Paolo Conte, Caruso di Dalla,

Lazzari felici di Pino Daniele con il quale registrerà poi un album di classici, tra cui Napule.

La voce antica di Murolo, insieme ai suoni contemporanei di Pino Daniele, rappresentano una contaminazione che prefigura un passaggio di testimone.

Le sorprese e le collaborazioni non finiscono. Nel 1992 con Mia Martini interpreta Cu’ mmè, capolavoro di Enzo Gragnaniello

e si esibisce con De André al concertone del Primo maggio dello stesso anno in piazza San Giovanni a Roma cantando Don Raffaè.

Pubblicherà poi Tu si ’na cosa grande (1994), tributo a Domenico Modugno, con le voci più prestigiose della musica napoletana: Lina Sastri, la Nuova Compagnia di Canto Popolare, Pietra Montecorvino, Eugenio Bennato, Enzo Avitabile, Enzo Gragnaniello e Tony Esposito.

Nel successivo album Anema e core (1995) i brani Dicitencello vuje

e Anema e core sono incisi con la cantante Amália Rodrigues.

Il 26 gennaio 1995 il Presidente Oscar Luigi Scalfaro lo nomina Grande Ufficiale della Repubblica per i suoi meriti artistici. A questa onorificenza si aggiunge, il 23 gennaio 2002, la nomina a Cavaliere di Gran Croce, conferita dal Presidente Carlo Azeglio Ciampi. Ultima produzione è Ho sognato di cantare (2002), undici canzoni d’amore realizzate con autori e musicisti napoletani. Tra i brani più sentiti è Ammore.

La lapide commemorativa (napolitoday.it)

Nel marzo 2002, durante il Festival di Sanremo, Murolo riceve il premio alla carriera. In occasione del suo novantesimo compleanno, RaiSat Album gli dedica lo special “Roberto Murolo Day – Ho sognato di cantare”, ideato e condotto da Renzo Arbore. Renato Murolo muore il 13 marzo 2003 a Napoli, nella sua casa di via Cimarosa 25, al Vomero, ora sede della Fondazione Roberto Murolo. Riposa nel Cimitero di Poggioreale a Napoli. Roberto Murolo, ricercatore e studioso, la voce che ha sposato la chitarra e che ha restituito al mondo la vera essenza della canzone napoletana, sussurrandola, è tuttora modello di un cantare autentico, levigato, intimo, che combina l’arte di declamare versi a musiche di antiche tradizioni, per parlare al presente in un’aura eterna e senza tempo.

Chiara Ferrari, autrice del libro Le donne del folk. Cantare gli ultimi. Dalle battaglie di ieri a quelle di oggi. Edizioni Interno 4, 2021; coautrice del documentario Cantacronache, 1958-1962. Politica e protesta in musica. Da Cantacronache a Ivano Fossati, edizioni Unicopli