Da https://blog.wikitesti.com/2010/05/gabriella-ferri-testi-accordi-spartiti-per-chitarra/

Il fatto è che Gabriella Ferri ha quel dono che forse soltanto chi è nato a Testaccio (come lei) o a Trastevere può avere: una voce chiara, tagliente, che par sempre pronta a sfociare nell’antico sberleffo romanesco, nella risata chiara come l’acqua delle cento fontane di Roma e tuttavia con quella venatura di malinconia che nasce quando Gabriella attorciglia le note e soffoca la voce lasciando chi l’ascolta con il vuoto nello stomaco”. Leoncarlo Settimelli

Gabriella Ferri è la regina della canzone romana. Ma è anche attrice di cabaret e di teatro, interprete di ballate d’autore e di intense canzoni d’amore, autrice e ricercatrice di canti tradizionali. Reinterpretati, riscritti, riscoperti. A lei si deve il merito di aver consegnato alla nostra memoria un repertorio per molti sconosciuto, diventato celebre nel mondo: gli stornelli, le ottave, le tarantelle, le espressioni più genuine del sentimento popolare della sua città. Con il dialetto, le storie di quartiere, l’umanità ai margini. Capace di commuovere e di emozionare, di far ridere e di far piangere, sperimentando nella voce e nell’interpretazione tutti i gradi possibili dell’espressività. Grazie a una vocalità incredibilmente duttile, che trae spunto dal canto popolare, ma anche dal jazz e dal rock, ha saputo reinventare la tradizione del genere folk con estrema originalità contaminando suoni, stili, culture.

Una carriera iniziata per caso, una famiglia modesta, uno spirito eclettico, dissacrante, surreale: da sempre inimitabile. Ce ne parla la sorella Maria Teresa, incontrata a Roma.

Sorella maggiore, cinque anni più grande. Gabriella non è ancora ragazza e Teresa già canta. «Io cantavo nelle Feste del dilettante – dice – e dove andavo vincevo il primo premio. Poi sono arrivati i problemi del dopoguerra: papà che non lavorava, Gabriella che era ancora piccola, nostra madre che faceva la sarta, ma non era sufficiente. Così dovetti andare a lavorare, lasciare da parte il canto, ho messo su famiglia abbandonandolo del tutto». Mai pensava, Teresa, che Gabriella sarebbe poi diventata lei una grande cantante. «In una trasmissione della Rai condotta da Massimo Giletti – ricorda – io ero andata ad accompagnare mia sorella, come sempre facevo, perché sono stata alle sue spalle, dappertutto. Così l’avevo raggiunta in via Nomentana. Al camerino, la stavano truccando. Poi, quando iniziò la trasmissione, mi misero a sedere in prima fila. Gabriella era bellissima come sempre e cantò. Poi il silenzio: Giletti lasciò Gabriella, venne verso di me, mi prese per le mani e mi condusse nel centro dello studio. Ricordo di aver cominciato a tremare: io non ero capace di stare davanti a una telecamera. Ero emozionatissima. Gabriella prese la parola e disse che ero la sua sorella adorata. Ma cantavi pure te? mi chiese Cristiano Malgioglio. Sì, cantavo quando ero giovane. Allora Gabriella prese il microfono, si rivolse al pubblico e disse: la cantante della famiglia era mia sorella Maria Teresa, io le ho fregato il mestiere. Tutti si misero a ridere. Quella è stata la nostra ultima apparizione insieme».

Maria Teresa Ferri

“Papà era biondo, bellissimo, aveva gli occhi azzurri, faceva il carrettiere”, scrive Gabriella [Pino Strabioli, Sempre, p. 5]. Lei lo adora e a volte lo accompagna ai mercati a vendere i suoi prodotti. Spesso lì sente cantare. Ama la scrittura, papà Vittorio. Compone poesie con il poeta Gaetano Camillo. Per Lando Fiorini scrive Er monno, e la colonna sonora di un film con Gianni Morandi, Faccia da schiaffi. Quando Gabriella comincia a cantare, diventa paroliere, e per lei inventa canzoni su canzoni. Come quella con cui lei parteciperà al Festival di Sanremo.

Mamma Lucia, invece, canta da soprano con una voce da usignolo: «Cantava per cantare – dice Teresa –. Erano otto figli, lei la penultima: chi suonava la fisarmonica chi le tamburelle, mamma suonava il mandolino e cantava con una voce incantevole. Cantavano e suonavano tutti quando si incontravano. Erano di quelle famiglie patriarcali che non c’era festa in cui non ci si riunisse tutti. Mia madre era semplice anche se di origini facoltose. Per carattere stava sempre nell’ombra, mai a mettersi in evidenza». É stata lei, scrive Gabriella, a farla appassionare alla musica [Sempre, p. 5].

Teresa e Gabriella nascono a Piazza Santa Maria Liberatrice 18 al Testaccio, quartiere popolare circoscritto dal Tevere. Gabriella viene al mondo il 18 settembre 1942. «All’epoca andava la levatrice a casa – dice Teresa –. E io mi ricordo benissimo di quando è nata Gabriella: il primo vagito, mia nonna che mi diceva che era arrivata la cicogna, che era entrata dalla finestra spalancata sui giardinetti di Testaccio. Io le dissi che non l’avevo vista, allora lei mi rispose che era uscita di fretta da una finestra retrostante».

Un’infanzia gioiosa, dunque. «Un’infanzia bellissima, la nostra, piena di amore e di affetto. Mia madre ci vestiva come due principessine perché era una sarta. Fu lei a confezionare il corredo alla figlia del Re Umberto di Savoia, Annamaria, che si doveva sposare. Avevamo una zia suora, direttrice di un istituto salesiano, che fece prendere questo lavoro a nostra madre. Mandavano i tessuti a casa, macramè costosissimi, lei disegnava i modelli e cuciva gli abiti. E poi che faceva? Cercava di tenerne da parte sempre dei pezzi, così, finito il lavoro, cuciva la camicetta per Gabriella, il gilet per me o la gonnellina. Alla basilica di Testaccio la domenica a mezzogiorno c’era la funzione. Noi arrivavamo con quei vestiti indosso e tutti ci guardavano. Erano tempi che quelle stoffe non se le poteva permettere nessuno. Poi si andava a mangiare il gelato a piazza Testaccio e quella per noi era la festa».

Gabriella comincia la sua carriera piuttosto giovane. «Andava a scuola – dice Teresa – poi a un certo momento, siccome era molto attraente, una sua amica modella, Anita Pallenberg, che poi sposò Keith Richards, chitarrista dei Rolling Stones, le disse: Sei tanto bella, ti presento al mio stilista. Gabriella venne scelta subito. Era il 1963, aveva ventuno anni: alta, meravigliosa con i suoi lunghi capelli biondi». Ma l’ambiente della moda non le piace: «Lei era una persona semplice, era per il popolo, per la gente come lei. Non amava quel mondo sofisticato, di persone che andavano alle sfilate, a vedere questi vestiti costosissimi e si potevano permettere di spendere cifre astronomiche. Così, disse ad Anita che non era per lei. Nel frattempo conobbe il proprietario di un negozio a Piazza di Spagna che si chiamava Roland’s, una boutique dove andavano a comprare personaggi importanti. La prese come commessa. Così, lavorando, conobbe altre persone del mondo dello spettacolo, della cultura, del cinema tra cui Luisa De Santis. La madre, moglie del registra Giuseppe de Santis, andava a fare spesa lì. Gabriella legò subito con Luisa, diventarono presto amiche. Poco dopo Luisa propose a Gabriella di andare a prendere un aperitivo a Piazza del Popolo, al Caffe degli artisti. Gabriella cominciò a frequentare quel caffè dove conobbe altri personaggi della cultura e dello spettacolo. Come la contessa Olghina di Robilant, lo scrittore Oliviero Prunas. Non era il suo mondo ma ormai ci si trovava e voleva vedere fino a dove poteva arrivare. Poi a Gabriella all’improvviso venne l’idea di comprarsi una chitarra, cominciò a studiare su un libro, da autodidatta, e la sera strimpellava. Una di queste si portò la chitarra a Piazza del Popolo. Fatalità, a quella tavolata c’era un signore che veniva da Milano. La sentì cantare insieme a Luisa e le invitò a Milano a esibirsi all’Intra’s Club, un locale alla moda nel centro della città. A Milano la sera del loro concerto, tra gli invitati c’era Camilla Cederna che immediatamente restò colpita da queste due giovani e in quattro e quattr’otto nacque la storia delle romanine».

La storia delle belle romanine si sparge di bocca in bocca e giunge alle orecchie della Rai dove Mike Bongiorno le invita alla trasmissione La Fiera dei Sogni. É il 1964 e quello è il primo di una lunga serie di grandi successi. In un istante arrivano le serate nei locali, i contratti, e poi i dischi, i 45 giri, gli album, le tournée. Tutti i giornali ne parlano. Tutti cantano La società dei magnaccioni, un vecchio canto popolare romano da loro rielaborato: Ma che ce frega, ma che ce ’mporta/si l’oste ar vino c’ha messo l’acqua/ e noi je dimo e noi je famo/ c’hai messo l’acqua e nun te pagamo ma pero…/La società dei magnaccioni, /la società della gioventù,/ a noi ce piace de magna’ e beve/ e nun ce piace da lavorà.

Gabriella già da tempo andava alla ricerca delle canzoni tradizionali romane, con l’idea di reinventarle: “Mi sono appassionata alla canzone popolare – scrive Gabriella –. Ho iniziato a studiarla, quando potevo andavo all’Archivio di Stato a cercare vecchi spartiti” [Sempre, p. 5]. «Leggeva molto, comprava libri anche difficili da capire», dice Teresa.

Poco dopo Gabriella viene contattata dalla Rca, le dicono che sono disposti a farle un contratto decennale, con la partecipazione al Festival di Sanremo. Però, da solista. «Gabriella ne parlò con Luisa, che non se la prese – dice Teresa –. Tu lo devi fare per guadagnare per la famiglia, io non ho problemi, restiamo amiche, decidi tu, le disse. Così Gabriella, con l’anima in pace, firmò il contratto».

Nel ’66 esce l’album Gabriella Ferri, con brani dal repertorio di Romolo Balzani, cantante e autore romano celebre negli anni Trenta. Tra questi: Er carrettiere a vino, canto del carrettiere che in una Roma bella e soleggiata pensa al suo amore perduto: Roma fiorita e l’aria che tu manni è profumata/me sento qui ner petto nà ferita che m’aricorda Nina mia adorata;

il canto L’eco der core

e Barcarolo romano, storia di un barcaiolo in pena per il suo amore finito:

Er barcarolo va contro corente/e quanno canta l’eco s’arisente/si’ è vero fiume che tu dai la pace/fiume affatato fammela trova’.

Il folk in questo periodo è la salvaguardia delle tradizioni del nostro Paese, assediato dall’urbanizzazione, dall’industrializzazione negli anni che seguono il miracolo economico. Ernesto De Martino, Gianni Bosio, il Nuovo Canzoniere Italiano lavorano affinché il patrimonio culturale di canti e musiche popolari venga conservato e diffuso. Anche Gabriella è parte di questa rinascita, il folk revival, e nell’estate del 1966 sarà in Canada e Stati Uniti con lo spettacolo Folkitalia in compagnia di Caterina Bueno, Otello Profazio, Matteo Salvatore.

Nel successivo album Roma canta (1969, Joker) Gabriella, infatti, rilegge i brani della tradizione, alcuni con Luisa. Come Stornelli di Porta romana:

e La povera Cecilia, storia di una giovane donna con il marito in prigione condannato a morte. Disposta a pagare con l’onore la vita del marito, compie un omicidio e sarà anche lei rinchiusa nelle carceri di San Michele.

La coppia incide anche Hai finito da fa la santarella o É tutta robba mia, canzone più spensierata di una giovane, forse una prostituta, che si mette in mostra passando per la via.

E Alla renella, brano tradizionale di fine Settecento, che narra le sofferenze di un carcerato, tema caro a Gabriella. La renella, la spiaggia che si formava in riva al Tevere durante le secche, nella canzone diventa la metafora della distanza dalla donna amata.

Il duo ripropone anche canti popolari siciliani come Ciuri Ciuri

e Vitti na crozza.

Nel ’69 Gabriella partecipa al Festival di Sanremo con la canzone Sei tu ragazzo mio, arrangiamento che mescola rhythm and blues e folk, il testo è del padre.

Si esibisce in coppia con Stevie Wonder, ma arriva penultima.

«La mattina successiva, però – dice Teresa – sui quotidiani tutti scrissero che era un’ingiustizia, che Gabriella Ferri era una grande scoperta. Così, per la critica, era come se avesse vinto lei».

Il disco, infatti, è un successo, e la canzone viene reinterpretata da molti altri artisti, come I Camaleonti

e Nada.

E dopo Sanremo arriveranno i più importanti LP.

Nell’album Gabriella Ferri (1970) canzoni più moderne si affiancano a brani della tradizione folkloristica italiana come Ciccio Formaggio, canto napoletano del 1940 che racconta le angherie di questo personaggio, inflitte dalla fidanzata Luisa. Il genio di Gabriella trasforma un brano comico dal tono canzonatorio in un grido disperato di dolore.

O la struggente Sinnò me moro, canzone composta nel 1961 dal regista Pietro Germi su musica di Carlo Rustichelli per il film Un maledetto imbroglio e cantata dalla figlia di Rustichelli, Alida Chelli: Nun piagne, amore, nun piagne amore mio/ nun pioagne e statte zitto su ’sto core, /ma si te fa soffrì dimmelo pure.

Nasce, così, una nuova canzone romanesca che si riallaccia alla tradizione reinventandola. Più vera e vicina ai sentimenti e alle storie quotidiane. Sor Fregnone, per esempio, scritta da Gabriella sulla musica di Vittorio Nocenzi, il tastierista del Banco del Mutuo Soccorso, è una malinconica canzone in cui il protagonista, forse di nuovo un carcerato, si strugge d’amore: Che te fischi a sor Fregnone, statte zitto abbi rispetto, che la sera drento al letto tu ce l’hai chi te vo’ bene, io c’ho solo ‘sti vent’anni, come fossero un dispetto, me li sento sulla schiena, io con loro vado a letto.

Qui interpretata dal vivo.

Cominceranno anche le tournée all’estero. «In Sud America – dice Teresa – era diventata talmente famosa che mi invitò a fare una lunga vacanza a Caracas. Lì conobbe Seva Borzak, che era direttore generale dell’Rca dell’America latina. Fu un colpo di fulmine, un vero e grande amore». Il successo nei Paesi dell’America latina è immenso: a Caracas si organizza una festa grandissima dove le consegnano il disco di platino per Ti regalo gli occhi miei.

Gabriella la canta in spagnolo: Te regalo yo mis ojos.

“Io sono stata là diverso tempo – dice Teresa – accendevamo la radio e sentivamo Gabriela Ferri, come la pronunciavano loro: Gabriela. Anche in televisione, per strada cantavano le sue canzoni. Caracas allora era un paradiso terrestre, la libertà più assoluta, dal più povero al più ricco. Macchine lunghissime e le donne al volante con i bigodini in testa. Perché loro non pensavano che fosse disdicevole: la libertà in ogni gesto».

Al ritorno Gabriella partecipa a diverse serate al Bagaglino e alla Bussola di Bernardini. Alla trasmissione Senza Rete su Rai1 si esibisce in una vorticosa Rosamunda che la lancia nell’Olimpo delle grandi dive dello spettacolo.

Del ’73 è la partecipazione allo show Dove sta Zazà di Antonello Falqui, grande regista Rai. Trasmissione che prende il titolo da una delle più celebri interpretazioni di Gabriella, Dove sta Zazà, canzone napoletana del 1944 che esplose nel dopoguerra e che ora con la sua interpretazione, stravolta e assolutamente personale, fatta di pause, di improvvisi slanci, prendeva un tono drammatico: la vicenda straziante di un amore impossibile.

Il successo è strepitoso e Gabriella si rivela artista multiforme: è figura petroliniana, spesso truccata e abbigliata a interpretare brani maschili, è personaggio lunare, sconvolgente nella sua modernità.

Nei successivi album come Lassatece passà, tanti sono i brani che tornano a raccontare la Roma popolare: dalla serenata d’amore di Affaccete NunziataAffaccete Nunzià, core adorato/che ’sta nottata invita a fa l’amore/er celo è tutto quanto imbrillantato/la luna manna a sfascio lo spremore

a Quanto sei bella Roma, struggente canto dedicato alla Roma di Trastevere: Trestevere da quanno t’ho lassato,/c’avevo in petto er core, c’avevo in petto er core e l’ho perduto/dimmelo un po’ si tu l’hai ritrovato,

e Chitarra romana della voce simbolo dell’Italia anni Trenta Carlo Buti, canzone in cui la Roma del lungotevere, la Roma bella sotto un manto di stelle fa da sfondo a un amore ormai svanito.

E se fumarono a Zazà (1971) è l’album in cui Gabriella si confronta con la canzone napoletana. Ne esce vincente: la sua personalità, la teatralità sono perfette per il repertorio popolare della città del Vesuvio. O sole mio è qualcosa di inedito per il tono d’intimità e dolcezza d’interpretazione.

La sua ricerca continua nell’album L’amore è facile non è difficile (1972) dove Gabriella interpreta Gita a li Castelli con il ricordo malinconico delle gite domenicali ad Albano, a Genzano o Frascati, tra il profumo di rose e gerani.

O Roma forestiera, nota anche come Nannarella, il racconto della Roma popolare, di prima della guerra, in cui si cantavano gli stornelli e le tarantelle suonate con la chitarra e il mandolino. Con l’arrivo degli americani tutto è diventato straniero: le canzoni, il ritmo, le parole e nessuno si è più ricordato di quella Roma nostra e piena de bontàA chi la famo ormai la serenata,/vecchia chitara amica de ’sto core?/Er canto de ’sto popolo tenore/è ’n armonia de favola passata.

Gabriella canta la Roma della gente comune, il mondo degli umili che vivono di sentimenti genuini: l’amore per la donna e quello per la città bella e dimenticata. Brani in cui la sua voce autentica ora si fa più scura per disegnare atmosfere malinconiche, ora più roca e disperata, ora brillante per accendersi di entusiasmo. Gabriella dà vita a uno stile di canto unico e inimitabile, con le strofe spesso sospese e i ritornelli liberatori e carichi di passione. Un alternarsi di umore e di timbro che rende ogni canzone un viaggio sorprendente e imprevedibile.

Nel 1972 esce Gabriella, i suoi amici…e tanto folk, dove ritornano i brani popolari della tradizione romana e napoletana. In Sempre (1973) incide lo straordinario brano che dà il titolo al disco,

e altri tradizionali come Pe’ lungotevere,

insieme a brani scritti da lei come Se ci vuoi pensar,

Sono partita di sera.

Altri grandi successi sono Tanto pe’ cantà di Ettore Petrolini,

la commovente Via Rasella: Via Rasella, Via Rasella t’hanno messo a pecorone/ maledetto sto’ dolore

e Tutti al mare, rielaborazione di una canzone degli anni Trenta. Nostalgica e amara, oltre che irriverente, ricorda i tempi lontani di quando per andare in gita la domenica se pijava er tranvettoTutti al mare, tutti al mare/ a mostra’ le chiappe chiare, / co li pesci in mezzo a l’onne/ noi s’annamo a diverti’.

E poi Le mantellate, brano inciso da Ornella Vanoni nel 1959 in Le canzoni della malavita. Di Fiorenzo Carpi le musiche, testo di autore anonimo, racconta i sentimenti di una carcerata (Le mantellante è uno dei viali che costeggiano il carcere di Regina Coeli). L’arrangiamento per chitarra e organo elettrico è scarno a sostenere la voce incredibile di Gabriella che procede cupa, si accende, svanisce in un sussurro, poi si impenna e graffia nel finale straziante: Ma Cristo nun ce sta drento a ’ste mura, mo’ che parlate a fa’, mo’ che parlate a fa’, qua drento ce sta solo infamità. C’è tutta la verità possibile nella voce di Gabriella.

Tante canzoni rielabora Gabriella e tante ne compone di sana pianta. Come Sora Menica, scritta per ricordare il quartiere di Trastevere e la nonna materna che si chiama Domenica, ma per tutti Menica: Semo trasteverine e nun tremamo/Paura/nun avemo de nisuno/c’avemo bona lingua e mejo mano/c’avemo bona lingua e mejo mano.

E poi Gli stornelli con Claudio Villa, dove Gabriella esprime tutto il talento di artista poliedrica.

Il 1973 è l’anno del colpo di stato di Augusto Pinochet in Cile, l’anno dell’uccisione di Victor Jara, voce della protesta cilena. Gabriella sente vicine le vicende dell’America Latina e a questo Paese in lotta dedica il primo lato del nuovo album Remedios, in cui interpreta il repertorio popolare di quei luoghi. Tra tutti spicca la versione di La paloma

e la personale rilettura del capolavoro di Violeta Parra, tradotto in Grazie alla vita.

In questo album è contenuto il capolavoro poetico Remedios, testo e musica originale: Remedios, piccola cara, ragazzina, bella, dolce, splendida piccola, rimasta così, seduta in riva al mare, e le mani piene di perle, il sole in fronte e il sorriso, bianca orchidea, anima e colomba, e la allegria, tu canti la consolazione, canti la speranza, tu canti Remedios. La tua storia ce la raccontò una volta Dio, il tuo fratellino con la sua chitarra, ti eri addormentata sotto la luna, eri felice, piccola Remedios.

Una sera Gabriella conosce Pier Paolo Paolini. É a cena al ristorante La Carbonara di Campo dei Fiori dove Gabriella ha acquistato casa. «Pasolini era lì con un amico regista – dice Teresa –. Finita la cena lei si alzò e andò a presentarsi. Parlarono un po’, lui le fece tanti complimenti e lei gli disse: Io canterò un pezzo tuo. Non vedo l’ora di ascoltarlo, rispose lui». Sarà il Valzer della toppa. Canzone che racconta la storia di una prostituta di Testaccio che una sera si ubriaca credendo di essere improvvisamente tornata vergine, e così riassapora una bellezza e una purezza ormai perdute. Pasolini racconta di averla scritta per amore del mondo popolare: “Per il gusto di usare liberamente espressioni dialettali che esercitavano su di lui un grande fascino, perché capaci di esprimere fulmineamente tutto un mondo poetico” [Micheli, Storia della canzone romana, p.618]. Mamma mia che luci/che vedo qua attorno!/Le vie de Testaccio/me pareno come de giorno,/de n’artra città!

La canzone Er zelletta è tra gli ultimi pezzo scritti e cantati da Gabriella e racconta una storia autobiografica. «Er zelletta – dice Teresa – era esistito veramente, è stato un bambino di nome Mario che aveva 13 anni. Gabriella ne aveva 11 e si innamorò di lui, il primo amore da ragazzini. Era bello come il sole, ma non si lavava. Lei se ne è sempre ricordata e dopo tanti anni gli ha dedicato la canzone: je dicevano er zelletta, ma se chiamava Mario / un ragazzo sull’ordinario, con un certo non so che/se lavava assai de fretta, da cui cuer sopranome,/ma una sera nun so come, lui me disse: vie’ co me. Poi dice che il padre la scopre e le grida: brutta fija de ’na vergogna vie’ qui che mo’ te strozzo, /ti sei messa co’ quer zozzo/t’avressi da lava’. Adesso nelle serate che fanno per ricordare Gabriella la cantano tutti».

Seguono altri show nella carriera di Gabriella. Nel 1975 è scritturata per Mazzabubù con la regia di Falqui. «Mazzabubù, però, ha un epilogo triste – dice Teresa –. La quarta puntata andava in onda il sabato 20 ottobre. La sera in cui morì nostro padre. Lei stava registrando e non fece in tempo a salutarlo, arrivò appena possibile, senza che nessuno ancora le avesse detto che lui era spirato. Quando vide tutti i giornalisti davanti al portone capì e si mise a piangere. Papà, tempo prima, le aveva scritto una canzone meravigliosa intitolata Seminario. Gliela fece ascoltare, ma lei disse che era troppo triste e voleva modificarla. Lui la pregò di cantarla. Così, lei aggiustò solo qualche passaggio e quando lui mancò, bloccò l’ultimo 33 giri in uscita per la Rca e inserì Seminario».

Per Gabriella, la perdita del padre è un dolore che le resterà addosso per tutta la vita: “Papà sei l’unico uomo che conosco – scriverà –. Il rispetto che ti porto è infinito […]. Sei tu che puoi darmi la felicità” [Sempre, p. 47]. Ma nonostante quel trauma la sua carriera continua spedita. Partecipa allo show E adesso andiamo a incominciare (1977), il Bagaglino di nuovo, varie trasmissioni con Maurizio Costanzo.

Dopo l’esperienza televisiva di Giochiamo al varieté (1980), sempre di Falqui, Gabriella incide un disco (Gabriella, 1981) con alcune canzoni scritte per lei da Paolo Conte, tra cui la celebre Vamp.

Altre sono scritte da Bruno Lauzi, con le musiche di Riccardo Cocciante. Di Ennio Morricone interpreta Lo stornello dell’estate. Qui in coppia con Mia Martini.

Poi si trasferirà per qualche tempo negli USA, lasciando televisione e cabaret per dedicarsi unicamente alla musica. Nel 1996 partecipa al Premio Tenco di Sanremo dove si esibisce in Reginella accompagnata dal chitarrista della Piccola Orchestra Avion Travel, Fausto Mesolella.

Nel luglio del 1997 canta a Villa Celimontana a Roma davanti a 7.000 spettatori, quando se ne aspettavano un migliaio. Nel 1997 incide anche il suo ultimo album, Ritorno al futuro, mentre nel 2002 appare in televisione, dapprima come ospite di Pino Strabioli nella rubrica Cominciamo bene Prima, e poi nel varietà Buona Domenica di Maurizio Costanzo, dove si esibisce cantando i suoi grandi successi.

«Per lei cantare significava esprimere il suo mondo, essere se stessa fino in fondo – dice Teresa –. Infatti, non ha mai voluto tradire il suo pubblico. Durante una trasmissione televisiva, Gabriella aveva la laringite e quindi non se la sentiva di cantare. Il regista le propose il playback, lei se lo mangiò. Io non ho mai tradito il mio pubblico, disse, non lo farò certo ora.  Se mi esce la voce canto, se non mi esce capiranno che ho male alla gola. Così cantò rifiutando il playback. Andò tutto bene e alla fine della trasmissione le portarono un mazzo di rose per la sua esibizione straordinaria».

Gabriella è completamente immersa nella musica, che per lei è linfa vitale. E non ci sono domeniche, non ci sono ferie, non ci sono pause per lei.

«Appena poteva – dice Teresa – veniva a casa mia. C’era una cameretta per lei. L’aveva addobbata come le piaceva: impicci, sassetti, palloncini qualsiasi cosa la metteva lì. Nel soggiorno c’era un grosso divano e quando tornava dalle sue serate al Bagaglino la sera tardi, mi bussava alla camera, prendeva la chitarra, si sedeva sul divano e mi faceva sentire una canzone, qualcosa che aveva appena composto. Io la ascoltavo strimpellare e a volte mi chiedeva di farle il controcanto. Alle tre di notte. Nel suo arrangiamento di Nannarella, infatti, sul disco, nel ritornello si sentono le voci mia e di mio padre a fare il controcanto».

Di Gabriella emerge anche una forte indole altruista. Sempre dalla parte degli ultimi, delle persone in difficoltà. Senza per questo mai chiedere niente in cambio.

«Io frequentavo un centro anziani in Cinecittà – racconta Teresa – e appena hanno saputo che ero la sorella mi hanno chiesto di invitarla. Una domenica venne a pranzo e a un certo momento mi chiese a che ora apriva il centro. Quando Gabriella arrivò la gente non ci poteva credere. Lei prese il microfono e cominciò a cantare, cosa che se si esibiva in un locale per un paio di canzoni guadagnava milioni. Ma non le importava. Così, cantò. Le fecero domande, lei rispondeva e poi cantava e cantava. All’ultimo si prese una pausa. Poi disse: voi lo sapete che mia sorella è una ballerina? Mettete su un boogie woogie. Mi acchiappò e insieme ballammo, con tutti intorno che ci battevano le mani. Alla fine ci fu il taglio della torta, le diedero i fiori e tutti ancora che la applaudivano: non sappiamo proprio come ringraziarla, le dicevano. Lei prese il microfono, fece silenzio e disse: Non mi dovete ringraziare, sono io che devo ringraziare voi per la bella giornata che mi avete fatto vivere».

Anche nel culmine del successo, che a camminare per strada tutti la fermano, Gabriella ha sempre un pensiero per ciascuno. «Un giorno incontrò una ragazza sulla sedia a rotelle a Campo dei Fiori – racconta Teresa – e le chiese se andava a trovarla ad Anzio dove lei era degente in un istituto per persone con disabilità. Per circa due anni, una volta al mese, andavo con lei ad Anzio, presso questo istituto, per consegnare scatoloni con alimenti. Faceva il giro delle stanze, e portava tanta roba, anche le golosità. La beneficienza lei l’ha sempre fatta in silenzio».

“Vi sembra bello vedermi in vendita come un bel paltò? – scrive Gabriella –. Sono un’artista che quando respira sente l’aria. Non sono il prezzo di una cravatta, un portafogli pieno. Finisce nelle banche, in tasca ai ricconi, la mia verità. Sono un’artista e non costo nulla” [Sempre, p. 12].

Gabriella è profondamente diversa dall’immagine che mostra in palcoscenico: «Lì è una donna forte e decisa – dice Teresa –, ma in realtà era fragile, con una sensibilità che non si può dire. A volte rifiutava delle proposte di lavoro perché magari non si sentiva di andare a cantare quando il cuore piangeva».

Fragilissima, Gabriella: «Sentiva l’arte come un momento di liberazione – dice Teresa – che le permetteva di raccontare quello che aveva dentro di sé». Un’esperienza di studio di se stessa, come ricorda il figlio Seva Jr [Sempre, p. XII]. Scrive innumerevoli poesie, spesso nei momenti di sofferenza, e dipinge ritratti, autoritratti. Scrive su carta da pacco, carta di giornale e poi getta questi ritagli in uno scatolone. Pino Strabioli, lo ha trovato e tutte quelle poesie con i disegni sono stati raccolti e pubblicati nel libro Sempre. Un’ artista a 360 gradi, che vive l’arte come respiro vitale, come il sangue che scorre nelle vene.

Questo le crea un forte conflitto: l’arte come la vive lei non si concilia con le regole dell’industria dello spettacolo che tutto trasforma in merce. “Le mie canzoni avrei voluto tenerle in salvo dal crudele mercato che mette in vendita anche le piccole cose dell’anima”, scrive Gabriella [Sempre, p.5]. «In televisione, per esempio – racconta Teresa –, lei ha sempre rifiutato che gli sponsor reclamizzassero i loro prodotti con le sue canzoni, non ha mai voluto».

Una sera è invitata da Bernardini, il proprietario, a cantare alla Bussola, il famoso locale della Versilia dove andavano solo personaggi ultra famosi, come Peppino di Capri, Ornella Vanoni, Mina, Massimo Ranieri. «C’era un palchetto per l’orchestra, Piero Pintucci era il suo maestro – spiega Teresa –. Davanti stavano tanti tavolini, anche fuori, in riva al mare, dove si consumavano bottiglie di spumante costosissime. Gabriella andò accompagnata da nostro padre. A quei tempi aveva acquistato un pulmino su cui aveva fatto scrivere Orchestra Gabriella Ferri. Viaggiava con il complesso di Vittorio Nocenzi del Banco del Mutuo Soccorso. Quando arrivammo io la accompagnai a comprare un vestito molto semplice, a lei non piacevano i fronzoli. Cominciò lo spettacolo. Il suo repertorio lo si conosceva: Sinnò me moro, Le mantellate, Tanto pe’ canta’. Lei cantava ma intanto in sala c’era un gran chiasso: gente che scherzava ai tavoli, che parlava a voce alta, gente che beveva e mangiava. Pochi quelli che stavano ad ascoltarla. Così, si alzò, sbatté il microfono per terra, chiamò Bernardini e gli disse: Finisci te il concerto, perché io non ho più intenzione di proseguire. E se ne andò in camerino. Bernardini pregò Gabriella di tornare a cantare. Le do un milione di più, le disse. In questo locale non metterò più piede, non è per me, rispose lei. Non voglio neanche il compenso stabilito. Chiamò nostro padre prese le sue cose e tornò a Roma. Questo fatto uscì sui giornali e Bernardini non ci fece una bella figura. É vero, non era colpa sua, ma quello non era il pubblico adatto, non era il pubblico che lei amava, non sono i soldi che fanno l’educazione, il rispetto e la felicità, diceva lei».

Gabriella ha una grande umanità che manifesta in tanti modi: «La mattina andava a fare la spesa al mercato di Campo dei Fiori. Prendeva la verdura in un banco, poi si spostava in un altro e comprava la frutta, in un altro ancora i salumi. Un giorno una giornalista della rivista Sorrisi e Canzoni Tv la intervistò e le chiese: ma perché fai tutto il giro del mercato per fare la spesa? Devono lavorare tutti, disse lei. Gabriella era così: generosa».

Generosa e antifascista. «Pubblicamente non ha mai fatto discorsi politici – dice Teresa –, ma in cuore suo era antifascista. Tanto è vero che quando lavorava al Bagaglino, il primo Bagaglino a Vicolo della Campanella, il proprietario era un fascista e lei gli disse apertamente che non condivideva quelle idee. Scrivevano sul giornale Il Borghese, che era un giornale di destra. Lei gli disse: Non vi azzardare a scrivere niente di me su quel giornale perché io non vengo più a cantare. L’indole sua era quella, profondamente antifascista». Gabriella è anche molto cattolica: «Andava a messa – ricorda Teresa – pregava spesso, tante volte siamo andate insieme».

Dice ancora Teresa: «Gabriella muore il 3 aprile 2004 in seguito alla caduta dalla finestra della sua abitazione di Corchiano per un malore». Diverse testate giornalistiche diedero la notizia di una morte avvenuta per suicidio (l’artista aveva in passato sofferto di depressione dopo la perdita del padre), ma la famiglia smentì immediatamente questa ipotesi. Gabriella, del resto non lasciò alcun biglietto d’addio e come ricorda Teresa avrebbe dovuto partecipare, il lunedì successivo, a una trasmissione di Maurizio Costanzo al Teatro Parioli, a cui teneva molto: «Quella mattina sono stata un’ora e mezzo al telefono con mia sorella e proprio lei mi convinse ad accompagnarla. Ci vediamo lunedì al Parioli alle 13, disse». Quando viene a mancare è sindaco di Roma Walter Veltroni. «Lui fece una cosa di cui sarò grata per tutta la vita – continua Teresa –. Per due giorni Gabriella rimase esposta alla Sala della Promoteca del Campidoglio. Ho chiesto a mio nipote di andare alla sua casa di Campo dei Fiori a prendere tutte le cioccaglie, la bigiotteria come la chiamava lei, e gliele ho messe tutte: collane, braccialetti, orecchini. Il truccatore della televisione l’ha sistemata come se dovesse andare in scena. La sala è rimasta aperta per due giorni, per la grande affluenza, sullo sfondo scorrevano foto di Gabriella e si sentiva la sua voce. A un certo punto mi sono sentita chiamare: era una signora con le stampelle. Io sono venuta da Torino, disse, ho fatto questo viaggio per venire a salutare sua sorella. Francesco Totti mandò un cuore di rose rosse e tutta la delegazione della Roma la ricordò allo stadio. Le celebrarono il funerale d’onore. Per questo dovrò sempre ringraziare Veltroni. Poi, durante le amministrazioni successive, venne organizzato uno spettacolo nel carcere femminile di Rebibbia e si presentò il libro Sempre che raccoglie le sue poesie. Ma è ora di fare qualcosa di concreto per questa grande artista che ha fatto tanto per Roma, si disse. Così, tempo dopo, arrivò la notizia di una grande festa nella piazza di Testaccio dove il sindaco Gianni Alemanno incaricò di apporre una targa sul palazzo sotto la finestra dove noi eravamo nate. Qui è nata la grande artista Gabriella Ferri il 18 settembre 1942, il Comune di Roma per ricordarla, è scritto. Sotto, il ritornello della canzone Sempre. Ora si sta facendo una petizione per intestare a lei una via di Roma. Abbiamo raccolto già tante firme con la speranza che si possa realizzare. É un dovere ricordare una grande artista che ha dato tanto alla città».

“La tua voce è la nostra bussola – scrive Renato Zero –. La certezza che questa è ancora casa nostra” [Sempre, p. XI]. A Gabriella sono dedicate serate, spettacoli, iniziative. Vi è un tributo a lei ogni settimana. «In tante hanno provato a imitarla – dice Teresa – ma è impossibile. Un giornalista una volta scrisse: è inutile cantare la Ferri perché lei aveva un modo solo suo. Quando cantava una canzone, se il giorno dopo la ripeteva, stai sicura che la faceva diversa. Perché la cantava come in quel momento sentiva di esprimersi. Certo, però, è un grande onore quando ricordano mia sorella». Artiste come Giulia Anania con lo spettacolo Bella Gabriella (vedi a https://www.giuliaanania.it/bella-gabriella/), Stefania Rubegni, la grande cantante Tosca, Emy Persiani che da tempo mette in scena lo spettacolo Ferri Ferrissima (vedi a https://www.facebook.com/ferriferrissima/ ).

«Gabriella era del popolo, non della bella gente», dice Teresa. Era anche una ribelle e un’anticonformista. Gabriella ha vissuto sulla pelle la sua personale battaglia contro l’eccessiva mercificazione dell’arte. Contro un pubblico votato solo all’evasione e disattento nel cogliere la magia che si manifesta quando un’artista vera si mette a nudo. Pensiero che si coglie anche da questa breve intervista del 1997.

Le parole di Gabriella Ferri ci richiamano a un impegno: andare oltre la banalità, l’ordinario per cogliere la straordinarietà dell’espressione artistica. Che salva, sconvolge, educa menti e animi. “La musica è sangue che scorre luminoso nelle vene, l’anima vibra, ascoltatela” [Sempre, p. 17].

Chiara Ferrari, coautrice del documentario Cantacronache, 1958-1962. Politica e protesta in musica, autrice di Politica e protesta in musica. Da Cantacronache a Ivano Fossati, edizioni Unicopli