Carolina Francesca Giuseppina Mignone, in arte Milly, nel 1932 (da https://it.wikipedia.org/wiki/Milly_ (cantante)#/media/File:Milly_2.jpg)

Milly, sottile ed esatta, versatile ed essenziale, miracolo di proporzione,

coleottero color di rosa, geroglifico della grazia, stenografa della femminilità”. L’Ambrosiano

Artista poliedrica e dalle innumerevoli sfaccettature, capace di reinventarsi attraversando i generi più in voga nei suoi anni di attività. Dall’avanspettacolo al varietà, dalla rivista all’operetta, fino a Brecht e ai grandi cantautori, passando per il cinema, la radio e la televisione.

Minuta, ma così caparbia da riuscire a costruirsi una carriera gigantesca e impensabile per una donna in quegli anni. Partendo dal varietà, genere in quei primi anni Venti, ritenuto scadente e scabroso. Invece, per lei è stato un trampolino che l’ha proiettata fino in America, in pieno jet set, artista osannata e adorata come poche. Icona di eleganza e di charme senza tempo. Caschetto scuro, stretta in abiti neri attillati, semplici o con sfavillanti paillettes, oppure in camicie trasparenti di voile. Con il boa a scendere dal collo alle spalle, alle braccia, oppure con eleganti sciarpette di seta. A sedurre attraverso un’immagine femminile forte e magnetica. Come la voce che nel tempo si è scurita e le ha permesso di interpretare, con suono profondo e pieno, le grandi canzoni d’autore.

Lei, dall’infanzia terribilmente infelice, tra brefotrofi, lavori saltuari, fame e disperazione. Lei, Carolina Francesca Giuseppina Mignone, in arte Milly.

Nasce ad Alessandria, in una tipica casa di ringhiera. Teresina Monti che preferirà farsi chiamare Emilia, sua madre, è di famiglia umile. Arturo Mignone, il padre, è di livello economico e sociale superiore. Tanto che la sua famiglia osteggerà sempre quel matrimonio celebrato in fretta e furia, con Emilia incinta di sette mesi. Quel giorno, il 26 febbraio 1905, Arturo devono andarlo a chiamare: mentre sua figlia sta nascendo, lui, come altre volte prima, è a divertirsi in uno dei bordelli della città.

Qualche anno dopo verranno al mondo anche Ottone Giuseppe detto Toto e Gaetana Cesira che in arte si farà chiamare Mitì.

Vita precaria quella della famiglia Mignone.

Arturo è uno scansafatiche. Così, il padre di Emilia, per cercare di responsabilizzarlo e coinvolgerlo in un’attività imprenditoriale, si butta nell’impresa di un’azienda di cappelli. Azienda cui dà lo stesso nome della famosa Bossalino. L’esito non può che essere catastrofico: una causa in tribunale per utilizzo di un marchio registrato e il conseguente fallimento.

A rendere ancora più drammatica la situazione ci pensa il Mignone, che se ne parte per l’Argentina da un giorno all’altro, abbandonando moglie e figli. Verrà ritrovato da Toto, per caso, molti anni dopo durante un viaggio. Diventato Direttore Amministrativo della Ferrovia Argentina, non avrà mai alcun interesse a rivedere i suoi figli.

Per pietà verso questi piccoli è il proprietario della Bossalino a prendersene cura. Emilia, immaginando per loro un futuro roseo, accetta. Ma il grande collegio dove spera che i suoi figli vengano educati altro non è che un brefotrofio. Anzi due, dal momento che Toto viene diviso dalle due sorelle.

Eppure lei ha già deciso: mamma Emilia da questo momento non si occuperà più dei figli. Dovendo sbarcare il lunario si inventa soubrette. Si fa chiamare Milly e si esibisce nei teatrini della provincia piemontese. Mestiere disdicevole, a raggranellare poche lire. Totale abbandono dei figli.

Carolina, che tutti chiamano Carla, ha solo cinque anni, ma si prende cura della sorellina. In collegio si canta durante le funzioni religiose. Sono le suore, per prime, a riconoscere in lei la voce di un angelo.

Da http://francescomariacolombo.com/milly/

Poco dopo, però, il proprietario della Bossalino interrompe i pagamenti della retta dei collegi e i fratelli Mignone tornano dalla madre ad Alessandria, a condurre una vita di stenti. A Natale non c’è nulla da mangiare se non un gambo di sedano. Emilia cerca di mantenere la famiglia come soubrette, ma a poco serve trasferirsi a Torino. Benché piazza importante per gli spettacoli di varietà, il guadagno è sempre misero. Anche i ragazzi si danno da fare per portare a casa qualche soldo. Soprattutto dopo che Emilia, di punto in bianco, scompare dalla loro vita. Sparisce, se ne va, abbandona quei figli, senza mai mandare loro nemmeno un centesimo. I ragazzi non si danno per vinti e tutti e tre trovano un impiego, come operai, come garzoncelli, come tuttofare.

La carriera di Carla parte proprio da qui, da un lavoretto come cassiera al teatro Iris. Ha sedici anni e il signor Prato, che si occupa di scritturare gli artisti, la nota e le chiede se vuol fare un’audizione. Pronti via viene scritturata come soubrette per dodici lire al giorno. Con lei ci sono anche Toto e Gaetana, che Carla riesce a far ingaggiare. Sceglie come nome d’arte quello della madre, Milly, che in poco tempo compare nei programmi dei teatri di varietà più famosi di Torino. Certo, quel mestiere non dà una gran fama e quando le capita di scendere al sud, le ragazze del varietà come lei vengono accolte al grido di: “li puttani, li puttani” [Paola, Castellano, Milly, la vita di Carla Mignone, p. 27].

Essere ballerina di fila nella nuova forma di spettacolo, la rivista, appare meno sconveniente. Infatti, in questo genere, si affermano le prime grandi dive come Teresa Ferrero, in arte Isa Bluette, primadonna di Sarà quel che sarà di Calandrino. È con lei che la rivista diventa un moderno cabaret con numeri a sfondo satirico, umoristico, sulla società e sulla politica italiana. Uno spettacolo innovativo che soppianta sia il varietà, costruito su numeri senza filo logico, e l’operetta, ormai genere superato. È una talent-scout, la bellissima Isa Bluette, e una sera predice a Milly che avrà molto successo.

Insieme ai due fratelli, che nel frattempo hanno imparato a danzare il tip tap e a cantare, il trio Mignone si barcamena tra spettacoli nei locali romani e attività di intrattenimento.

Il poeta Trilussa ogni tanto è tra il pubblico. E c’è anche la grande Maria Annina Laganà Pappacena che organizza la Grande Rivista Italiana, sul modello delle revues francesi, e lancia la moda di abiti aderentissimi per il suo corpo longilineo, diverso dal modello delle formose soubrette francesi. Su quei vestiti indossa sempre un lungo filo di perle. Canta Addio signora e Vipera, come solo lei sa fare. E poi le canzoni delle primedonne non può cantarle nessun altro. Brani importanti che anche Milly interpreterà quando sarà lei la primadonna. Sia Vipera

che Addio signora.

Il trio Mignone si fa conoscere, tanto che il loro nome arriva alle orecchie di mamma Emilia, che un bel giorno si rifà viva e viene accolta dai tre figli con immutato affetto. Diventerà l’amministratrice unica dei loro compensi. Che cominciano a crescere. Tra il 1923-’24 i fratelli sono in tournée a Milano, all’Apollo, al Trianon. E poi a Roma, all’Eliseo. Infine a Napoli, dove al Salone Margherita si esibisce Elvira Donnarumma, la più grande interprete della canzone napoletana, primadonna del Cafè Chantant. Il Salone Margherita, tempio del varietà italiano, brilla di Belle Époque. Calcano quelle scene personaggi come Ettore Petrolini, la Bella Otero, le ballerine del can-can. Milly salirà su quel palcoscenico ogni volta con sempre maggior sicurezza. Tempo dopo, sempre a Napoli, lavorerà perfino con Eduardo De Filippo. Nella città partenopea i Mignone alloggiano alla Pensione degli Artisti, luogo in cui la soubrette Luisa Carmagnola si era tolta la vita per amore di Antonio De Curtis, Totò. Milly, invece, è in piena carriera, non ci sono uomini che le fanno perdere la testa. Lavora, studia, viaggia. Sarà scritturata nella Compagnia “La Nuovissima” insieme ai fratelli, debuttando come soubrette in numerose riviste: Il dito di Giove, Diavoli rosa e Minorenni a noi! È il grande momento del Teatro di Varietà. Lo stesso Tommaso Marinetti, già nel 1909, nel suo Manifesto del Futurismo, esaltava le qualità di questo genere, rilevandone il carattere di attualità. Per la capacità di divertire e interessare il pubblico coinvolgendolo, per la sua modernità e nel saper ironizzare sulla società contemporanea: “Il Teatro di Varietà – si legge – è la sola scuola che si possa consigliare agli adolescenti e ai giovani d’ingegno, perché spiega in modo incisivo e rapido i problemi più sentimentali, più astrusi e gli avvenimenti politici più complicati”.

Per Milly ogni giorno è un debutto nuovo. Al teatro Parco Michelotti di Torino la sera va in scena uno spettacolo diverso e Milly canta canzoni che faranno epoca. Sono scritte dal duo Ripp e Bel Ami, come Creola, Signorine da marito ed Era nata a Novi.

Una di quelle sere va ad ascoltarla persino il Principe Umberto, futuro Re d’Italia. Assiduo protagonista di eventi mondani, la stampa lo definisce Principe Charmant per l’eleganza, lo stile, il fascino. Umberto torna più volte a vedere lo spettacolo di Milly e una di queste le manda in camerino un fascio di rose rosse. Nei giorni successivi, un impiegato di Casa Reale si reca a casa della bella soubrette: il Principe vuole una sua fotografia autografata. Poi finalmente arriva la richiesta di un incontro. Umberto la andrà a prendere con la Isotta Fraschini nera, con la raccomandazione di non dare troppo nell’occhio. Da quel momento inizierà per lei un periodo di corse in macchina, di feste in abiti eleganti, di cene galanti e di balli. Milly è entrata nel cuore del Principe e per lei si spalancano anche le porte della residenza estiva dei Savoia dove le viene chiesto di esibirsi per l’onomastico della Regina Elena. Questo, fino a quando, cambiati i tempi, a Umberto la famiglia impone il fidanzamento ufficiale con Maria José, figlia dei sovrani belgi. Nei patti anche la rinuncia all’amicizia con la giovane soubrette.

Non solo il principe è tra quanti restano affascinati dal carisma e dalla bellezza di Milly. C’è anche un giovane scrittore, ai tempi studente universitario, che assiste ai suoi spettacoli e le scrive innumerevoli lettere. Lettere che lei non leggerà, requisite da mamma Emilia, che le passa solo quelle di uomini importanti, facoltosi, che possono avvantaggiare la sua carriera. Per gli altri nessuna possibilità. Neanche per il giovane Cesare Pavese che così le scriveva: “Io la conosco, signorina, la conosco, ripeto, ma così, di sfuggita, l’ho seguita, l’ho osservata a lungo, talvolta, ma senza mai osare avvicinarla. Conosco le sue linee esteriori, qualche istante della sua vita e soprattutto quel po’ di anima che da un viso si può rivelare a un osservatore attento. Ma è poco, signorina, al confronto dell’immensità di ciò che vorrei conoscere in lei. Io non sono che un comunissimo studente di 19 anni e lei è lontana, tanto lontana” [Milly, la vita e la carriera di Carla Mignone, p. 65].

Solo dopo il suicidio dell’autore di La luna e i falò quelle lettere verranno pubblicate e rese note. Solo allora Milly scoprirà dolorosamente di non aver mai potuto rispondere a quel giovane. Se l’avesse fatto, forse, quella tragedia non si sarebbe compiuta. In sua memoria inserirà nel repertorio la canzone Ricordo di Cesare Pavese scritta da Mario Pogliotti per Cantacronache, conosciuta anche come Un paese vuol dire non essere soli.

Gli anni di Torino sono comunque fervidi per Milly che ottiene grandi successi con ognuna delle compagnie in cui è scritturata, dalla Fiandra, alla Za Bum. Quest’ultima, fondata da Mario Mattòli e Luciano Ramo nel 1928 è una di quelle che rivoluzioneranno il genere della rivista per le incredibili idee scenografiche. La sera della prima di uno spettacolo, al Dal Verme un piccolo aeroplano lascia cadere sul pubblico cestini di fragole agganciati a dei paracadute. Una grande orchestra suona una colonna sonora continua che accompagna sia artisti di prosa che di rivista. A differenza del Cafè Chantant, più improntato sulla provocazione e sull’esibizione della nudità, al Dal Verme si allestiscono spettacoli eleganti, dalla comicità meno volgare. Il successo è strepitoso e Milly viene acclamata come “la più giovane e quotata tra le attrici italiane di rivista” [Milly, la vita e la carriera di Carla Mignone, p. 75].

Poco dopo a Milano viene ingaggiata come la soubrette principale nello spettacolo di Varietà Za Bum. Per quest’evento i fondatori della compagnia scrivono una canzone che sarà un successo senza tempo, Stramilano, un complicato scioglilingua che racconta la città, nuova metropoli, con i suoi cambiamenti urbanistici.

Alla fine degli anni Venti arriva in Italia una delle compagnie teatrali viennesi più importanti, quella dei fratelli Schwartz. Quando vogliono lanciare l’operetta Al Cavallino Bianco, per l’allestimento italiano, i due pensano a Milly. Suo il ruolo di Ottilia. Nella compagnia si lavora tantissimo, ci sono regole ferree, le ballerine viennesi sottostanno a una disciplina rigidissima. Il debutto al Teatro Lirico di Milano, il 3 novembre 1931, si rivela un grande successo personale di Milly, coronato da applausi e standing ovation.

E poi arriva il cinema. L’Istituto Luce, fondato negli anni Trenta per realizzare cinegiornali e film a scopo propagandistico per il regime fascista, poco a poco dà spazio anche a un diverso tipo di produzioni, ovvero film leggeri, denominati “dei telefoni bianchi” perché ambientati in contesti borghesi dove andavano di moda telefoni di quel colore. I suoi inizi nel mondo della pellicola sono segnati da film come Tre uomini in frac al fianco di Eduardo, Peppino De Filippo e Tito Schipa. Seguiranno diverse produzioni in cui Milly risalta come interprete spigliata e divertente, protagonista anche del nuovo genere cinematografico, la commedia musicale.

Continua, nel frattempo l’attività teatrale e nel 1932 è protagonista nella rivista Domani dove con la sua voce tintinnante canta Ram Pam Pam:

Di quegli anni sono anche Dicevo al cuore

e Caterinette.

Registra, nel 1932, il suo primo 78 giri per l’etichetta discografica Columbia. Tra i brani ci sono Soli, soli,

Ombre,

Ah! Lulù

Nella rivista La brutta ragazza, invece, Milly canta Tango nel cuore.

La sua vita è un continuo fermento e se nel teatro è ormai un’attrice affermata, se il cinema le regala nuovi ruoli, se incide fortunati dischi 78 giri, tappe fondamentali nella sua vita artistica sono senz’altro i successi fuori dall’Italia, a Parigi prima e in America poi.

A Parigi Milly è dal 1935 dove si esibisce come chanteuse nei locali più chic della capitale. Lo spettacolo è la sua vita. Quando rimarrà incinta di un facoltoso banchiere, infatti, non ci penserà due volte ad abortire.

Così a Parigi lei diventa la cantate principale dello Shéhérazade dove ogni sera ammalia il pubblico cantando Violino tzigano. Qui, in un’interpretazione da C’era una volta ieri del 1970.

La chiamano la petite italienne e lei è il modello di donna libera, emancipata e di grande talento. Tanto che basta una sua interpretazione a convincere il proprietario di un locale newyorkese, di passaggio a Parigi, a scritturarla per uno spettacolo in America. Un lavoro di soli sette giorni, ma Milly, che pure non conosce una parole di inglese, non si intimorisce e senza pensarci troppo si imbarca.

Laggiù, si esibisce al Rainbow Room, al 54 piano del Rockfeller Center, locale molto ben frequentato: industriali, divi dello spettacolo, personaggi del jet-set. Quella prima settimana in America è vorticosa e il successo di quella rappresentazione la incoraggia a fermarsi. Ci resterà per quindici anni, lavorando assiduamente. Porterà in giro i suoi recitals nelle maggiori città americane, nei locali più prestigiosi come il Savoy Plaza di New York. Sarà ospite di Roosvelt alla Casa Bianca e conoscerà alcune tra le persone più facoltose d’America, come i Du Pont, fondatori dell’omonima fabbrica chimica.

Louisa Carpenter Du Pont è una donna straordinariamente libera, la prima a ottenere il brevetto da pilota d’aereo. È una donna che intrattiene amicizie e relazioni amorose con le attrici e le cantanti più affascinanti di quegli anni. Non può che innamorarsi perdutamente della giovane piemontese. Milly otterrà il passaporto americano, successivamente la cittadinanza e si stabilirà nella tenuta di famiglia Du Pont, nella Contea di New Castle.

Non manca in questo periodo di esibirsi nei più noti locali americani, frequentati da personaggi come Duke Ellington, Clark Gable, Cole Porter. Ma ancora per poco, perché Louisa, per gelosia, fa di tutto per ostacolare la sua carriera. Tra alti e bassi, così, quella relazione si chiude con il ritorno di Milly in Italia. È il 1948. La guerra appena finita, un’Italia nuova e diversa, la democrazia tutta d’un tratto, altri generi di spettacolo che intrattengono gli italiani. Del varietà e della rivista sono rimaste poche tracce. Lei, simbolo di un’Italia sorpassata, quella dei Savoia e della Belle Époque, deve ricominciare tutto da capo.

Non si dà per vinta e nel 1949 torna alla ribalta con la rivista Quo vadis al teatro Nuovo di Milano, ottenendo ancora un grande successo. Di lei Pia Rame dirà: “Quando appariva in scena c’era sul palco un enorme pianoforte a coda e un grande cesto di rose alto quanto lei. Quando il pianista iniziava a suonare, lei usciva dall’enorme mazzo di fiori cantando col suo charme, il suo fascino, la sua eleganza. Lei aveva un’eleganza non teatrale, ma da vera signora” [Milly, la vita e la carriera di Carla Mignone, p. 121].

Fare la soubrette, però, non è più il ruolo che le si addice, è cresciuta artisticamente e non ha nemmeno più l’età per quel tipo di esibizioni. Partecipa a diverse produzioni teatrali, ma la vera svolta arriva quando Giorgio Strehler la scrittura per una parte nello spettacolo L’opera da tre soldi di Bertold Brecht, allestita, con la sua regia, al Piccolo Teatro di Milano, da lui diretto con Paolo Grassi. Una scelta coraggiosa mettere in scena la drammaturgia di Brecht, ma la funzione del Piccolo Teatro, in quegli anni, è proprio quella di operare una ricostruzione culturale in un’Italia avvilita dal recente conflitto bellico. “Mi ha insegnato la dignità di lavorare nella società e per la società – dirà Strehler a proposito del teatro di Brecht –, dentro la storia e i problemi del mio tempo”. [Milly, la vita e la carriera di Carla Mignone, p. 130]. Il tema del riscatto sociale, così forte in Brecht, andava di pari passo con una grande sensibilità poetica e tanta umana verità. Così, per l’opera di Brecht con le musiche di Kurt Weill, Strehler ha le idee chiare, cerca artisti che sappiano recitare e cantare, artisti di grande carisma che possano comprendere quella drammaturgia: storie dei reietti della società, gli ultimi e gli emarginati. Milly è perfetta, ha girato il mondo, conosce diverse lingue, è un’artista internazionale. Solo, il varietà, da cui proviene, non contempla quelle storie popolari. Milly viene scritturata per il ruolo di Jenny delle Spelonche, ma dovrà lavorare duramente.

Eccola nella Ballata di Mackie Messer,

interpretata anche nella trasmissione La prova del 9 (1965)

e nella ballata rivoluzionaria Jenny dei Pirati.

Con Tino Carraro, invece, duetta in La Ballata del magnaccia.

È una prima trionfale, quella del 10 febbraio 1956. Vi assiste addirittura Bertold Brecht in persona. Su L’Unità scrive Giulio Trevisani: “Quando ho ascoltato Milly, ho avuto l’illusione che il tempo non fosse passato. In qui toni caldi, in quei silenzi espressivi, in quelle suggestive e penetranti sfumature io sentivo ancora viva e giovane quella Milly che fu asso della rivista, e fin da allora raffinata attrice drammatica. Essa è stata uno dei più degni protagonisti” [L’Unità, 11 febbraio 1956].

Per Milly si apre una seconda vita artistica. Che si impenna con la sua partecipazione allo spettacolo Milanin Milanon (1962), una rassegna di canzoni popolari milanesi dall’Ottocento fino agli anni Sessanta, con la regia di Filippo Crivelli e Roberto Leydi a curare la parte musicale. Nel cast ci sono Sandra Mantovani, Anna Nogara, Tino Carraro, Enzo Jannacci. E Milly, che spicca nell’interpretazione di canzoni a lei care. Come La reuda la gira,

Nostalgia de Milan,

Canzun de quand s’eri giuvina, qui al Teatro Gerolamo di Milano nel 1972

e La brutta città.

Lo spettacolo piace così tanto che verrà ripreso nel 1973 e nel 1976. È questa la nuova Milly che tutti adorano, interprete popolare, sincera e intensa. Poco dopo, infatti, inaugura al teatro Gerolamo un suo recital, intitolato Le canzoni di Milly, che porterà in giro per molto tempo. Tra le tante canzoni spiccano: Capriccio,

Semplicità,

Albero di periferia,

A quell’om di Ivan della Mea dedicata a Elio Vittorini, cantata dal vivo nella trasmissione Rai Adesso Musica.

Ma non finisce qui. In televisione stanno trasmettendo un programma che si chiama Studio Uno. Ci sono Mina, Lelio Luttazzi, Paolo Panelli, le gemelle Kessler.

Il regista Antonello Falqui fa di tutto per avere anche Milly, che alla fine accetta. In ogni puntata le viene dedicato uno spazio per interpretare canzoni degli anni Venti, Trenta e Quaranta.

Brani molto noti come, per esempio, Ma l’amore no.

L’esperienza televisiva è importante, Milly se ne rende conto, in tanti possono conoscerla e riascoltare le canzoni di un tempo, ma lei si sente ingabbiata in un passato che le sembra un’etichetta. Lei, che ora interpreta i grandi cantautori, lei che ha cantato Brecht e Weill, Edith Piaf, il Leo Ferrè di Si tu t’en vas.

E poi Boris Vian e Prevert; lei che ha così lavorato per non essere solo il ricordo del tempo che fu. Non le piace quell’immagine di donna démodé che le viene costruita addosso. Anche se in molti apprezzano il suo stile fuori dal tempo: “Piomba con le sue rughe – scriveva, infatti, Oriana Fallaci – il suo fascino alla Marlene, camminata aggressiva e sguardo sprezzante, canta due o tre canzoni démodé, se ne va: spalle all’indietro, testa alta, lasciandoci sempre un po’ sbalorditi” [L’Europeo, 25 maggio 1965]. Così, all’edizione successiva Milly preferirà non partecipare. Ma la televisione le offre altre possibilità: lo sceneggiato Una sera con Guy de Maupassant (1967), e La famiglia Benvenuti con Enrico Maria Salerno e Valeria Valeri, fiction ante litteram. E soprattutto la trasmissione, con la regia di Filippo Crivelli, Spettacolo a Milano dove torna a interpretare il repertorio delle canzoni popolari. Brani come L’era alegra tucc i dì.

A teatro, invece, partecipa allo spettacolo di Peter Weiss L’istruttoria, allestito al Piccolo Teatro di Milano con la regia di Strehler. Non smette di lavorare nemmeno per il cinema dove registi come Patroni Griffi la coinvolgono in Metti, una sera a cena con Florinda Bolkan, Jean.Louis Trintignant; o Bernardo Bertolucci che la scrittura per una parte in Il teatrino di Jean Renoir.

E con la sua voce, scura e piena affronta brani importanti come Appena ieri di Rodolfo Traversa (D’Amore e di Libertà, 1972),

fino a quelli di grandi cantautori e compositori. Come la Guerra di Piero di De Andrè,

Lontano Lontano di Luigi Tenco,

Autunno a Milano di Piero Ciampi,

Il cantico dei cantici di Mikis Theodorakis.

Tra il 1974 e il 1975 è protagonista anche di una trasmissione radiofonica, il radiodramma La vita di Coco Chanel. Ma è la canzone il suo mondo e quando Paolo Grassi le propone un nuovo recital non si tira indietro. Si intitola Canzoni come costume, canzoni come civiltà: 120 canzoni italiane, tedesche, francesi, uno spettacolo di due ore filate. Quando si apre il sipario e Milly appare sulla scena in controluce, ancora prima di cantare scattano otto minuti di applausi, qualcosa che neanche lei in quel momento può immaginare. Canta i suoi cavalli di battaglia: Come pioveva,

L’uomo è fumator,

o la famosa Chi siete?

E poi Cara piccina, Le rose rosse di E.A. Mario, brani dall’Opera da tre soldi e da Happy End di Weill, come Surabaya Jonny,

fino a Morirò a Buenos Aires. In chiusura, un brano che resterà emblematico della sua vocalità e del suo fascino: Rinascerò nell’anno 3001, versione italiana di Preludio para el año 3001 di Astor Piazzolla.

Un successo che ottiene enormi riscontri anche all’estero, quando nel 1978 Milly viene chiamata con il suo recital al Festival di Berlino, in rappresentanza dell’Italia. Anche lì, lei è un monumento.

È ancora alle prove per lo spettacolo Le canzoni dei ricordi diretto da Filippo Crivelli quando le viene diagnosticato un cancro. Morirà poco dopo, il 22 settembre 1980.

Una vita strabiliante, la sua, che fino all’ultimo l’ha impegnata sul palcoscenico a cantare e recitare. Che fino all’ultimo le ha restituito, come solo alle grande dive è concesso, l’enorme calore di un pubblico osannante: “La grande signora della canzone italiana – si leggeva su Die Welt – aveva riportato la sua vittoria a Berlino. I bis sono stati strappati alla cantante perché il pubblico, che ormai aveva provato gusto all’ascolto, era diventato così pressante con mani, piedi, entusiasmo e fiori, tanti, da trasformare il desiderio in pretesa” [Die Welt, 3 giugno, 1978].

Una donna che ancora oggi sorprende per carisma, carattere e assoluta modernità. Come emerge da questa sua intervista per la trasmissione Rai Ieri e Oggi.

Chiara Ferrari, coautrice del documentario Cantacronache, 1958-1962. Politica e protesta in musica, autrice di Politica e protesta in musica. Da Cantacronache a Ivano Fossati, edizioni Unicopli