Nell’invenzione del ragionier Fantozzi e delle sue sventure, Villaggio ci lascia – al di là del ritratto buffonesco – una graffiante caricatura del potere capitalistico, l’icona indovinatissima della gerarchia aziendale, col suo capo tracotante e la marea dei sottoposti servi che chinano la testa. Fantozzi non ne azzecca una, la sua sottomissione all’autorità, accompagnata da un segreto mugugno, non basta a salvarlo dalle punizioni. Quando si ribella debolmente e nell’occasione sbagliata i suoi gesti sono destinati all’insuccesso. Le sue sporadiche rivolte sono come bolle di sapone. È un perdente, ma è maschilista con la querula moglie Pina, mentre coltiva sogni romantico-libidinosi corteggiando, invano, la furba e smaniosa segretaria Silvana. Poi si defila da ogni corresponsabilità per la figlia Cita, anomala e scimmiesca. Eppure a suo modo è un sognatore e nasconde remoti desideri di giustizia che non è in grado di attuare. Ama smodatamente il calcio, e il suo cedimento totale di fronte all’apparecchio televisivo durante i campionati mondiali è emblematico. Al punto di preferire il culto fanatico dello stadio alla cultura cinematografica. Lo dimostra la celebre stroncatura del classico di Eisenstein “La Corazzata Potëmkin”. La battuta “È una cagata pazzesca” ha fatto ridere mezzo mondo ma è anche una cartina di tornasole a proposito della sottocultura nazionale.
Per sua stessa confessione, Villaggio ha caratteristiche e legami col suo personaggio, che pure ha precedenti nella “travettistica” letteraria. Da uomo colto, non potevano sfuggirgli le taglienti descrizioni di De Marchi, Cecov, Gogol, Pirandello, da cui certamente ha attinto; le descrizioni degli umori e reazioni dei dipendenti degli uffici, sottoposti, patetici, obbedienti, tremanti, vittime della scala burocratica su cui infuriano i capricci dei superiori e che covano impotenti rancori.
Villaggio racconta di sé che era timido, invidioso, meschino e bruttino ed era stato eletto “il brutto della scuola” per il suo fisico sgraziato. In lui ci fu sempre uno spirito di rivalsa, ma accanto all’intelligenza, aveva anche una doppiezza. Amava la ricchezza, la vita agiata, i trionfi, una morte plateale e un funerale grandioso, si divertiva a sparlare degli amici nei salotti, diceva e consigliava bugie (“Inventatevi la vostra biografia e ci crederete anche voi”).
La scelta del successo, alla fine, sarà a scapito dell’approfondimento di valore: in altra direzione, quella del cinema d’autore, la sua filmografia avrebbe potuto conquistare vette all’altezza delle sue possibilità creative.
Serena D’Arbela, scrittrice, traduttrice, giornalista
Pubblicato giovedì 20 Luglio 2017
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