Diverte e fa pensare L’ardore dei timidi del regista Antonio Vladimir Marino. Un esordio nel lungometraggio dopo quattro fortunati e premiati corti, per il regista e sceneggiatore napoletano nato a Mosca, classe 1968, traduttore in lingua russa per il cinema e il teatro, e avvocato penalista con la passione per il grande schermo.

Una delle scene iniziali de “L’ardore dei timidi”

Cinque storie per un film a episodi dove si raccontano vizi, nevrosi e ipocrisie come nei grandi titoli della commedia all’italiana che tra gli anni 50 e 70 richiamavano nelle sale intere famiglie. Ma non sono dei borghesi piccoli piccoli i protagonisti della pellicola, colti quasi in medias res dall’obiettivo di Marino, bensì donne e uomini che hanno fatto scelte con convinzione. E di fronte ai bivi e alle prove della vita quotidiana c’è la mettono tutta per non smottare.

La cinepresa, con la fotografia firmata da Antonio Iodice, Angelo Sorrentino, Gennaro Visciano e Rosario Cammarota, registra reazioni inaspettate. Autore delle musiche è Giuseppe Sasso, che ha composto le colonne sonore di alcune tra le produzioni cinematografiche nostrane più significative degli ultimi tempi.

Nei 117 minuti girati in tre anni (il primo ciak è del 2018) grazie a una leggerezza intelligente, unita a storie un pizzico surreali, si affronta la precarietà nel lavoro, l’uso e l’abuso dei social, il razzismo e le relazioni interpersonali, la chirurgia plastica, il denaro e la follia del lusso cercato a ogni costo.

Tra i protagonisti (interpretati da un cast di bravi attori e attrici) ci sono Mario, imprenditore quarantenne che produce protesi per seni; Sergio, giornalista precario; Eugenia, Cristiana e Alessandra, tre amiche che combattono la solitudine a modo loro; Bruno e la famiglia andata a vivere in campagna, lontano da ogni tecnologia, con un terzo bimbo in arrivo; Lelio e Sandra, una coppia di prof a cui il figlio chiede aiuto di nascosto per superare un esame a scuola. E poi i paesaggi, bellissimi e mai scontati, in scene girate nel Sannio, a San Marco dei Cavoti, a Torre del Greco e a Napoli.

Che fareste voi nei panni di un cronista precario se il direttore del giornale vi chiedesse un pezzo per celebrare l’Unità d’Italia con una foto del primo bebè dell’anno che mostri il nuovo italiano (non ditelo alla Meloni) capace di cambiare il Paese? Sergio va in ospedale e si ritrova costretto a scartare l’infante del record perché femmina e poi un maschio pur italianissimo: “un cioccolatino?, un nero? scherziamo!?”.

Timide, anzi timidissime, le tre amiche: tutte hanno vissuto una grande fregatura sentimentale o si districano tra separazioni e divorzi per professione, come l’avvocata matrimonialista Eugenia o l’aspirante scrittrice Cristiana, ma hai voglia a imitare le ragazze di Sex and the city, e così quando decidono di festeggiare con una notte brava la promozione di Alessandra i comportamenti da donne emancipate si liquefanno per far posto a emozioni del cuore degne di un romanzo di Liala.

A mostrare coraggio e coerenza sono solo le persone forti della loro timidezza, che forse Pasolini avrebbe definito “timidità” in rispetto di una condizione umana da proteggere, perché esitazione, ritrosia, impaccio e pudore non sono frutto di viltà, bensì della capacità di ascolto, per capire e poi agire, e bene, senza clamore. E se un altro filo conduttore c’è tra le vicende proposte è l’ironia dello sguardo che al contempo, ed è una delle magie che incantano, è sempre amorevole, non giudica, mai.

Bruno ha abbandonato una promettente carriera da legale per fare il contadino, scommettendo tutto sulla terra ereditata dai padri. Per lui il futuro è green. Coerente, non si fida della tecnologia, tanto da affidare a un piccione viaggiatore la richiesta urgente di una visita del ginecologo per la moglie in dolce attesa, mentre gli altri alla prima complicazione si rivelano disposti ad abiurare ogni ideale. Unicamente per aiutare il fratello, un manager che pur sommerso dai debiti giammai rinuncerebbe alla costosa auto sportiva, Bruno, personaggio determinato, dolcissimo e generoso, è disposto a vendere i terreni aviti.

Ma a questi timidi non capita di dover ribellarsi, alzare la voce per difendere idee, mondi, visioni?

Sarà Lelio, insegnante di letteratura, a reagire nell’ultimo episodio, e a riscattare il diritto di insorgere. Quando il figlio Emidio, nascosto nel bagno della scuola, dal cellulare chiede la soluzione di un quiz e la madre Sandra, prof  di matematica, gliela passa con l’aiuto di Wikipedia, Lelio ha un furioso moto d’indignazione: basta gettare nel cesso il valore della cultura sacrificandola alla mediocrità dei social network.

Insomma il film trae ispirazione dalla vita vera, la sequenza iniziale del primo episodio per esempio è nata da un piccolo fatto “insignificante” riportato da un trafiletto di giornale: “A Torino – ha scritto Marino nelle note di regia – un barbone si lanciava nel fiume per salvare una ragazza sotto lo sguardo dei presenti. Fui molto colpito dalla potenza delle emozioni che poche righe riportavano: dalla volontà di morte alla volontà di salvezza. Il resto è osservazione di scene di vita in strada e nei mezzi pubblici”.

E in tempi di uso politico della paura, calata persino negli avvenimenti più minuti dell’esistenza, L’ardore dei timidi ci fa misurare il nostro grado di umanità, che non può prescindere dal rispetto della dignità di ogni persona, anche di noi stessi.

Al centro, accovacciato, il regista Antonio Vladimir Marino con l’attrice Giusy Emanuela Iannone, il direttore della fotografia Rosario Cammarota e l’aiuto regia Marcello Vitiello

I riconoscimenti al film non si sono fatti attendere – con i passaggi nelle edizioni 2021 di Tiburon International Film Festival, Ischia Film Festival, Inventa un film, Corto e a capo, oltre alla partecipazione ai David di Donatello – prima dello sbarco in sala quest’anno. Noi l’abbiamo visto a Roma, al Nuovo Cinema Aquila, in un quartiere che nella stagione neorealista divenne un set a cielo aperto. Lì c’è la strada dove Rossellini girò la scena di Anna Magnani che corre e grida “Francesco, Francesco…” e viene sparata dai soldati nazisti in Roma Città Aperta, ha ricordato il regista Antonio Vladimir Marino presente alla proiezione. E intorno i luoghi prediletti da Pasolini per ambientarvi Accattone, la via dove abitava Il ferroviere di Germi, e pullulavano le baracche ne Il tetto di De Sica.

Forse di fronte a una guerra che sta facendo tentennare pure le menti più avvedute, allontanando l’impegno per una trattativa che porti finalmente alla pace, così come all’armamentario trionfalistico della destra in campagna elettorale, i piccolissimi gesti di tanti timidi potrebbero smentire pronostici e sondaggi.

Ecco, L’ardore dei timidi è una comédie humaine dei nostri giorni, il ritratto dolceamaro, alieno da ogni sarcasmo, di una realtà che speriamo non si trasformi in tragedia.