Un evento importante dal 75° Festival del cinema di Venezia: Il Leone d’oro alla carriera assegnato a Vanessa Redgrave. Omaggia non solo il suo impegno di attrice (un’ottantina di film e trentacinque per la tv, nonché numerosi spettacoli teatrali), ma anche quello umano e sociale verso le vittime del cinismo guerrafondaio internazionale. Fin dagli anni 60 sono note le sue prese di posizione contro la guerra del Vietnam. Nel 2004 è tra i fondatori del partito Peace progress party, condanna la Guerra del Golfo, si interessa attivamente alla questione palestinese, alle vicende di Cuba e alla sorte dei ceceni. Continuerà fino ad oggi presente a schierarsi in difesa dei diritti umani.

La carriera di Vanessa, figlia di attori, parte dalla danza ma, ballerina troppo alta di statura, la vediamo dopo alcuni anni di prova abbandonare il campo per il teatro. Sarà una grande passione, Sul palcoscenico apprende e interpreta con successo la lezione magistrale di Shakespeare.

Poi verrà il cinema per il grande schermo e per la tv. Dopo il debutto in Blow up (1966) di Michelangelo Antonioni, film icona sull’ambiguità del reale, lavorerà con importanti registi, come Lawrence Olivier, Karel Reisz, Tony Richardson, Elio Petri, Ken Russel, Sidney Lumet, Joseph Losey, Fred Zinnemann, James Ivory, Tinto Brass, Brian de Palma, Brendan Foley, Ralph Fiennes. E ancora Al Pacino, Tim Robbins ed altri. Incontrerà sul set del film Camelot di Joshua Logan, l’attore Franco Nero. Tra Ginevra e il cavaliere della Tavola rotonda nascerà un legame durevole interrotto e ripreso negli anni, un figlio, alcuni film e alla fine il matrimonio. Parallelo l’attivismo di entrambi sull’arena sociale.

Il Premio a Cannes come migliore attrice (1966) nel film Morgan matto da legare (Reisz) rivela il suo talento interpretativo nel personaggio di Leony: una donna incerta tra l’impulso affettivo e la ragione borghese di fronte a un marito bizzarro e anticonformista che, simbolo degli anni 60, infrange tutte le regole del quieto vivere.

Ma è nel 1977, con Julia di Zinnemann che vince l’Oscar come migliore attrice non protagonista, accanto a Jane Fonda. La storia intensa delle due amiche separate da un periodo rovente e a tratti ricongiunte, ci riporta all’Europa devastata dal nazismo e a un legame avvincente capace di sfidare le avversità.

Giulia ha un carattere entusiasta, il suo drammatico destino nella morsa della persecuzione razziale e la sua vitalità ribelle rivivono nel romanzo autobiografico Pentimento di Lillian Hellmann su cui si basa il film.

Tra le tante figure di un variegato universo femminile da lei interpretato (la sognatrice Nina del Gabbiano (Lumet) la trasgressiva Mary di Dropout (Brass) l’inquietante madre Giovanna degli Angeli de I diavoli (Russel), l’intrepida Helen fragile anziana del coro in Una canzone per Marion di Williams) spiccano personaggi forti e speciali come la Duncan in Isadora (1968) Maria Stuarda regina di Scozia (1971) e Volinia madre dello sprezzante condottiero romano in Coriolanus (2011) di Fiennes.

Ed ecco la sua entrata in campo come regista. Avviene non a caso con Il dolore del mare (2017) docufilm (prodotto dal figlio Carlo Nero). Il lungometraggio apparso a Cannes, alla Festa di Roma e nelle sale in occasione della Giornata del rifugiato nel giugno scorso, riassume la sua coerenza ideale. In una linea di continuità tra presente e passato, questo viaggio tra Grecia, Libano, Italia, Calais e Londra che segue il doloroso cammino dei profughi in Europa testimonia la sua presenza in prima fila nelle battaglie contro il razzismo, l’imperialismo, le infide ragioni di stato.

A partire dai suoi stessi ricordi di bambina sotto i bombardamenti di Londra all’epoca del secondo conflitto mondiale, ripercorre successivi tragici eventi evocando momenti personali, testimonianze e immagini di tutto il mondo. In nome dei diritti inviolabili della persona descrive la condizione degli esuli costretti a subire le sciagure della Storia e suggerisce netti paralleli tra la sordità dell’Europa di allora e quella di oggi. Inenarrabili traversie quotidiane per mare, ricordi passati del kindertransport per ripararsi dalla furia nazista citati da Lord Alf Dubs, il tutto espresso nei versi shakespeariani della Tempesta declamati da Fiennes nel monologo di Prospero: “Quivi ci hanno imbarcato/ e ai nostri pianti solo rispose il mare/ e i sospiri ci rese il vento”. Vittime di varie nazionalità, ungheresi, cecoslovacche, palestinesi e migranti attuali dalla Siria e Afganistan, minori senza protezione, provenienti dal Medio Oriente e dall’Africa hanno tutti in comune l’atroce destino della fuga, l’incognita dell’approdo, il terrore del rifiuto, un tema quanto mai bruciante ai giorni nostri. Nel film c’è anche la voce di Emma Thompson che legge frasi di Sylvia Pankhurst, esponente di rilievo del femminismo e dell’antifascismo, schierata in difesa del popolo etiope.

Quanto può darci di carica ed esempio una donna come Vanessa, dall’intima bellezza che cavalca il tempo! Sul suo volto di antidiva che ha conosciuto i crimini del fascismo, del maccartismo e ha fatto proprie tutte le cause libertarie, si dipinge una vita intelligentemente vissuta. Nel panorama cinematografico rappresenta il coraggio e la coscienza civile che, in una giungla di vanità, di bugie e loschi intrighi, non dimentica la disperazione di tanti esseri umani.

Serena d’Arbela, giornalista e scrittrice