Le ceneri del dopoguerra segnano l’inizio di una delle fasi più importanti della storia del cinema, e quello italiano ne sarà protagonista assoluto. Il neorealismo – conosciuto e stimato come un riferimento per gli anni a seguire da diverse generazioni di cineasti – transita quasi fisiologicamente nell’altrettanto famosa stagione della cosiddetta commedia all’italiana. Nei tratti della messa in scena della vita con elementi narrativi apparentemente leggeri, il cinema italiano dagli anni 50 agli anni 70 ha posto una serie di riflessioni estremamente preziose sulla società, il costume nazionale, la politica. E anche questa produzione artistica ha avuto un successo eccezionale a livello del mercato globale. Sorridendo si esprimevano critiche feroci, e in questi film i sentimenti espressi viravano spesso verso la malinconia soffusa: quella di vedere un Paese che si stava trasformando in maniera diversa da quanto si era immaginato durante la guerra di Liberazione e il dopoguerra.

Ettore Scola (in uno scatto di Imagoeconomica) e Dino Risi

Nel 1974, Ettore Scola tratterà di questo nel bellissimo C’eravamo tanto amati (ne parleremo su queste pagine, ovviamente), ma prima di lui affronta la questione Dino Risi in Una vita difficile del 1961. Stiamo parlando di due maestri assoluti del cinema italiano, Scola e Risi: ma anche dei loro sceneggiatori, riflettendo su quanto ha dato alla cinematografia nazionale la grandezza di una vera e propria scuola di sceneggiatura. Autrici e autori straordinari: Age&Scarpelli per Scola, Rodolfo Sonego nel film di Risi; altri registi hanno fatto film bellissimi perché erano scritti in maniera mirabile da chi sovente faceva tesoro delle proprie esperienze dirette.

In Una vita difficile Sonego racconta la Resistenza con ragione di causa, avendo combattuto in Veneto con il nome di battaglia di Benvenuto Cellini, diventando comandante della brigata Fratelli Bandiera, parte del Gruppo Brigate Vittorio Veneto, delle Brigate Garibaldi. Del film dirà “Gli attori hanno solo recitato, ma quella del film per me è stata vita vera”.

L’attore che impersona il soldato tedesco, Borante Domizlaff, fu veramente un militare della Wehrmacht

Il romano Silvio Magnozzi (interpretato da Alberto Sordi), è partigiano nella zona del lago di Como nel 1944, dopo che il reparto in cui era sottotenente ha vissuto l’armistizio. Recatosi in un albergo per chiedere alla proprietaria Amalia un rifugio, viene scoperto da un soldato tedesco, che sta per fucilarlo. Salvato da Elena, figlia dell’albergatrice, che uccide il tedesco a colpi di ferro da stiro, Magnozzi si prende una pausa dalla guerra e inizia a convivere con la ragazza in un mulino della sua famiglia. Poi si riunirà ai gruppi partigiani, lasciando Elena al suo destino.

Tornato alla vita civile, a Roma diviene giornalista di una testata comunista, Il lavoratore. Alla fine del 1945, per lavoro, ripassa in zona, ricerca Elena e le propone di tornare con lui a Roma: ancora innamorata, la donna lo segue. Silvio stenta a trovare i mezzi per vivere adeguatamente, pagando la coerenza delle sue idee politiche. L’esito del referendum repubblica-monarchia del 1946 lo trova casualmente, complice un amico di Elena, a cena con un gruppo di aristocratici romani, ferventi monarchici. Alla notizia della vittoria della Repubblica i convitati sono sconvolti, ma non Silvio ed Elena, che hanno in parte celate le loro convinzioni pur di cenare lautamente. Coinvolto nei tumulti in seguito all’attentato a Togliatti del 1948, Magnozzi viene condannato a due anni: uscito dal carcere nel 1950 si rende conto che anche i compagni più prossimi, come Franco, suo collega al giornale, sono disposti a rinunciare ai propri ideali per raggiungere un altro livello sociale. Elena e sua madre a cercano di convincerlo a laurearsi, cambiare mestiere, tornare al Nord per un lavoro prestigioso. Silvio tenta di sostenere un esame, con esito umiliante: litiga con la compagna, la offende e si arriva alla rottura tra di loro.

Un fotogramma del film

Seguono anni in cui l’uomo cerca di farsi pubblicare un romanzo autobiografico, intitolato Una vita difficile, sempre rifiutato, e lo adatta a sceneggiatura per il cinema. Mentre cerca di convincerli a girare il suo soggetto, incontra Vittorio Gassman, Silvana Mangano e il regista Alessandro Blasetti – che interpretano sé stessi – mentre girano un film ambientato ai tempi dell’impero romano; tutti e tre cercano di liberarsi di un uomo che porta una narrazione ritenuta fastidiosa, fuori contesto. Ci si occupa della storia antica, quella prossima è considerata poco interessante, mentre ci si proietta verso una stagione di prosperità, che non deve essere turbata nelle proprie logiche intrinseche. Silvio viene a sapere che Elena ha una relazione più stabile e appagante, che garantisce a lei e a loro figlio una vita tranquilla e agiata. Si reca a Viareggio per cercare di convincerla a tornare con lui. Di fronte al rifiuto della donna, Silvio ha una reazione disperata, si ubriaca, mettendosi a sputare sulle auto di lusso che transitano per la via. L’Italia in cui vive sembra totalmente estranea a quel che desiderava e ha cercato di costruire.

Ma ci sono in prospettiva evoluzioni inaspettate. Al funerale della suocera Amalia, nel 1961, Silvio arriva con un’auto costosa, che suscita l’ammirazione di tutti coloro che sono intervenuti al rito; a Elena dice di essere cambiato: lavora per un magnate dell’industria, il commendator Bracci, che possiede anche diverse testate di editoria popolare e quotidiana. L’industriale – per cui lavora già il suo ex collega del giornale Franco – qualche anno prima aveva cercato di corrompere Silvio per insabbiare la notizia di una fuga di capitali all’estero in cui era coinvolto.

Messe da parte le sue idee politiche, Magnozzi si vende all’antagonista, volendo trarre frutto dal boom economico in pieno corso. Ancora innamorata, Elena decide di tornare con lui e a Roma sperimenta la condizione privilegiata di chi sta dalla parte giusta. Ma a una festa organizzata da Bracci a cui interviene con Silvio, il magnate maltratta quest’ultimo perché ha agito di testa propria, dedicando spazio su una sua testata a tematiche sociali (“Si permette di togliermi un paginone di principi per metterci fotografie di braccianti calabresi?”), dicendogli brutalmente che non è più un giornalista, ma un suo segretario, un servo che non può permettersi dissenso.

Poi lo umilia pubblicamente, schizzandogli in faccia dell’acqua di seltz di fronte a un alto prelato, sotto gli occhi di Elena. Magnozzi sembra soccombere: ma arriva un soprassalto di dignità. Portato Bracci sull’orlo della piscina, gli mena un formidabile schiaffo, facendolo volare in acqua. Elena e Silvio si allontanano tra lo sconcerto degli astanti, rifiutando un passaggio in auto per prendere “una bella boccata d’aria”. Adesso, però, cosa sarà di loro? La musica in questa scena finale è brillante, leggera. Possiamo leggere il gesto di Silvio (una delle scene più felici del nostro cinema, nonché di grande carica liberatoria) come il recupero di una dignità che rischia di scomparire definitivamente. Con lui, forse, quella di un Paese intero.

Una vita difficile è un limpido esempio di come la commedia possa evolvere in una lettura dell’oggi dolorosa e impietosa: grazie alla figura attoriale di Sordi (qui davvero bravissimo) si ride, ma per lo più trafitti di pena. Nella consueta maschera dell’italiano tracotante, ma di fatto meschino e poco coraggioso nel sostenere la propria dignità personale, si consuma il dramma di un pensiero che non è riuscito a cambiare questo Paese; come pure sarebbe stato possibile.

La sceneggiatura di Sonego è davvero mirabile, una delle sue migliori: la varietà di temi che tocca – la metamorfosi delle coscienze, la forza arrogante del potere, la caratterizzazione della borghesia monarchica (mai lontana dalla simpatia per il suo braccio armato) il fascismo – è davvero riassuntiva di una fase storica. Nella prima conversazione tra Magnozzi e Bracci, questi cerca di blandire il giornalista dicendogli che come intellettuale, in fondo, anche lui è un borghese. Forse uno dei fattori della crisi culturale attuale passa da qui, dal cosiddetto tradimento dei chierici di cui parla Julien Benda nel libro omonimo. Molti intellettuali, ben lontani dal ruolo che aveva per loro teorizzato Antonio Gramsci, si sono allontanati dal popolo, divenendo appunto borghesia, talvolta della peggiore. Con l’avvento della società iper-mediatica si sono trovati per le mani un potere micidiale di falsificazione e controllo. Le conseguenze sono evidenti.

Coraggio, però… ci sono tante piscine e tante persone da accompagnare ai loro bordi!