A distanza di un anno, torniamo a intervistare il regista Daniele Segre, autore di Nome di battaglia donna, un film – prodotto dalla società “I Cammelli” in collaborazione con l’ANPI di Torino – costruito raccogliendo le testimonianze di alcune delle protagoniste della Resistenza piemontese, che vuole essere, più in generale, un omaggio alla preziosa ma spesso trascurata partecipazione femminile alla lotta di Liberazione.
Sono le storie di staffette, gappiste, partigiane di città e di montagna. Storie di ragazze, prima di tutto, decise a compiere un passo importante non solo per loro ma per tutte le altre e per il loro Paese, oppresso da fascisti e nazisti: Marisa Ombra (la cui prima conoscenza ha fatto comprendere al regista la possibilità stessa di realizzare tutto il film), Carmen Nanotti, Carla Dappiano, Enrica Core, Maria Airaudo, Rosi Marino, Maddalena Brunero si sono così raccontate al regista, piemontese come loro.
Il film verrà presentato al 34° Torino Film Festival (18-26 novembre 2016), nella sezione “Festa Mobile”.
Dopo il primo e straordinario incontro con Marisa Ombra, di cui ci aveva già raccontato, come sono stati gli altri con le protagoniste del suo film? Come hanno reagito al suo interesse per loro e, in generale, per il contributo femminile alla Resistenza? Queste donne che non hanno esitato a trasportare o imbracciare delle armi, com’erano di fronte alla camera da presa: intimidite, diffidenti o curiose e disinvolte?
Sono stato accolto con grande disponibilità da parte di tutte le protagoniste del film; tutte con una grande voglia di raccontare la propria esperienza partigiana. Non c’è stata diffidenza, anzi, sono rimasto colpito dalla loro memoria per gli eventi che hanno vissuto; una memoria straordinaria, precisa, sorprendente. Come se fossero state in attesa di poter raccontare finalmente il contributo che le donne hanno dato alla Resistenza.
Oltre al girato che costituirà il film, ci sono dei “dietro le quinte” che le sono restati particolarmente impressi?
Sì, il barattolo di marmellata di prugne che Rosi Marino mi ha regalato quando abbiamo finito l’intervista.
Daniele Segre autore di “cinema della realtà”, oltre che di film di finzione: quali opportunità e quale valore aggiunto offre lavorare e ricostruire delle storie non con degli attori ma con i veri e diretti protagonisti delle stesse?
C’è da parte mia la necessità di essere utile e il cinema che ho deciso di fare corrisponde a questa mia necessità, sia nel rappresentare il reale che nel mettere in scena una storia interpretata da attori. Le persone e le loro memorie di vissuto rappresentano una miniera preziosa e utile per l’identità del nostro Paese e sono fonti di ispirazione per narrazioni fiction.
È chiaro che, dietro ai 60 minuti di immagini cui gli spettatori assisteranno, c’è un lavoro di documentazione importante. Lei come si è preparato sulle biografie di queste donne? Si è avvalso, ed eventualmente come, del contributo dell’ANPI provinciale di Torino e, in particolare, della sua presidente Maria Grazia Sestero?
Maria Grazia Sestero, presidente dell’ANPI Comitato Provinciale di Torino, ha avuto un ruolo fondamentale fin da quando, al Colle del Lys, in occasione del 70° anniversario della Liberazione dal nazifascismo, mi ha chiesto di occuparmi della storia delle partigiane. Poi, a Torino, mi ha fatto incontrare Marisa Ombra ed è iniziata tutta l’esperienza che ha portato alla realizzazione del film.
L’ANPI di Torino mi ha fornito un supporto molto importante sia per contattare le protagoniste del film che nel fornirmi materiali d’archivio; in particolare sono grato al prezioso lavoro di Elena Pugno e Elena Scarabello.
Che cosa principalmente ha voluto trasparisse dalle sue interviste, su che cosa ha chiesto che le “ragazze di allora” si concentrassero? C’è un disegno, un messaggio unitario che il film vuole lanciare attraverso la varietà delle esperienze raccolte e presentate?
Ho chiesto loro di raccontarmi la loro esperienza di lotta al nazifascismo; la necessità è stata quella di raccogliere testimonianze preziose per tramandare la memoria della lotta partigiana che le donne hanno combattuto in Italia tra il 1943 e il 1945.
Come si evita il rischio di incappare in ritratti oleografici o agiografici quando si attende ad un film come Nome di battaglia donna?
Evitando la retorica, l’enfasi e il didascalismo; dando rispetto alla dignità umana delle protagoniste, valorizzando il loro vissuto attraverso un vero rapporto di scambio, consapevoli dell’importanza di quello che si sta facendo.
Quali sono stati i giudizi e le reazioni delle protagoniste al film ultimato? Ha chiesto loro consigli e pareri anche durante la lavorazione?
Al momento le protagoniste non hanno visto il film, lo vedranno per la prima volta il 22 novembre alla proiezione ufficiale al Torino Film Festival. Colgo l’occasione per ricordare Carmen Nanotti, tra le protagoniste del film, recentemente scomparsa.
Questo film, come aveva già avuto occasione di dirci, desidera arrivare anche e soprattutto alle giovani generazioni: quali canali di distribuzione e forme di visione sono previste, oltre alle sale cinematografiche e ai DVD? Ci saranno proiezioni pensate per le scuole o nelle scuole, magari con la presenza di alcune delle protagoniste?
Il film nasce esattamente dalla necessità di entrare nelle scuole e di rafforzare il lavoro che l’ANPI sta facendo da molti anni; l’invito del TFF 2016 rappresenta un palcoscenico importante per ribadire questo obbiettivo che si prefigge il film: incontrare gli studenti ed offrire loro l’opportunità di approfondire la conoscenza sulla storia della Resistenza, in particolare sul ruolo che le donne hanno vi hanno avuto.
Lei, come tutte le donne intervistate, è piemontese e in Piemonte è interamente girato il suo film; un legame profondo – dunque – con la sua terra e la storia che lì si è passata; ma non è forse anche un omaggio a una delle regioni italiane che ha offerto uno dei contributi più alti alla lotta di Liberazione?
Nelle intenzioni avrei voluto realizzare il film anche in altre regioni italiane, ma non è stato possibile per motivi produttivi e quindi, con l’indispensabile collaborazione dell’ANPI Comitato Provinciale di Torino, in particolare della Presidente Maria Grazia Sestero, ho deciso che il film l’avrei girato solo in Piemonte. E così è stato.
E ora un occhio e una speranza ai progetti futuri: questo film, prodotto dalla società I Cammelli con la collaborazione di ANPI Comitato Provinciale di Torino e di cui sono già disponibili alcuni trailer su Facebook, potrebbe essere il primo di altri sempre dedicati alle donne della Resistenza, magari di altre regioni italiane?
Come ho già detto il film avrà una diffusione, mi auguro la più ampia possibile (per richiedere il film per proiezioni pubbliche occorre scrivere a: icammelli.torino@gmail.com); ho in cantiere un progetto web che vorrebbe poter sviluppare anche in altre regioni italiane, certamente c’è la necessità di trovare le risorse necessarie per poterlo realizzare, occorre tenere presente anche che il tempo a disposizione è poco, vista l’età avanzata delle protagoniste.
Pubblicato venerdì 18 Novembre 2016
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