Il rapporto del cinema italiano con la Resistenza e il fascismo ha avuto fasi alterne. Eccone una sommaria periodizzazione. C’è stato un grande momento nell’immediato dopoguerra con autentici capolavori. Poi una ripresa tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta. Ancora un assai significativo slancio dal 1968 fino ai primi anni Ottanta. Infine una certa ripresa a partire dall’inizio degli anni Novanta che per il momento si arresta a Una questione privata (2017) di Paolo e Vittorio Taviani (ma girato dal solo Paolo, in costante contatto con Vittorio, recentemente scomparso). Le ciliegie sono mature, lungometraggio di finzione prodotto dall’Anpi di Forlì (che all’epoca comprendeva anche Rimini) e diretto da Fabio Del Bravo, esce nel maggio del 1989, dunque si pone all’inizio di quest’ultimo periodo.
Come spiega la didascalia iniziale, il “film è dedicato a tutte le donne che […] collaborarono e furono protagoniste della Resistenza e della rinascita dell’Italia democratica”. Protagonista è una donna, la staffetta Silvia, ma molte altre hanno un ruolo importante: il lungometraggio comincia con una donna che si fa arrestare dai fascisti per distrarli da Silvia; nel corso dell’opera cinematografica una donna allatta un partigiano (in una sequenza di alto valore simbolico); un’altra si sacrifica per tutti.
Nel cinema italiano a tema resistenziale, a parte L’agnese va a morire (1976) di Giuliano Montaldo e alcuni documentari come Le donne nella Resistenza (1965) di Liliana Cavani, e gli assai recenti, Bandite (2009) di Alessia Proietti e Nome di Battaglia donna (2016) di Daniele Segre, non esiste molto altro, seppur non si possa tacere una sensibile presenza femminile a partire dall’icona Anna Magnani in Roma città aperta (1945) di Roberto Rossellini.
«Le ciliegie sono mature» è la frase in codice con la quale gli Alleati informavano i partigiani dell’8ª brigata Garibaldi del lancio di armi, viveri, medicinali e denaro. Il film, che racconta – come s’è detto – l’epopea partigiana di una staffetta (il suo lavoro per la Resistenza, il sostegno che trova nella popolazione civile, gli scontri coi nazifascisti…), restituisce la “realtà” delle vicende: delle donne, della popolazione civile, dei partigiani che vivono quasi in simbiosi con la natura rigogliosa dell’Appennino, violata dalle colonne nere dei nazifascisti.
Chiediamo al regista Fabio Del Bravo: chi partorì un’idea così ambiziosa?
Il film è nato da un rapporto di assoluta stima tra la mia persona e alcuni partigiani di Santa Sofia, fra cui Vero Stoppioni artefice dell’idea, Mario Lotti, Savino e altri di cui non ricordo il nome. Ci siamo conosciuti in un momento di difficoltà organizzativa, durante le riprese di un precedente film, La stagione delle stelle, dedicato alla brigata partigiana Casentinese che entrò in contatto con l’8ª brigata Garibaldi e combatté a San Paolo in Alpe, e loro mi aiutarono senza nessun indugio.
Le difficoltà erano nate per la defezione mirata di un gran numero di comparse, che secondo gli accordi presi con i partigiani casentinesi, dovevano partecipare alle riprese. Fu a quel punto che intervenne Stoppioni, preside di un istituto di Santa Sofia. Il giorno delle riprese chiuse la scuola e accompagnò i suoi studenti in montagna, che armati e vestiti, parteciparono ad una scena di massa nella foresta innevata. Un gesto encomiabile di generosità che permise anche di conoscerci più a fondo durante tutta la lavorazione.
Mi conquistai insomma la loro assoluta fiducia, che successivamente mi fruttò un invito a Santa Sofia, principalmente sui loro monti, dove avevano combattuto aspramente i tedeschi. Tutto questo perché realizzassi un film per rievocare le loro vicende partigiane da tramandare alle future generazioni: questo era il loro desiderio. L’affetto dimostrato da quelle persone straordinarie mi conquistò subito, e mentre mi accingevo a scrivere la loro storia e preparare la sceneggiatura, Stoppioni e i suoi compagni stavano organizzando riunioni con Comitati e Sezioni Anpi e istituzioni per reperire i fondi necessari.
Ricordo di aver partecipato a una sola riunione nella sede dell’Anpi di Forlì, dove si doveva decidere definitivamente se realizzare il film. Ci furono delle perplessità anche perché, rivolgendomi all’assemblea, ammisi che al loro posto sarei stato indeciso a chi affidare un film sulla Resistenza. Poi prese la parola Stoppioni che convinse all’unanimità l’assemblea di incaricare me, senza condizioni, per la realizzazione dell’opera. Un entusiasmo che espressero i politici alla prima del film al cinema Ariston di Forlì, addirittura rivendicando la paternità dell’idea. Parlarono in tantissimi, tranne il sottoscritto, nessuno mi chiese niente. Una distrazione forse dovuta alla massiccia affluenza di pubblico.
Nella regia, quali problemi hai dovuto affrontare e risolvere?
Scendendo nei particolari tecnici della realizzazione, dobbiamo considerare la penuria del bilancio a disposizione, che non ci consentiva di usare carrelli, gru e neppure gli apparati di illuminazione necessari per le riprese. Quindi non ci poteva essere un’organizzazione organizzata perfetta, dovevo creare ex tempore la sceneggiatura in base agli attori presenti sul set, al luogo delle riprese, alla temperatura e al meteo. Il tutto, naturalmente, da abbinare alle scene già girate e a quelle ancora da realizzare. Insomma ogni scena andava plasmata a parte, prendendo a modello la natura che era affine ai fatti narrati. Infatti, le scene venivano girate negli stessi giorni e luoghi in cui erano avvenuti i fatti: quindi una realtà iconografica molto importante.
Quale fu la somma reperita per il film e come fu messa assieme?
Si può ricavare da un volantino distribuito da alcuni militanti di destra agli invitati, di fronte al cinema, il giorno della prima. Dopo aver ironizzato sulle ciliegie del titolo che «saranno anche mature ma costano troppo», elenca i finanziatori con i relativi importi: Regione Emilia-Romagna, 130 milioni di lire; Provincia di Forlì, 50; Comune di Forlì, 50; Comune di Cesena, 50; Comune di Santa Sofia, 5; Comune di Tredozio, 1,5; Comune di Galeata, 1; Comunità montana Forlivese, 15; Comunità montana Cesenate, 15; Cassa di risparmio, 10. Mentre il valore ipotetico dell’opera, secondo le stime apparse sul Resto del Carlino, si sarebbe aggirato sui nove miliardi di lire.
La scelta ricalcava le esigenze che intendevo imprimere al film, cioè di cultura popolare senza nessun fine economico e con la partecipazione di tutti, gratuitamente. Il popolo e la natura secondo le intenzioni, dovevano essere gli assoluti protagonisti dell’opera. Quindi la preferenza fu riservata ai giovani che si interessavano di teatro, agli studenti di arte figurativa, di lettere, agli sportivi. Energie giovanili che meritavano di essere sottolineate perché espressioni umane intangibili. Una generosità giovanile che meritava il nostro interesse, la cui recitazione scaturiva dai sentimenti e dal cuore.
E la musica?
Se l’interpretazione era spontanea, la musica che doveva accompagnare le scene era una componente molto diversa e profondamente professionale. Per questo motivo mi rivolsi al maestro Riz Ortolani che conoscevo e apprezzavo; con lui scelsi la colonna sonora registrata a New York in cui suonavano novanta violini.
Potresti spiegarci, in estrema sintesi, il tuo intento?
Era quello di realizzare un’opera che avesse una sua logica narrativa e un fine culturale e politico che rispettasse i valori popolari del tempo, semplici e genuini. Il linguaggio popolare doveva rispettare anche le incognite del momento, in un’ottica apparentemente semplice ma difficile da interpretare, per la profonda diversità con la nostra cultura formatasi spesso, con la retorica tipica degli eventi conclusi.
Nella vita ti sei occupato e occupi di molte cose; se ti chiedessi dell’uomo di cinema?
Mi trovi un po’ spiazzato. Ho avuto l’onore da giovane di essere amico e allievo del grande storico del teatro Ludovico Zorzi, con cui mi sono laureato e per breve tempo sono stato anche assistente. Quindi puoi immaginare la mia passione per il cinema che ho sempre seguito fin da giovane. Ho filmato una decina di opere dirette sempre personalmente, per principio senza fini di lucro, come fecero i nostri padri volontari della libertà. Molto sinteticamente sono additato come un regista scrittore di opere popolari, dirette secondo i crismi dei volontari del primo Risorgimento e della restaurazione repubblicana come voluto appunto dal popolo con la Resistenza. Tutto qui!
Gianfranco Miro Gori, presidente Comitato provinciale Anpi Forlì-Cesena
Pubblicato giovedì 24 Gennaio 2019
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