partizani-copertina-smallIl film documentario “Partizani. La Resistenza italiana in Montenegro” di Eric Gobetti, prodotto dall’Istituto piemontese per la Storia della Resistenza e della società contemporanea, propone riflessioni e spunti che esulano dalla pura narrazione storica.

La storia della Divisione italiana Garibaldi in Montenegro, che per circa un anno e mezzo combatté con i partigiani di Tito, rimane sullo sfondo per lasciare spazio alla narrazione della quotidianità in tempo di guerra, senza spettacolarizzazioni.

Il regista, ricercatore free-lance di Torino studioso della Seconda guerra mondiale e della Jugoslavia del Novecento, con questa pellicola sperimenta una forma documentaristica che in certi passaggi rasenta la performance artistica. Gobetti si presenta all’inizio del film tra i reduci, quasi a voler sottolineare il suo coinvolgimento emotivo nell’intraprendere questo lavoro. Si inserisce con quella delicatezza che può appartenere solo a chi è riuscito a costruire un rapporto empatico con i testimoni, con le carte d’archivio, di chi si è commosso alla visione di filmati dimenticati per decenni negli archivi.

Eric Gobetti e Claudio Dellavalle
Eric Gobetti e Claudio Dellavalle

Gobetti ci fa partecipare alle sue ricerche condividendo le testimonianze di quegli “eroi semplici che hanno combattuto il freddo, la fame e una devastante epidemia di tifo”, alcuni video storici conservati nell’archivio della televisione di Stato della Serbia e filmati inediti, veri e propri combat film, che presentano stralci di vita militare durante la guerra girati senza scopi propagandistici, opera probabilmente di Carlo Ravnich, l’ultimo comandante della Divisione Garibaldi, e conservati nell’archivio privato di Sante Tarcisio Pelosin. Il regista ci accompagna per tutta la durata del film nelle case dei reduci, nelle associazioni e negli istituti di storia della Resistenza, ci guida fino al monumento dedicato alla Brigata italiana Garibaldi eretto a Pljevlja in Montenegro e inaugurato nel 1983 alla presenza del Presidente della Repubblica italiana, Sandro Pertini. La poesia delle immagini è enfatizzata dalla bella colonna sonora composta e interpretata dal musicista Massimo Zamboni (Cccp Fedeli alla linea/Csi – Consorzio Suonatori Indipendenti).

In questo film, per scelta registica, manca un pedissequo resoconto degli episodi più prettamente militari. Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare da un documentario sulla Seconda guerra mondiale, lo spettatore resterà piacevolmente irretito dal taglio originale delle riprese, dall’indagine prettamente antropologica, dall’arte maieutica del regista nel far riemergere pensieri e ricordi dei protagonisti. La narrazione scorre sul filo delle emozioni senza interruzioni di carattere didascalico, lasciando allo spettatore il compito di un approfondimento storico che potrà realizzarsi solo in un secondo momento. I racconti sconfinano nella suggestione delle voci che incespicano e degli sguardi che non puntano dritti alla telecamera, ma volgono verso la ricostruzione del passato. Il documentario si snoda su diversi piani spazio-temporali che magistralmente amalgamati descrivono i due versanti della presenza militare italiana in Montenegro: il ruolo di occupante – dal 1941 – e di ribelle, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, quando migliaia di soldati italiani scelsero di lottare a fianco dei partigiani jugoslavi. Le singole biografie prevalgono sulla complessità della storia, facendo contemporaneamente emergere le problematicità specifiche di una resistenza combattuta in terra straniera, una permeabilità di culture animata dalla condivisione della tragedia.

Il monumento a Pljevlja
Il monumento a Pljevlja

L’armistizio aveva creato un teatro dell’assurdo con un ribaltamento dei ruoli: coloro che fino al giorno prima erano nemici si convertono in compagni di lotta (partigiana), mentre chi era alleato si tramuta in feroce avversario. L’agōn si trasfigura, i ruoli si invertono. Vengono ricordati anche i luoghi, quelli che devastati dall’arroganza dell’occupazione si trasformarono poi in una riserva essenziale per la sopravvivenza durante il periodo di clandestinità e diventarono un collegamento determinante tra la popolazione civile e partigiani.