Il potere magico della pellicola. Da Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore, 1988

Uno dei grandi meriti della cinematografia è la sua capacità di poter intervenire nel dibattito culturale delle società da cui è espressa, affrettando i tempi fisiologici della ricognizione storica. Ben prima di una elaborazione critica da parte di una collettività negli ambiti preposti, per esempio quelli della discussione politica, alcune opere cinematografiche hanno presentato la loro interpretazione artistica di fatti, tanto più importanti quanto più sono stati dolorosi, anticipando stagioni di rilettura analitica. La storia procede con i suoi criteri: a questo punto è impossibile negare che il cinema sia una fonte storica.

Apocalypse Now

La cinematografia statunitense dagli anni 70 si carica di cicatrici nei due eventi sconvolgenti per l’America di quegli anni: il Watergate e la guerra in Vietnam. Del primo e del secondo troviamo riferimenti più o meno diretti in moltissimi film. Soprattutto il conflitto nel sud-est asiatico ha segnato le coscienze di più generazioni. Film come Il cacciatore, Platoon, Apocalypse Now, Full Metal Jacket, oltre che opere straordinarie, sono l’espressione della necessità di prendere atto di quanto accaduto, al di là del dettato della politica ufficiale. Non è semplice per un Paese come gli Usa ammettere la sconfitta e, soprattutto, l’errore commesso nel fare una guerra, che il popolo stesso ha rifiutato: alcuni non si perdonano di non averla vinta, altri di non essere riusciti a impedirla.

Avatar

Gli echi nell’immaginario visivo si prorogheranno per molti anni: per esempio, ancora in un film come Avatar diverse scene e la tematica di fondo rimandano a questa pagina di storia (insieme ai riferimenti allo shock storico degli anni seguenti: l’attentato alle Torri Gemelle di New York).

Una scena di The Creator

Che tutto ciò abbia espresso un marchio indelebile nell’immaginario e nella coscienza visiva statunitense lo si evince dal dato che in un film del 2023, The Creator, realizzato da un regista classe 1975, Gareth Edwards, si parla di una guerra tra esseri umani e androidi espressione di I.A., l’intelligenza artificiale: ma immagini e contesti evocano chiaramente l’attacco imperialista degli Usa al Vietnam. In filigrana è facile volgere lo sguardo più avanti, alla prospettiva apertamente dichiarata di un conflitto nel Pacifico, non più con il Giappone come nel 1941-45 quanto piuttosto con il grande nemico dell’Occidente, già da alcuni anni esplicitamente dichiarato, la Cina. Allora, certe memorie che si tramutano in film ci danno la speranza di poter evitare il peggio: quantomeno lanciano segnali alle coscienze.

2065: la guerra tra umani e androidi sembra a un punto di svolta. Da una parte si è realizzata Nomad, una sorta di fortezza volante con un terribile potere distruttivo, in grado di distruggere dall’alto città intere; dall’altra Nirmata, un essere umano di cui si ignora l’identità e che ha realizzato IA di altissimo livello, prospetta un’arma in grado di chiudere la possibilità di ogni conflitto.

Pechino. Festeggiamenti per il settantesimo anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese

I Paesi della Nuova Asia (una regione che comprende Asia orientale, meridionale e sud orientale) accettano la pacifica convivenza tra umano e artificiale; invece negli Stati Uniti lo scoppio di una testata nucleare – attribuito all’IA – ha distrutto Los Angeles, chiuso ogni rapporto tra i due gruppi, fino allora integrati pur con qualche titubanza umana, e ha determinato un controllo ferreo dal Paese su ogni forma di androide e l’eliminazione fisica di quelli più evoluti, riconducendo gli altri a un livello di totale sottomissione.

Il regista e sceneggiatore di The Creator, Gareth Edwards

Un intento di separazione, controllo e eliminazione da realizzarsi in ogni parte del mondo, ovunque persista collaborazione e coabitazione tra umano e artificiale. Facile trovare le assonanze storiche, e dilatarle attraverso la grande tematica della diversità, che in filosofia (e al cinema) passa sempre di più da quanto si può evincere dalla domanda: “cosa è umano e cosa non lo è?”.

È la questione che sta alla base di ogni pregiudizio etnico e razziale. Nel film si immagina che la segregazione di domani riguarderà (non solo) quella operata da un gruppo etnico rispetto ad altri, ma anche ciò che si considera inferiore perché prodotto da un umano che non accetta di veder messa in discussione la sua supremazia, da tradurre in un dominio di ordine schiavistico. Le nuove classi sociali che si dovranno liberare dal giogo padronale saranno un domani quelle prodotte dalla grande industria della bioingegneria e non più solo quelle che vi producono?

È poi possibile che gli artefatti della bioingegneria arrivino un giorno a pensare, sentire e esprimere sentimenti come le persone che siamo noi? La scienza ci darà le sue risposte. Nel film di cui parliamo si mostra come gli esseri umani abbiano abdicato a valori etico morali che solo quelli artefatti sembrano aver conservato…

La tematica aleggia sul cinema da tempo, e bisogna citare quantomeno A.I. – Intelligenza artificiale, un film del 2001 di Steven Spielberg (ma tratto da un soggetto che nasce dal genio di Stanley Kubrick), in cui si ipotizza una società in cui essere biomeccanici significa conoscere la violenza espulsiva di chi accampa ragioni di supremazia su quanto il genere umano stesso ha operato, creando un altro da sé.

“Io robot”, il film del 2004, tratto dal capolavoro di Isaac Asimov

Del resto, già nella letteratura di Isaac Asimov, autore del grande ciclo di fantascienza nato da Io, robot, si trattava una materia del genere, partendo più dai parametri meccanici e cibernetici che da quelli attuali di bioingegneria. Senza scomodare categorie filosofiche anche troppo ingombranti possiamo pensare all’altro da noi generato dal razzismo, che concepisce un senso dell’umano negandolo a chi esce da determinati parametri: fissati poi da chi e su basati su quali criteri?

JoshuaTaylor

Il protagonista del film è Joshua Taylor, un soldato statunitense che porta nel corpo i segni della guerra e della tecnologia: mutilato, ha un braccio e una gamba artificiali. Cerca disperatamente un amore perduto, una figlia che non ha potuto avere, una dignità che passa per un perdono difficile da ottenere quando non sa a chi chiederlo. Un protagonista una volta tanto reale, segnato dal limite e dalla fragilità. Che non si aspetta certo che cosa sia realmente l’arma finale progettata e realizzata da Nirmata.

“Ho visto cose che voi umani”….una delle scene più famose di Blade Runner

La vicenda si svolge in una serie di eventi che pongono insistentemente la questione del come si raggiunga il paradiso (per paradosso sono gli androidi che esternano sentimenti religiosi: come del resto erano quelli di Blade Runner a sperare una vita che andasse oltre i limiti della loro vita limitata), inteso laicamente come il significato possibile al proprio esistere. Un ambito in cui esseri umani e artificiali si trovano sullo stesso piano.

Una scena di The Creator

The Creator è l’ennesimo esempio di un cinema commerciale, girato in maniera avvincente e con molta azione, che però non dimentica che le sceneggiature si scrivono mettendoci non solo metodo e tecnica, ma anche cuore e ideali. Non totalmente esente dagli stereotipi dei film di questo genere, si tiene però sufficientemente distante da retorica e soluzioni narrative scontate. L’apparato visivo è ottimo e i riferimenti di cui tratto all’inizio dell’articolo, per chi appartiene alla mia generazione, sono capaci di rendere il film di grande interesse.

Soldati americani in Vietnam

E in effetti tanti elementi della narrazione sul Vietnam li ritroviamo aggiornati e tecnologizzati: restano uguali le cronache della sconfitta di un impero a opera di un Paese al paragone assai meno forte. Resta poi un messaggio di fondo – sì, io sono di quelli che pensano che i film dovrebbero continuare a provare ad avercelo – di limpido richiamo a un pacifismo che si impone come rifiuto del conflitto, a partire dalla sofferenza, umana e qui anche postumana, che si genera dalla violenza. Un messaggio non certo scontato, in questi giorni tristi, così contraddetto, così prezioso.

Andrea Bigalli, docente di Cinema e teologia all’Istituto superiore di scienze religiose della Toscana, referente di Libera per la Toscana