La 73ª edizione veneziana appare senza scoperte o novità eclatanti. Molto è concesso alla superficie coreografica del red carpet, vistosa di sfilate, di star luccicanti in mostra e perfino di cavalli del West, mentre pullulano i selfie pubblicitari. Il pubblico che si assiepa all’esterno è quello dai desideri di plastica, di bellezza sottoposta a sfarzo e sforzo che infine diviene kitsch. Non mancano gli insaziabili cultori della moda e della mondanità, delle curve femminili dei muscoli maschili.
All’interno delle varie sezioni, cinefili e appassionati dei contenuti.
Non dobbiamo dimenticare che dovrebbe essere il cinema, col suo linguaggio specifico, al centro di una manifestazione nata nel lontano 1932, proprio a questi fini. Le cose vanno diversamente con le intromissioni commerciali e politiche.
Una carrellata tra i Leoni. Quello d’argento per la miglior regia va ex aequo ad Andrej Konchalovsky per Rai (Paradise) e ad Amat Escalante per La region salvaje. Il primo è un maestro della narrazione filmica profonda, lontano dal business e dall’approssimazione spettacolare. Il secondo ha il coraggio della provocazione metaforica. Per il regista russo è sempre utile il ritorno al dramma della Shoah, attraverso la memoria di due personaggi segnati dal vissuto nel lager. Fa comprendere i fenomeni contemporanei. Il tema del nazismo è sempre attuale. Anello di una secolare catena di crimini multiformi, travestiti di religione, politica, ragione economica e di stato, oggi, come ricorda Konchalovsky sembra rivivere nell’estremismo fondamentalista.
Il messicano Escalante porta a galla in un racconto a metà fiabesco il sesso e la violenza, secretate dalla società tradizionalista. Così risponde all’omofobia e al maschilismo diffusi nel suo Paese. Il piacere, impersonato da un mostro immaginario, diviene caricatura dei pregiudizi infusi dalla chiesa e dalle convenzioni sociali. Nell’azione la natura assume il ruolo di presenza magica e i personaggi dovranno confrontarsi in una sfida esistenziale con la creatura extraterrestre, in una capanna del bosco.
Nel panorama degli attori, troviamo in primo piano interpretazioni brillanti che si riverberano sulle opere. Emma Stone (Coppa Volpi) con la sua verve promuove il musical scoppiettante La La Land di Damien Chazelle, la sensibile Paula Beer insignita del “Marcello Mastroianni“, illumina Frantz di Francois Ozon che mette in scena le crisi di sentimenti generate dalla guerra nel clima post bellico, evidenziato dal bianco e nero, del primo conflitto mondiale. L’argentino Oscar Martinez, Coppa Volpi per il Ciudadano illustre (regia di Gaston Dupret e Mariano Cohn) anima le delusioni tragicomiche di uno scrittore celebre tornato al suo paese. E ancora Nathalie Portman rivisitando il personaggio di Jacqueline Kennedy nei giorni dell’assassinio del marito e purificandolo dalla retorica mediatica, porta consensi a Jackie di Pablo Larrain.
L’impressione finale? Selezioni e giurie non fanno che riflettere le incertezze umane contemporanee, la lotta impari tra obbiettivi industriali e istanze d’arte.
Serena D’Arbela, scrittrice, traduttrice, giornalista
Pubblicato venerdì 23 Settembre 2016
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