festival-cinema-veneziaAl recente festival del cinema di Venezia, Lav Diaz dedica al popolo filippino e alla sua lotta quotidiana il suo Leone d’oro per il film The woman who left. Un film d’autore, ispirato a un racconto di Leone Tolstoj, un sofferto viaggio interiore che attraversa le vicende, gli incontri e i sentimenti della protagonista Hollanda, un cammino estenuante (sottolineato dalla lunghezza della proiezione). Si svela una società reale crudele coi deboli, in cui l’ingiustizia e l’ignoranza sono sfruttate dalla demagogia politica e dalla menzogna che segna anche il nostro mondo globale.

La 73ª edizione veneziana appare senza scoperte o novità eclatanti. Molto è concesso alla superficie coreografica del red carpet, vistosa di sfilate, di star luccicanti in mostra e perfino di cavalli del West, mentre pullulano i selfie pubblicitari. Il pubblico che si assiepa all’esterno è quello dai desideri di plastica, di bellezza sottoposta a sfarzo e sforzo che infine diviene kitsch. Non mancano gli insaziabili cultori della moda e della mondanità, delle curve femminili dei muscoli maschili.

All’interno delle varie sezioni, cinefili e appassionati dei contenuti.

Non dobbiamo dimenticare che dovrebbe essere il cinema, col suo linguaggio specifico, al centro di una manifestazione nata nel lontano 1932, proprio a questi fini. Le cose vanno diversamente con le intromissioni commerciali e politiche.

film-venezia-2016Uno sguardo alla produzione in gara ci mostra accanto ad omaggi stilistici al bianco e nero e a talenti consolidati, la scelta di soggetti romantici ed epoche trascorse, trasposizioni di fonti letterarie o di teatro e riesumazioni del genere western.

Una carrellata tra i Leoni. Quello d’argento per la miglior regia va ex aequo ad Andrej Konchalovsky per Rai (Paradise) e ad Amat Escalante per La region salvaje. Il primo è un maestro della narrazione filmica profonda, lontano dal business e dall’approssimazione spettacolare. Il secondo ha il coraggio della provocazione metaforica. Per il regista russo è sempre utile il ritorno al dramma della Shoah, attraverso la memoria di due personaggi segnati dal vissuto nel lager. Fa comprendere i fenomeni contemporanei. Il tema del nazismo è sempre attuale. Anello di una secolare catena di crimini multiformi, travestiti di religione, politica, ragione economica e di stato, oggi, come ricorda Konchalovsky sembra rivivere nell’estremismo fondamentalista.

Il messicano Escalante porta a galla in un racconto a metà fiabesco il sesso e la violenza, secretate dalla società tradizionalista. Così risponde all’omofobia e al maschilismo diffusi nel suo Paese. Il piacere, impersonato da un mostro immaginario, diviene caricatura dei pregiudizi infusi dalla chiesa e dalle convenzioni sociali. Nell’azione la natura assume il ruolo di presenza magica e i personaggi dovranno confrontarsi in una sfida esistenziale con la creatura extraterrestre, in una capanna del bosco.

animali-notturni-banner-1Animali notturni di Tom Ford, noto stilista statunitense, secondo Leone d’argento è invece una rappresentazione della felicità perduta e dell’ipocrisia nel cuore dell’America brutale. La protagonista, gallerista di prestigio (Amy Adams) riceve dal marito scrittore (Jake Gyllenhaal) da cui ha divorziato da molti anni, un manoscritto. Il noir, in un certo senso allegorico, crea nel thriller un doppio percorso filmico parallelo, una storia nella storia, spingendo la donna a rileggere il proprio passato e a riviverne i sensi di colpa.

Nel panorama degli attori, troviamo in primo piano interpretazioni brillanti che si riverberano sulle opere. Emma Stone (Coppa Volpi) con la sua verve promuove il musical scoppiettante La La Land di Damien Chazelle, la sensibile Paula Beer insignita del “Marcello Mastroianni“, illumina Frantz di Francois Ozon che mette in scena le crisi di sentimenti generate dalla guerra nel clima post bellico, evidenziato dal bianco e nero, del primo conflitto mondiale. L’argentino Oscar Martinez, Coppa Volpi per il Ciudadano illustre (regia di Gaston Dupret e Mariano Cohn) anima le delusioni tragicomiche di uno scrittore celebre tornato al suo paese. E ancora Nathalie Portman rivisitando il personaggio di Jacqueline Kennedy nei giorni dell’assassinio del marito e purificandolo dalla retorica mediatica, porta consensi a Jackie di Pablo Larrain.

liberami-federica-di-giacomo-veneziaMa che ne è del cinema italiano, benemerito per tradizione? L’attesa è stata delusa. Non privi di spunti, ma formalmente esili, senza il vigore o l’originalità d’imporsi sul deja vu quotidiano e televisivo i film in lizza non hanno superato la soglia. Come Questi giorni (Giuseppe Piccioni) e Piuma (Roan Johnson) o il documentario pur interessante tra scienza e metafisica Spira mitabilis (Massimo D’Anolfi). Un solo premio in Orizzonti è toccato a Liberami di Federica di Giacomo che focalizza il mondo degli “ossessi” e dei sacerdoti curatori. Con equilibrio, intelligenza e perfino con humour. Di altri film che, per limiti di spazio non possiamo menzionare, si discuterà. L’estate addosso (Gabriele Muccino) lo spiritoso Orecchie di Alessandro Aronadio (che è piaciuto al pubblico) Tommaso (Kim Rossi Stuart). Nell’insieme niente di nuovo, forse si affacciano promesse. Ad esempio Le ultime cose, esordio di Irene Dionisio con storie di uomini e donne agli sportelli del Banco dei pegni di Torino, Vangelo di Pippo Del Bono girato nel campo profughi di Asti, Indivisibili di Edoardo De Angelis, ambientato in Campania, emblematico della scelta individuale. Il documentario fuori concorso Robinù di Michele Santoro, porta in primo piano la voce e le storie dei ragazzi napoletani preda della camorra. È un appello a raddrizzare e salvare nei puniti e punibili quel poco di buono che resta oltre la legge del kalashnikov. Interesserà anche il film di montaggio Assalto al cielo di Francesco Munzi che raduna dal materiale d’archivio degli anni 70 nuovi filmati sulla contestazione giovanile per rievocare fatti ancor oggi da approfondire.

L’impressione finale? Selezioni e giurie non fanno che riflettere le incertezze umane contemporanee, la lotta impari tra obbiettivi industriali e istanze d’arte.

Serena D’Arbela, scrittrice, traduttrice, giornalista