Agli inizi del Novecento fu un “caso letterario”, famoso e apprezzato come autore teatrale in Italia e all’estero, e ancora oggi le sue opere sono presenti in molte biblioteche straniere, dagli Usa agli Emirati Arabi Uniti. Se così è, perché in Italia sembra che Bracco non sia mai esistito?

Perché quel “caso letterario” era anche un “caso politico” e, cosa impensabile nella storia del premio Nobel, la sua opera non fu premiata per l’opposizione del suo governo.
Nel 1926 Bracco scrisse in una lettera a Lucio D’Ambra: “Venne a Napoli un membro dell’Accademia del premio Nobel. Mi confermò la notizia della mia trionfante candidatura”. Il suo interlocutore, però, qualche mese dopo gli scrisse: “Il di lei stato politico impedisce le sottoscrizioni. Per noialtri questa combinazione artistico-politica è incredibile, una cosa grave, una vergogna”.

Il Nobel andò a Grazia Deledda (10 dicembre 1926) con gli entusiastici complimenti del Duce.
Il “caso politico” di Bracco era nato nel 1919 quando, contro nazionalismi razzismi e bellicismi, aderì con Albert Einstein, Benedetto Croce e altri all’appello per la fratellanza umana di Romain Rolland, “Dichiarazione dell’indipendenza dello spirito”. Nel 1924, più che sessantenne, si candidò nella lista “Opposizione costituzionale” perché, scrisse a un amico, “Il fascismo è una setta. Il fascismo è una profanazione dell’Italia Vittoriosa. Per salvare l’Italia Vittoriosa, bisogna odiarlo, bisogna maledirlo, bisogna averne ribrezzo”. Fu eletto, ma nel 1925 decadde dal ruolo e firmò il Manifesto degli intellettuali antifascisti.

Alla fine del ’36, a 75 anni, confidò alla grande attrice Emma Gramatica, sua sincera amica anche se venuta a patti con il regime, le sue dolorose condizioni di salute e le sue gravissime difficoltà finanziarie. L’attrice scrisse a Dino Alfieri, ministro della Cultura popolare, esponendogli il caso e chiedendo di “alleviare la vita che si spegne di quest’uomo d’ingegno”. Su questa lettera si legge una nota a matita: Il Duce dispone d’urgenza diecimila lire. Della consegna di tale somma fu incaricata la Gramatica, forse perché non avrebbe potuto rifiutarsi di testimoniare che anche Bracco era sul libro paga del fascismo con una somma del tutto eccezionale. Ma Bracco scrisse al ministro: “Eccellenza, la mia coscienza di galantuomo mi avverte che quel danaro non mi spetta. Io posso affrontare con tranquillità le spese non lievi cui mi costringe il mio male, ahimé, inguaribile. La nostra Emma Gramatica mi ha fatto l’onore di assumere il delicato incarico della doverosa restituzione”.

Amendola
Nel fascicolo d’archivio è conservata la seguente nota: Il Duce ha detto che è andata male. Bracco, privo della possibilità di far rappresentare le sue opere, escluso dalle collaborazioni giornalistiche, con i suoi investimenti esteri bloccati, aveva vinto su Mussolini.

A parte lo scarto temporale – Pirandello si dedicò al teatro quando Bracco era già un autore maturo – Bracco prestò sempre, senza rischi oleografici, un’accorata attenzione alle realtà popolari e alle “vite degli altri”, non maschere ma carne, sangue e passioni, esseri alla ricerca di un loro intimo punto di equilibrio o di rottura tra la parola e il subconscio (Il piccolo santo, I pazzi…).

Il teatro vecchio, quando Bracco cominciò, era quello del mattatore o del capocomico. Il regista non esisteva, i copioni erano quelli che mettevano in luce il grande attore oppure attiravano il pubblico con situazioni sceniche ben collaudate. In questo clima il teatro di Bracco, tra l’intreccio nuovo dei personaggi e l’esplorazione delle trame interiori (il “teatro del silenzio”) che chiedeva agli attori alte prestazioni e un lavoro corale ben diretto, aprì nuove prospettive. Nasceva il nuovo “teatro di regia”.
Come nel suo “teatro del silenzio”, un vecchio scrittore solitario, in un angolo della scena, trovando in sé la forza di difendere la sua dignità, aveva retto fino all’ultimo il peso di un’enorme ingiustizia.
Pubblicato venerdì 9 Dicembre 2022
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