Michela Murgia (da https://zero.eu/it/eventi/186470-istruzioni-per-diventare-fascisti,roma/)

«Essere democratici è una fatica immane. Significa fare i conti con la complessità, fornire al maggior numero di persone possibile gli strumenti per decodificare e interpretare il presente, garantire spazi e modalità di partecipazione a chiunque voglia servirsene per migliorare lo stare insieme. Inoltre non a tutti interessa essere democratici. A dire il vero, se guardiamo all’Italia di oggi, sembra che non interessi più a nessuno, tanto meno alla politica. Allora perché continuiamo a perdere tempo con la democrazia quando possiamo prendere una scorciatoia più rapida e sicura? Il fascismo non è un sistema collaudato che garantisce una migliore gestione dello Stato, meno costosa, più veloce ed efficiente?». Provocatoria e ironica, la scrittrice e drammaturga Michela Murgia intende persuadere anche il più tenace dei democratici a cambiare orientamento politico, perché «solo un democratico può avere la quota di delusione necessaria per capire quanto serva il fascismo in questo Paese. Perché solo un democratico realmente convinto può aver sperimentato tutte le fasi della delusione a cui la democrazia ci sottopone». Istruzioni per diventare fascisti (Einaudi 2018) è divenuto anche un monologo che sta attraversando i teatri di tutta Italia. Lo scorso 8 febbraio è andato in scena all’Auditorium Parco della Musica di Roma.

Molti sono i temi affrontati in chiave fascista dallo spettacolo: donne, identità di genere, emigrazione. Tutti nervi scoperti della società. Tra questi la memoria.

«Noi siamo convinti che la memoria sia il ricordo delle cose, ma tra ricordo e memoria c’è una differenza enorme: i ricordi appartengono soltanto alle persone che hanno vissuto delle esperienze, mentre la memoria è il risultato di un processo che partendo da quei ricordi struttura una narrazione tale per cui anche chi non ha vissuto quell’esperienza ha coscienza dei fatti che si sono svolti» afferma Murgia, mentre uno scroscio di applausi si eleva da una sala Sinopoli gremita.

«Come si fa ad intaccare la memoria democratica dopo settant’anni?». Secondo la drammaturga ci sono tre stadi, due dei quali già superati. Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, «noi fascisti non abbiamo potuto fare niente, ma abbiamo atteso. Nei cimiteri. Il 25 aprile, tu democratico porti la tua corona ai tuoi eroi che hai innalzato a Padri della Patria? Anche io voglio portare la mia corona ai morti di Salò. Perché devi impedirmelo? I morti sono tutti uguali. (…)  E i democratici fecero un primo errore. Ci guardavano con diffidenza, ma anche con indulgenza. Non ci chiamavano fascisti, ci chiamavano nostalgici».

Intanto, nel 1946 il ministro di Grazia e Giustizia Palmiro Togliatti promulgò un’amnistia che comprese il condono di reati comuni e politici avvenuti nel periodo dell’occupazione nazifascista per giungere presto ad una pacificazione nazionale ed evitare che l’epurazione rallentasse ulteriormente la ricostruzione materiale del Paese. Ma l’epurazione non avvenne e l’amnistia venne applicata in modo estensivo o parziale dai giudici rimasti, per la quasi totalità, gli stessi del Ventennio. Gran parte dei gerarchi del regime fascista verranno graziati e, al contrario, i partigiani verranno processati e reclusi. Questo fenomeno ebbe l’apice nel 1947, dopo la caduta del terzo governo De Gasperi, quando gli Stati Uniti imposero la cacciata dei comunisti e dei socialisti dal governo e ancor di più dopo la vittoria della Democrazia cristiana nelle elezioni del 18 aprile 1948. La Resistenza e la sua storia venne bandita dalle scuole fino agli anni Settanta. «Togliatti ci ha perdonati, siamo rimasti lì e abbiamo continuato a fare esattamente lo stesso lavoro che facevamo prima. Abbiamo tenuto i catasti, abbiamo formato giornalisti, abbiamo insegnato al Centro Sperimentale di Cinematografia, abbiamo formato i registi, cioè la gente che costruiva le narrazioni del Paese che rinasceva dalla guerra» continua Murgia. Del resto, è noto che Benito Mussolini affermava che «la cinematografia è l’arma più forte».

La narrazione alterata della memoria entra quindi in una seconda fase, quando la democrazia si consolida, «comincia a insegnare a scuola la sua versione e abbassa la guardia. Pensa che il fascismo non tornerà mai più e i nostri spazi si allargano. Possiamo smettere di portare solo fiori, possiamo cominciare ad insinuare che certo, le Fosse Ardeatine ci sono state, ma anche le foibe… E siamo una, due generazioni oltre e molti testimoni cominciano a mancare». La memoria a questo punto diventa un atto di fiction dove le due versioni – democratica e fascista – hanno pari valore.

Nella terza fase, quella a noi contemporanea, contemplata da Murgia avviene di più: reinterpretare la storia fino a negare l’esistenza dei campi di sterminio o minimizzare quanto accaduto negli anni del fascismo e del nazismo. Benché in Italia il negazionismo verso la Shoah e i crimini di genocidio siano punibili da una legge del 2016 per “concreto pericolo di diffusione”, dal Rapporto Italia 2020 dell’Eurispes emerge che il 15,6% degli italiani crede che la Shoah non sia mai esistita. Uno su sei. Nel 2004 erano il 2,7%. Non solo. «Dopo che abbiamo completamente destrutturato la memoria – prosegue il monologo – e sono passate quattro o cinque generazioni, dedichiamo una strada a Giorgio Almirante». Succede a Verona, dove lo scorso 16 gennaio il Consiglio comunale ha approvato una mozione per intitolare una strada allo storico leader del Movimento sociale italiano (poi Msi-Destra nazionale), che dopo la caduta del regime fascista aderì alla repubblica di Salò alleata di Hitler. La stessa mozione era stata presentata in passato da Fratelli d’Italia ai Consigli comunali di Roma e di Grosseto, bocciata in entrambi i casi. Nella questione grossetana è però intervenuto Enrico Rossi, presidente della Regione Toscana, che ha consigliato di aggiungere alla targa toponomastica “fascista e collaboratore con gli occupanti nazisti”.

Il cosiddetto mausoleo per Graziani ad Affile

I tentativi di dare una narrazione diversa dai fatti realmente avvenuti è ormai in atto da più di un decennio. Nel 2012 il sindaco Ercole Viri di Affile, in provincia di Roma, ha voluto un sacrario dedicato a Rodolfo Graziani, sanguinario generale del colonialismo fascista. A seguito del processo a seguito di una denuncia dell’Anpi, Viri è stato condannato per apologia del fascismo. A Milano, una delle città simbolo della Resistenza, è stata approvata nel 2018 una mozione dal Consiglio della Regione – presentata sempre da Fratelli d’Italia – secondo cui nelle scuole regionali si dovranno ricordare le morti dei neofascisti Sergio Ramelli ed Enrico Pedenovi, uccisi negli anni 70 nella città meneghina, legittimando quindi il neofascismo nella fase repubblicana e costituzionale del Paese. Sempre a Milano: «abbiamo dedicato – prosegue l’arringa di Murgia – un giardino pubblico ad un fascista vero, a qualcuno che ha fatto le guerre in Africa, che ha firmato le guerre razziali: Indro Montanelli. Oggi i bambini giocano a pallone sotto la sua statua. Bambini di 12 anni, come 12 anni aveva la bambina che lui stuprò quando stava in Africa fingendo di prenderla in moglie». Quando gliene chiesero conto, lui ammise senza troppo pudore quanto commesso e «alla sua morte gran parte dei giornalisti di questo Paese dichiarano che Montanelli fu il loro maestro. Quanto abbiamo lavorato bene sulla memoria?».

Scrive Michela Murgia in Istruzioni per diventare fascisti: «Manipolando gli strumenti democratici si può rendere fascista un intero Paese senza nemmeno pronunciare mai la parola fascismo che comunque un po’ di ostilità potrebbe sollevarla anche in una democrazia scolorita, ma facendo in modo che il linguaggio fascista sia accettato socialmente in tutti i discorsi, buono per tutti i temi, come fosse una scatola senza etichette – né di destra né di sinistra – che può passare di mano in mano senza avere a che fare direttamente con il suo contenuto».

Quanta risonanza nel pensiero comune abbiano avuto dichiarazioni di alcuni esponenti politici di tutto l’arco costituzionale degli ultimi vent’anni, lo dimostra un breve test che Murgia sottopone al pubblico dopo il monologo per misurare il grado di apprendimento raggiunto nell’adesione al fascismo. Il risultato è inimmaginabile. «Perché mai uno dovrebbe rovesciare le istituzioni se per ottenerne il controllo gli basta cambiare di segno a una parola e metterla sulla bocca di tutti? Le parole generano comportamenti e chi controlla le parole controlla i comportamenti».

Mariangela Di Marco