«Il Movimento 5 Stelle alleato della Lega sarebbe contro natura». Era il 25 marzo 2018, ventuno giorni dopo un voto che ha modificato la geografia politica del paese e l’antropologia stessa degli italiani, e il professor Domenico De Masi affidava a Repubblica le sue preoccupazioni sulla formazione del nuovo esecutivo e la possibilità che si saldasse l’asse tra il M5s e Salvini. Dal canto suo il sociologo del lavoro – che ha svolto come sociologo professionista una ricerca sul futuro del lavoro commissionata dai 5stelle – si era speso per un altro esito, per quell’accordo con il Pd che avrebbe dato vita, parole sue, alla «più bella socialdemocrazia del Mediterraneo». Riavvolgendo il nastro di quei giorni De Masi, che nel frattempo ha accolto l’invito di Pietro Grasso ad entrare nel Comitato promotore che definirà il profilo di Liberi e Uguali in vista della trasformazione in partito, non ha dubbi nel dire che la responsabilità principale per quel che poteva essere e non è stato, è del Pd e del “senatore semplice” Matteo Renzi, «che pur essendosi dimesso dalla segreteria non aveva e non ha, come l’ultima assemblea nazionale del partito ha dimostrato chiaramente, nessuna intenzione di farsi da parte».
È senz’altro un pezzo di verità professore. L’altro pezzo parla di un relativismo del Movimento e del suo capo politico, Di Maio, che usava in quei giorni la metafora dei due forni e per cui sembrava indifferente andare al governo con una forza di estrema destra come la Lega o con il Pd.
Guardi, io constato che il Movimento rischi molto da questa esperienza di governo, ma sottolineo anche che è il Pd che non ha voluto nemmeno sedersi al tavolo delle trattative con il M5s. Di Maio li aveva invitati a verificare assieme se ci fossero i presupposti per un accordo di governo. Aveva considerato chiuso il dialogo con la Lega. Ebbene qualche giorno dopo quelle parole, Renzi con l’arroganza che lo contraddistingue e anche con una certa dose di infantilismo politico, va in tv a dire “mai con i 5stelle” azzerando i timidi tentativi di mediazione di Martina. Renzi è il responsabile di quel che è accaduto e, assieme a lui, chi nel Pd, lo ha lasciato fare. Se si fossero seduti al tavolo, avrebbero ottenuto 6 o 7 ministri, sarebbero usciti dal tunnel in cui li aveva cacciati la sconfitta elettorale e oggi, al posto di Salvini al Viminale, avremmo Minniti. Salvini sarebbe in una posizione minoritaria insieme a Berlusconi e alla Meloni. Questa è la storia.
Già, ma rimane che il movimento al governo con Salvini ci è andato e ha avallato e avalla, pur con qualche distinguo, le politiche xenofobe della Lega.
Ma appunto. Un politico serio e che avesse avuto a cuore le sorti del Paese nella fase immediatamente seguente al voto del 4 marzo avrebbe dovuto porsi questa semplice domanda: è meglio che l’Italia sia governata dalla socialdemocrazia, ancorché pentastellata, o dall’autoritarismo leghista? E’ meglio trovare punti di contatto con Di Maio o lasciare campo libero alla destra più a destra della storia repubblicana? E invece nulla di tutto ciò è avvenuto. Ma perché pensa che tanti elettori del Pd hanno voltato le spalle al Pd di Renzi? Perché pensa che due milioni di ex-votanti Pd questa volta hanno votato 5stelle? Quel partito non dà più risposte ai bisogni dei ceti popolari, è diventato una formazione neo-liberista.
Secondo lei il M5s ha iniziato la sua parabola discendente ora che è arrivato al governo?
Spesso gli osservatori delle vicende politiche ragionano come se il M5s fosse al governo da quattro anni quando invece sono arrivati a palazzo Chigi da appena quattro mesi. Non dimentichiamo che il personale politico del movimento è sulla scena da pochissimi anni e in questo lasso di tempo ha conquistato consensi crescenti e il governo del Paese. Non so se per il M5s è iniziata la parabola discendente, anche se è molto probabile che Salvini gli toglierà molti pentastellati propensi alla destra. Di certo i 5stelle non sono più un movimento. Sono nella fase di transizione da movimento a partito. Chi di loro è diventato ministro ormai si comporta da ministro, non più da movimentista. Ma questa non è una novità e non è certo una cosa che riguarda solo loro. Tutti i movimenti, come ci insegna il sociologo Robert Michels nel suo attualissimo saggio La democrazia e la legge ferrea dell’oligarchia, sono destinati ad un certo punto a diventare dei partiti e a mettere al primo posto la struttura organizzativa e il consolidamento del proprio potere. E tutti hanno il problema di conciliare il prima e il dopo e le diverse anime che li compongono.
Insomma, partiti incendiari anche i grillini hanno finito per farsi pompieri. Ad andare a fuoco in questo caso è il paese però. Essere alleati di un partito razzista e xenofobo non dovrebbe creare imbarazzo al Movimento?
Certo che dovrebbe creare imbarazzo. E lo creerà. Il governo con Salvini è una vera e propria sciagura. Il leader della Lega si sta mangiando tutta la destra, ora si avvia a fare un solo boccone pure del gracile partito della Meloni. È oggi il più forte partito di destra in Europa. Una destra-destra, stile Le Pen, mica una destra liberale! Ed essendo un partito strutturato sul territorio – e non sottovalutiamo che nelle regioni dove governa, governa pure bene – potrebbe finire per mangiarsi pure i Cinque stelle, o almeno quella parte di elettorato Cinque stelle con l’occhio e il cuore che virano a destra.
A prendere per buoni i sondaggi, il Carroccio starebbe quasi davanti al M5s, dieci punti in più rispetto al 4 marzo…
Chi si sente democratico dovrebbe ammettere che non ha fatto nulla e non ha agito in modo tale da evitare che il 40 per cento degli italiani si dicesse d’accordo con Salvini. Se Salvini è forte è perché una parte crescente di nostri concittadini la pensa come lui. E la colpa, lasci che glielo dica, è della sinistra che non ha educato le persone. La sinistra ha retto l’Italia negli ultimi anni e il risultato è che il 40 per cento degli italiani la pensa come Salvini! Se il 40 per cento pensa sia giusto sparare a chi ti entra in casa, se non ha avuto un moto di repulsione nel leggere che si voleva escludere i figli degli immigrati dall’asilo gratuito, se non si offende nel vedere le condizioni in cui vivono i richiedenti asilo nella nostre strutture-lager, se dopo la recente morte di alcuni piccoli migranti in mare c’è chi non trova di meglio che irridere alle “magliette rosse”, beh, vuol dire che c’è stata una mutazione antropologia e che la sinistra non sa più fare pedagogia come un tempo.
Professore lei per i 5stelle ha elaborato una corposa ricerca, “Il lavoro nel 2025” in cui analizza nel dettaglio i lavori più a rischio per il processo di automazione del lavoro. Trova un’eco delle sue proposte nel recente Decreto di dignità?
Poca, per la verità. È vero, il Decreto riduce la possibilità di sfruttamento dei lavoratori precari e non a caso dalle aziende, abituate da anni al super sfruttamento delle persone, c’è stata una levata di scudi. Ma al di là di questa misura, pure importante, siamo ben lontani da una proposta coraggiosa. La debolezza del Decreto dignità è tuttavia un’altra.
Quale?
Per quel che riguarda il problema della creazione di lavoro questo decreto fa poco o nulla. Riduce alcuni difetti del jobs act ma non indica nessuna vera alternativa. Nel 2001 gli occupati erano il 57 per cento. Ebbene, da allora ad oggi siamo sostanzialmente fermi. Il tasso di occupazione ad aprile scorso era al 58,4%, ma in questo lungo arco di tempo, e con la scusa che si doveva creare occupazione, abbiamo avuto la legge Biagi, l’eliminazione dell’Irap, la riduzione del cuneo fiscale per le imprese private, la cancellazione dell’articolo 18. Insomma, con il benestare delle forze di governo che si sono succedute in Italia, il padronato italiano è passato come un rullo compressore sui diritti dei lavoratori e i risultati in termini di nuova occupazione sono assolutamente deludenti. Nel frattempo in Germania il tasso di occupazione è passato dal 63 al 79 per cento. Da noi tre anni dopo la laurea solo il 52 per cento dei laureati trova un’occupazione. In Germania la percentuale di laureati che trova un lavoro dopo tre anni è del 93 per cento.
E sempre in Germania ci si è indirizzati verso una corposa riduzione dell’orario di lavoro. I metallurgici tedeschi hanno ottenuto le 28 ore settimanali e, contemporaneamente, hanno ottenuto un aumento in busta paga del 4 per cento. La riduzione dell’orario però nelle proposte grilline di queste settimane non ci sta proprio.
No, non ci sta e non ci sarà nemmeno a breve, mi pare di capire. La disoccupazione si sconfigge solo riducendo l’orario a parità di salario e aumentando la produttività, ma negli ultimi venti anni nessuno si è battuto per questo, preferendo invece insistere fino alla noia con il mantra della flessibilità. Chi lavora di meno lavora meglio e rende di più: è una constatazione quasi banale e che pure fa così fatica ad affermarsi in Italia. Il metalmeccanico tedesco lavora il 20% in meno e produce il 20 per cento in più del suo omologo italiano, non perché sia più bravo ma perché ha macchine moderne e una migliore organizzazione del lavoro.
Il reddito di cittadinanza è stato il cavallo di battaglia dei 5stelle in campagna elettorale. Eppure sembrerebbe che vada perdendo quel carattere universale con cui era nato per diventare qualcosa di molto simile alle misure del vituperato centrosinistra.
Il reddito di cittadinanza sarebbe l’unica misura per tamponare il problema della povertà senza creare lungaggini e costi di gestione. Dico “sarebbe” perché quello che i 5stelle chiamano reddito di cittadinanza in realtà non è altro che il reddito di inclusione modello Gentiloni esteso a più persone e con una cifra, ovviamente, maggiore.
Lei aveva molte aspettative sul M5s. E oggi? Che fare?
Premesso che sono fieramente e fermamente “demasiano”, nel senso che ho idee mie e non porto il mio cervello all’ammasso, sono anche un uomo di sinistra. Il popolo di sinistra è “oggettivamente” composto dai disoccupati, dagli operai, dagli impiegati, da molti studenti, dagli insegnanti: insomma da tutti gli svantaggiati in termini di ricchezza, lavoro, potere, sapere, opportunità e tutele. Ma non basta essere “oggettivamente” dei proletari perché un proletario poco o male formato politicamente può avere idee e comportamenti di destra: controproducenti o persino suicidi. Basti pensare ai minatori e ai siderurgici americani che hanno votato per Trump. Oltre alla condizione “oggettiva” di proletario, occorre avere anche la condizione “soggettiva”, psicologica, ideologica: saper capire quali sono gli interessi reali propri e della propria classe, saper scegliere gli obiettivi, gli alleati, le strategie necessarie per riscattarsi dalla condizione svantaggiata. A causa della debolissima azione pedagogica dei partiti di sinistra e a causa della trasformazione del Pd in partito neo-liberista, ormai il proletariato è frammentato e disperso. Se ne trovano schegge più o meno corpose in tutti i partiti, persino nella Lega, in Forza Italia e in Fratelli d’Italia. Occorre dunque scovare la sinistra dovunque oggi si annidi e ricomporre i suoi frammenti in una forza antagonistica alla destra. Secondo l’Istituto Cattaneo il 37% degli operai, degli insegnanti e degli impiegati, il 38% dei disoccupati, il 41% dei dipendenti della Pubblica amministrazione hanno votato 5stelle. 1,9 milioni di ex-votanti Pd e uno su tre iscritti alla Cgil hanno votato 5stelle. Dunque, nel Movimento c’è una sostanziosa porzione di sinistra “oggettiva”. Perciò io rispondo agli inviti di tutti i gruppi in cui posso trovare frammenti di sinistra: in questi ultimi giorni ho fatto un seminario ai deputati 5stelle della Commissione Lavoro, ho partecipato a una convention della Cgil, ho assistito a un’assemblea fondativa di Liberi e Uguali. Questi miei impegni nascono dalla convinzione che si possa invertire la tendenza che oggi vede la sinistra al suo punto più basso. Quanto ai 5stelle, che vuole che le dica? Non mi aspetto grandi cose in questa fase, pur tuttavia non dispero che tornino a recuperare i migliori punti programmatici che li hanno portati a diventare il primo partito italiano. E spero che prima o poi possano diventare il nucleo preminente di un nuovo, grande partito di sinistra.
Giampiero Cazzato, giornalista professionista, ha lavorato a Liberazione e alla Rinascita della Sinistra, ha collaborato anche col Venerdì di Repubblica
Pubblicato mercoledì 1 Agosto 2018
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