Emma Bonino, autorevole figura del panorama politico italiano, da oltre quarant’anni dedica la sua vita alle battaglie per i diritti civili, umani e sociali. Europeista convinta, esperta anche di Medio Oriente, è stata più volte ministro – agli Esteri nel governo Letta e prima ancora del Commercio internazionale e delle Politiche europee nel secondo governo Prodi. Ha ricoperto anche incarichi per l’Onu ed è stata Commissario Ue. Eletta più volte alla Camera dei deputati e nel Parlamento europeo, è stata vice presidente del Senato. “Una delle poche donne che muovono il mondo”, la definì una delle principali riviste statunitensi. Le abbiamo rivolto alcune domande sullo ius soli e sul reato di tortura.
Emma Bonino, cosa ne pensa della legge sullo ius soli in aula al Senato per l’approvazione definitiva dopo il via libera della Camera?
Purtroppo, dopo anni di impegno e tante pressioni per una legge di riforma della cittadinanza, siamo arrivati agli schiaffoni in Aula, invece dell’approvazione decorosa di una norma di civiltà. Quella scazzottata in Parlamento ha fatto il giro del mondo e di certo non abbiamo fatto una bella figura. Il disegno di legge è stato bloccato al Senato per un anno e mezzo in Commissione Affari costituzionali e, dopo quanto accaduto, temo tornerà a essere archiviato: il contesto politico e partitico è divenuto molto difficile dopo le elezioni amministrative. Peraltro il disegno di legge prevede uno ius soli molto moderato, temperato. Credo sia l’ennesima dimostrazione di come in Italia sia complicato avere leggi semplici, provvedimenti “ragionevoli”, che molto spesso fotografano solo l’esistente. Siamo rimasti uno dei pochi Paesi che ancora basano la cittadinanza sullo ius sanguinis. Anche per le unioni civili si provò a ventilare la paura di ritrovarci in un Paese completamente diverso. Invece si trattava, come oggi per lo ius soli, unicamente di prendere atto di quanto è già avvenuto nella società ed è sotto gli occhi di tutti.
Sembra pessimista sulla possibilità di approvazione della legge…
Di certo ora la strada è in salita e ritengo che l’approvazione, se ci sarà, slitterà ben oltre luglio. Però la speranza non deve venire meno, mai. Bisogna tornare a farsi sentire, continuare a lottare, pretendere l’approvazione. È necessario reagire a un clima sempre più velenoso su un tema politicamente molto manipolato. In realtà si dovrebbe fare di più sull’accoglienza. Con alcune associazioni laiche e religiose, infatti, abbiamo pensato a una legge di iniziativa popolare e a una campagna culturale. “Ero straniero, l’umanità fa bene”, l’abbiamo chiamata. Vorremmo per esempio l’abolizione della Bossi-Fin: i migranti mandano avanti settori produttivi altrimenti senza manodopera, dall’agricoltura ai lavori domestici. Anche Papa Bergoglio ha voluto sostenere i promotori. Però raccogliere le firme necessarie è complicato. La legge prevede una prassi lunghissima: dovevamo modernizzare l’Italia e invece non si è nemmeno provato a farlo, tantomeno per gli strumenti di partecipazione. Lo sforzo soprattutto è far capire alle persone che quanto si paventa di terribile in materia di immigrazione è demagogico, strumentale e falso. In Italia, per esempio, ci sono 805mila minorenni, figli di almeno un genitore immigrato. Sono nati in Italia o sono arrivati prima di aver compiuto dodici anni di età. Senza di loro dovremmo chiudere 35mila scuole e mandare a spasso 68mila insegnanti.
L’Italia oggi si trova, sola con la Grecia, a far fronte a migliaia di arrivi. L’Unione europea sembra sorda, si continuano ad alzare muri…
Verissimo, ma non è un problema europeo, piuttosto è degli Stati membri. Che non hanno mai voluto concedere alle istituzioni Ue la competenza in materia di immigrazione, né nel Trattato di Lisbona né in altra occasione. Così come non hanno mai voluto cedere a Bruxelles la competenza sulle frontiere esterne. Ricordo benissimo che al vertice di Tampere – era il 1999 – fu chiesta alla Commissione una proposta di integrazione comunitaria: ebbene, una volta presentata venne respinta “a furor di Stati”. Ogni tanto sento dire: “li rimandiamo tutti nei loro Paesi”. Ci si rende conto che respingere 500mila persone è terribilmente difficile? E dove dovremmo portarle? L’Italia ha stretto accordi di riammissione solo con Tunisia, Marocco e Nigeria. Punto. In Libia il riferimento politico, Fayez al-Sarraj, non controlla il territorio. Per non parlare di chi pensa di rafforzare le frontiere a sud della Libia. Dovremmo cioè chiudere migliaia di uomini, donne e bambini tra una siccità e l’altra, la carestia in Sud Sudan, la desertificazione in Senegal, ecc.? Ancora. C’è chi pure sostiene di voler aiutare l’Africa a svilupparsi. Peccato che, se pure ci dovessimo mettere di buzzo buono, impiegheremmo minimo minimo due generazioni. Ci vuole ben altro. In Germania si è varata una legge per l’integrazione di oltre un milione di profughi, fin troppo rigorosa per i miei gusti ma è stata fatta. Da noi per cambiare l’atmosfera anti-immigranti bisogna avere il coraggio di uscire per strada, realizzare iniziative pubbliche. Gli scivolamenti razzisti sono sempre più evidenti, espliciti e molto volgari. E chi si è opposto alle discriminazioni, finora lo ha fatto con timidità impressionante. In pratica dicendo le stesse cose, solo con un vocabolario più educato.
Tra le norme che si auspicava fossero approvate prima di fine legislatura c’è anche l’introduzione del reato di tortura. Il ddl ora legge è stato però modificato dai passaggi parlamentari tanto da essere ripudiato da chi l’ha ideato, firmato e presentato. Qual è la sua opinione?
Condivido le preoccupazioni espresse dal Commissario per i diritti umani presso il Consiglio d’Europa, Nils Muižnieks. Ha scritto nero su bianco che taluni aspetti non sono allineati alla giurisprudenza della Corte, alle raccomandazioni della commissione europea per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti e anche non adeguati alla convenzione adottata dalle Nazioni Unite nel lontano 1984. Il testo ora approvato dalla Camera alla quarta lettura, e dunque divenuto legge, inquadra la tortura come reato comune, cioè sarà imputabile a chiunque e non solo al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio come invece è previsto dalla convenzione. Per di più il reato per sussistere deve essere compiuto con crudeltà e attraverso più condotte. Se ciò non bastasse, deve provocare un verificabile trauma psichico. Ma per loro natura i processi per tortura si avviano fino a dieci anni dopo le vicende contestate e non si capisce proprio come si possa verificare un trauma insorto tanto tempo prima. Inoltre, essendo un reato comune, può intervenire la prescrizione. Siamo stati più volte richiamati da Strasburgo, per esempio sulla condizione dei detenuti nelle nostre carceri o sui fatti della Diaz, e gli stessi giudici italiani titolari dei procedimenti penali hanno sostenuto che la legge non avrebbe compreso i reati commessi durante il G8 di Genova.
Meglio averla oppure no?
Questo Paese è statico e tende troppo spesso ad andare indietro. Quando è possibile fare un passo avanti, seppur minimo, sono convinta sia bene farlo. L’ho pensato anche per la legge sulle unioni civili. Pur senza entusiasmo e con tutti i limiti, almeno la tortura nel nostro Paese è un reato.
Pubblicato giovedì 6 Luglio 2017
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